Nella lettura che ne fa il Vangelo di Giovanni, Isacco è prefigurazione del Cristo che porta la croce, dunque del Messia. Un filo sottile, insospettabile, nel midrash, lega inoltre il sacrificio di Isacco al Messia. È costituito dal personaggio più insospettato, l’asino, che non svolge nessuna funzione nel racconto (Gn 22,3), se non quella di animale da soma. Però, la narrazione afferma che Abramo lascia l’asino con i servitori ai piedi del monte Moria (22,5); ma quando Abramo ritorna dai servi e con essi rientra insieme a Bersabea, dell’asino non si fa più menzione alcuna. Allo stesso modo non viene più menzionato Isacco.
Il sacrificio di Isacco: l’asino
Secondo alcuni midrashim, Isacco esala l’anima nel momento in cui Abramo alza il coltello verso la sua gola. È la voce celeste che ferma il gesto di suo padre a rendergli la vita. Subito dopo, Isacco viene portato temporaneamente in altro luogo, spiega la tradizione. Secondo Genesi R. I,327, Isacco viene portato per tre anni in paradiso per guarire dalla lesione infertagli dal padre prima di essere fermato. L’asino invece rimane nei dintorni del Moria (identificato con il monte del tempio, almeno a partire da 2Cr 3,1): così si spiega la sua mancata menzione al ritorno di Abramo dal monte. Lì attenderà per secoli la venuta del Messia.
L’asinello del Messia
Secondo la tradizione seguita da Rashi ma attestata già secoli prima, questo stesso asino accompagnerà Mosè nel suo ritorno in Egitto come liberatore di Israele (Es 4,20), «ed è l’asino che cavalcherà il figlio di Davide, come è detto: “Esulta, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re… umile, cavalca un asino, un puledro figlio di asina” [Zc. 9,9]». L’asino si presenta così come la cavalcatura inseparabile del salvatore di Israele, fino ad essere considerato come simbolo del Messia.