
Questo brano è incorniciato da un’inclusione, cioè da due parole di Gesù sul tema della fede: 17,19 (“La tua fede ti ha salvato”) e 18,8 (“Il Figlio dell’uomo, venendo, troverà forse la fede sulla terra?”). Risponde ad alcune domande: il Regno con la sua giustizia quando e dove verrà ; ed anche: chi è il Re?
Il Regno verrà, anzi è già qui
Luca distingue una sfera individuale degli ultimi giorni della vita dalla sfera cosmica (in 21,5-36, il discorso escatologico, comune ai sinottici). Per l’individuo, il giudizio finale è anticipato nel presente. Non ha senso domandarsi quando verrà il Regno, che è già nel cuore dei credenti e nella Chiesa. Non deve essere cercato fuori di noi ma dentro di noi, perché è la regalità divina presente e operante nella persona di Gesù.
Così pure, non ha senso agitarsi per cercare una presenza visibile del Cristo: egli è già qui, e non nei falsi profeti che lo ostentano con effetti speciali, nei falsi messia con le loro promesse accattivanti e rassicuranti. La presenza del Signore è discreta, umile e nascosta, finché non tornerà come la folgore; una presenza che nell’oggi di ciascuno chiama a conversione, come fece con la generazione che perì nel diluvio, e con gli abitanti di Sodoma al tempo di Lot.
La venuta del Figlio dell’uomo: oggi e dovunque
La venuta del Figlio dell’uomo è una realtà intima, che non si riconosce nella gloria ma nella via umile della croce. Quando egli verrà per ciascuno di noi, ognuno dovrà rispondere della propria vita. Il giudizio coglierà l’uomo là dove si trova, come i rapaci sono infallibili nel trovare la loro preda. Ma nella morte del Signore, e di chi si unisce a Lui, si manifesta la vita. Non c’è un dove e un quando da trovare per il ritorno del Figlio dell’Uomo: ci sono solo l’oggi e il dovunque in cui noi stiamo vivendo, e ogni luogo e ogni tempo sono per noi quelli della salvezza.
Perciò la scelta dei beni materiali e persino della conservazione della vita è, in sostanza, perdente: vincente è la scelta di Cristo che può anche condurre a perdere la vita, intendendo con ciò, in condizione estreme, il martirio, in condizioni ordinarie la rinuncia ai propri attaccamenti, egoismi e comodità.
È da questa rinuncia che si genera la vita vera, come indica in 17,33 il verbo zoogonéo, “generare alla vita”: “chi la perderà, la manterrà viva”. La vita dalla sterilità, questa è l’azione continua di Dio. La moglie di Lot non riesce a fare spazio al futuro di Dio, si volge alle certezze dello ieri, non riesce ad accettare l’oggi che è l’unico tempo che conduce all’eternità perché è il tempo in cui il Regno verrà…
Dio farà giustizia
In questo oggi, “giorno e notte”, si può contare su Dio e invocarlo. Nella strana parabola del giudice iniquo (18,1-8), Dio è rappresentato paradossalmente da un giudice non timorato di Dio [!], che non ne teme il giudizio e quindi noncurante anche degli uomini. La vedova, sintesi di ogni categoria di debolezza, rappresenta lo stato di bisogno. Il giudice che non cerca la giustizia dovrà pur cedere e compierla per sfinimento.
Come il giudice iniquo, Dio sembra sordo alle suppliche – Giobbe ne sa qualcosa. Ma se persino il giudice iniquo alla fine dovrà esaudire la vedova per non essere più infastidito, quanto a maggior ragione Dio, che ci ama teneramente, non ci sosterrà nei nostri bisogni più profondi, anche se non nei nostri desideri più superficiali? Dio è paziente con noi, e ci chiede di essere pazienti con lui.
Il verbo “far giustizia”, che ricorre ben quattro volte in questo piccolo brano (vv. 3.5.7.8), può rappresentare la chiave di lettura del suo significato principale: Dio farà giustizia, ma da par suo; questa giustizia non è il giudizio di condanna, è dono di salvezza. L’attesa sembra interminabile, ma la salvezza è certa per coloro che l’attendono con fede.
Alla fine, il Figlio dell’uomo verrà per noi; ma quale sarà la nostra fede? Si può pregare senza umiltà e si può pensare di credere presumendo di sé: questa, se pure è fede, è snaturata, come ci dirà Luca nella sezione seguente.