
A Luca piace costruire paralleli letterari tra gli episodi. Anche qui ne insinua uno: mentre Paolo sta vivendo la sua attesa di martirio (almeno nel senso di rendimento di testimonianza), nella sua storia si inserisce un re, Erode Agrippa II. Luca era stato l’unico evangelista a citare, nella passione di Gesù, la presenza di un re, Erode Antipa (Lc 32,7 ss.), il quale aveva voluto ascoltare l’Imputato per curiosità e voglia di miracoli e, deluso, lo aveva trattato da pazzo.
La situazione è la stessa: da Erode a Pilato, come si suol dire, o meglio da Pilato ad Erode, Paolo, come Gesù, viene rimpallato dall’autorità romana a quella giudaica, il re Agrippa, in un rifiuto di responsabilità.
Il re Agrippa
«Erano trascorsi alcuni giorni, quando arrivarono a Cesarèa il re Agrippa e Berenìce, per salutare Festo».
Questo è Erode Agrippa II, figlio di Erode Agrippa I, con sua sorella, un rapporto molto chiacchierato (ricordate che Erode Antipa aveva sposato, in violazione della legge di Mosè, la moglie di suo fratello Filippo?). Erode Agrippa, re di Batanea e Traconitide ma con diritto di nominare i sommi sacerdoti a Gerusalemme, è curioso: vorrebbe ascoltare Paolo. Il quale è ancora carcerato anche se in lui l’autorità romana non trova colpa, tanto che Festo non saprebbe cosa scrivere all’imperatore mandandolo a Roma per il processo.
«Agrippa disse a Paolo: Ti è concesso di parlare a tua difesa. Allora Paolo, stesa la mano, si difese così».
Paolo ancora una volta racconta la storia sua, come nel cap. 9 e nel cap. 22. Ricostruisce, dopo la sua conversione, i passi da lui compiuti nel corso dell’evangelizzazione. Ma non convince.
«Mentr’egli parlava così in sua difesa, Festo a gran voce disse: Sei pazzo, Paolo; la troppa scienza ti ha dato al cervello!».
Anche Paolo viene trattato da pazzo, come Gesù; non dal re, ma dal governatore romano. Il re Agrippa sembra invece più pensoso sul suo conto, tanto che Paolo ritiene di poterlo provocare ad una risposta:
«E Paolo: “Non sono pazzo, disse, eccellentissimo Festo, ma sto dicendo parole vere e sagge. Il re è al corrente di queste cose e davanti a lui parlo con franchezza. Penso che niente di questo gli sia sconosciuto, poiché non sono fatti accaduti in segreto. Credi, o re Agrippa, nei profeti? So che ci credi”.
E Agrippa a Paolo: “Per poco non mi convinci a farmi cristiano!”.
E Paolo: “Per poco o per molto, io vorrei supplicare Dio che non soltanto tu, ma quanti oggi mi ascoltano diventassero così come sono io, eccetto queste catene”.
Si alzò allora il re e con lui il governatore, Berenìce, e quelli che avevano preso parte alla seduta e avviandosi conversavano insieme e dicevano: “Quest’uomo non ha fatto nulla che meriti la morte o le catene”. E Agrippa disse a Festo: “Costui poteva essere rimesso in libertà, se non si fosse appellato a Cesare”».
Stranamente, la sentenza di Agrippa è favorevole a Paolo. Ma ormai la formula Caesarem appello, mi appello a Cesare, è stata irreversibilmente pronunciata. Non c’è difesa che tenga. Paolo andrà a Roma!