Lettura continua della Bibbia. Il Prologo giovanneo (Giovanni 1,1-18)

Il Prologo giovanneo
Di Lídia Andrade – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=43851123

Martin Kähler definì i Vangeli “racconti della passione con estese introduzioni” (The So-Called Historical Jesus and the Historic Biblical Christ, Fortress, Philadelphia 1964 [1^ ed. 1896], p. 80). È forse eccessivo rovesciare la definizione di M. Kähler, sostenendo che il Quarto Vangelo è un racconto dell’Incarnazione con un esteso epilogo (E. KÄSEMANN, The Testament of Jesus According to John 17, Fortress, Philadelphia 1968, 7), perché è comunque la morte di Gesù il climax dell’intera struttura narrativa. Tuttavia, sofferenza e morte sono assunte nella luce della Gloria divina. Verbo di Dio ma anche Agnello di Dio, l’agiografo presenta il Cristo Gesù fino dai primi versetti del Quarto Vangelo nella sua perfetta divinità e nella sua perfetta umanità.

Il Prologo giovanneo: Divinità e umanità

Riguardo alla Divinità del Verbo, il Prologo giovanneo ci conduce a vette vertiginose, a quel Principio (Arché) che non è solo un inizio temporale, ma è la pienezza dell’Essere e della Vita, la Luce che è Dio e che, non paga di bearsi da sola, viene donata agli uomini.

Ricco di significati è il verbo usato per esprimere l’incarnazione, eskénosen, “si attendò”: all’aoristo, tempo che indica un’azione puntuale nella storia, richiama non una dimora momentanea ma, al contrario, la presenza fedele di Dio che si fa nomade in un popolo di nomadi e, ponendo la sua tenda fra le altre, ne condivide la precarietà dell’esistenza, ne abbraccia in toto la condizione umana. Dire che Dio si è fatto uomo è dire un’impossibilità, un felice ossimoro che mette insieme realtà opposte e inconciliabili, condanna a morte l’Eterno e confina l’Infinito, rende debole l’Onnipotente, assoggetta all’odio l’Amore.

Eppure, l’assurdo è divenuto verità, dice Giovanni: veramente Dio ha posto la sua tenda fra le nostre, si è fatto irretire dal tempo e dallo spazio, si è arreso alla debolezza, si è immerso nelle tenebre. Assimilandosi a noi, ha assimilato noi a Lui, facendosi uomo ha reso noi come Dio. L’antica tentazione del serpente, “Sarete come Dio” (Genesi 3,5), è divenuta infine realtà, non al suo modo derisorio, mendace e scimmiottesco, ma al modo di Dio: l’albero della croce dà la vita divina.