
Il profeta Michea è noto per uno degli oracoli messianici più importanti. Siamo nell’VIII secolo a.C., i tempi sono quelli di Isaia. Dall’Assiria, il re Tiglat-Pilèzer III organizza un forte esercito e crea un grande impero, minacciando Damasco e la Samaria e rendendoli vassalli. I due regni, insieme a Tiro e ad altri piccoli stati, si alleano per ribellarsi all’Assiria. Gli Assiri occupano definitivamente tutto il territorio, deportandone le popolazioni (721), impongono il tributo a Giuda e nel 701 con Sennacherib giungeranno ad assediare Gerusalemme, ritirandosi da essa solo all’ultimo momento.
In questo quadro storico, 100 anni dopo Elia, operano quattro grandi figure di profeti, Amos, Osea, Michea, Isaia, i primi due nel regno del nord, gli altri due in Giuda.
☺ I tempi di Michea
Michea viene dalla campagna, da Morèshet a sud-ovest di Gerusalemme. Non sappiamo niente della sua famiglia. Svolge il suo ministero sotto i regni di Iotam, Acaz ed Ezechia, dal 740 al 700 circa a.C. Nel 721 viene ultimata l’occupazione del regno del nord da parte degli assiri (con Salmanassar V e Sargon II), intorno al 701 Sennacherib invade il regno del sud.
Nel periodo precedente, sotto Ozia (781-740), Giuda aveva conosciuto una fase di prosperità politica ed economica, sia per l’agricoltura che per il commercio. La prosperità però era stata realizzata con il sacrificio delle piccole proprietà private a favore dei grossi concentramenti, a vantaggio di pochi. La campagna, al tempo di Michea, viene spogliata dal latifondismo dei grandi proprietari terrieri. Lo squilibrio fra città e provincia, fra città e campagna è ingiusto e scandaloso.
Un secondo fatto caratterizza l’epoca di Michea, di natura politico-religiosa, e lascia tracce nella vita del popolo. Sotto Acaz, la Giudea diviene stato vassallo, di fatto, dell’Assiria, cui paga un tributo fin dal 734, e si “assirianizza”. Acaz fa costruire nel tempio di Gerusalemme un altare sul modello di quello visto a Damasco nel corso del suo incontro con Tiglat-Pilèser III (II Re 16,10-16). Con questo altare, il tempio di Gerusalemme diviene tempio pagano. Il male, per Michea, viene cosỉ dal cuore della nazione.
☺ La vita di Michea
1,1: «Parola del Signore, indirizzata a Michea di Morèset,
al tempo di Iotam, Acaz, Ezechia, re di Giuda.
Visione che egli ebbe intorno a Samaria e a Gerusalemme».
Il periodo abbracciato da questi re è il 740-736 per Jotam, 736-716 per Acaz, 716-689 per Ezechia.
Non ha, invece, niente a che fare con il libro di Michea l’altro profeta di nome anch’egli Michea, figlio di Imla, vissuto al tempo di Achab e Giosafat (1 Re 22,19-28).
La sua patria è Moreshet o Moreshet-Gat, piccolo centro della pianura (Shephelâ) a sud-ovest di Gerusalemme, della vecchia pentapoli filistea. Non viene menzionato, stranamente, il nome di suo padre, come anche nel caso di Amos, con il quale condivideva forse l’umile condizione sociale di bracciante agricolo. Conobbe certamente lo sfruttamento dei suoi compaesani da parte degli accaparratori cittadini, che vivevano lussuosamente nella capitale campando sui prestiti alla povera gente, dei cui campi e delle cui case si impadronivano.
Da questa situazione sociale è nato in Michea un atteggiamento di ferma condanna verso i responsabili di tale condizione contrastante con la fede jhavista. La coscienza profetica di Michea nasce da questo contrasto, fra le esigenze della fedeltà a JHWH e il disordine sociale dei suoi tempi. Non abbiamo in Michea un racconto di vocazione come nei profeti maggiori e in altri casi (es. Amos 7,14 s.), ma abbiamo la proclamazione aperta della propria dignità profetica (3,8):
«Io invece sono ripieno di forza,
dello spirito di JHWH, di giustizia e coraggio
per annunziare a Giacobbe il suo delitto,
a Israele il suo peccato!».
Questa indole forte e sbrigativa si riscontra anche nel suo stile letterario, che va diritto allo scopo senza tanti artifici. Non conosce ripiegamenti su se stesso come Osea e Geremia, e non indulge al gusto delle immagini come Amos. Le sue parole sono chiare e concrete, e se ne serve soprattutto per condannare le crudeltà che si commettono contro il suo popolo. È piena di angoscia la descrizione delle angherie subite dai deboli: Michea non è privo di sensibilità, ma la riserba per i sofferenti.