Lo scorso lunedì, con la Lettura continua della Bibbia, abbiamo commentato l’episodio dell’incontro di Giacobbe con Rachele, naturalmente al pozzo, dato che era quello il luogo pubblico in cui la gente, all’epoca, si incontrava, e quindi anche il luogo dell’innamoramento. Abbiamo colto da questo brano l’immagine di una pietra enorme che Giacobbe riesce a rotolare via da solo, e che ci ha richiamato subito la pietra del Santo Sepolcro. Non solo: è evidente anche l’analogia con l’incontro di Gesù con la Samaritana (cap. 4 di Giovanni). E qui è venuta un’interessante e logica domanda riguardante il pozzo di Giacobbe.
Se gli evangelisti – o comunque i cristiani – coglievano tutti questi collegamenti fra i fatti della vita di Gesù e l’Antico Testamento, che cosa vi coglievano, invece, gli ebrei? Che cosa significava per loro il pozzo di Giacobbe, con la pietra rotolata e l’acqua che viene attinta? Ho risposto a voce, ma desidero dare qui una risposta più complessa e compiuta. Dovrete avere un po’ di pazienza.
L’acqua e lo Spirito
Per questa risposta dobbiamo rifarci non solo all’episodio della Samaritana, ma anche alle parole di Gesù nel contesto della Festa delle Capanne in Gv 7,38c: «Fiumi di acqua viva scorreranno dal suo seno». Giovanni si ferma, addirittura, nel racconto, per sottolineare che Gesù si stava, con queste parole, riferendo allo Spirito che da lui dovevano ricevere i credenti, e che ancora non era stato dato perché Gesù non era stato glorificato. L’ora della glorificazione in Giovanni è la sua morte: morte che è significata dal sangue nell’episodio della trafittura del cuore, mentre lo Spirito promesso è significato dall’acqua. Il Midrash Ex. Rabbah 3,13 di Es 4,9 afferma che Mosè colpì la roccia due volte facendone uscire prima sangue e poi acqua, anche se non abbiamo la certezza assoluta che questa tradizione possa esser fatta risalire al I secolo.
L’acqua rappresenta tutte le realtà essenziali per l’uomo: la Parola di Dio, intesa non come veicolo di informazione ma come realtà dinamica, efficace e vitale (Am 8,11 s., in parallelo con il pane), la Torah, la Sapienza (Sir 24,19 ss.); Dio stesso, sorgente di acqua viva, abbandonato dal suo popolo in favore di cisterne screpolate che non tengono l’acqua, il cui accorato lamento risuona nel libro di Geremia (2,13; cfr. 17,13 s.). L’acqua promessa alla Samaritana, poi in 7,37 ss. durante la Festa delle Capanne, infine donata dal costato aperto sulla croce, non è un semplice simbolo di vita, ma è il simbolo dello Spirito effuso attraverso la morte di Gesù.
Il midrash del pozzo
Il Midrash si compiace di unire con un filo sottile passi diversi, alla ricerca di significati che vedremo. Poiché anche il IV Vangelo non è estraneo alla tecnica midrashica, Giovanni può aver intessuto un elemento di continuità fra i discorsi sull’acqua (cap. 4; 7; 19), se ha conosciuto, come sembra, il midrash del pozzo di Giacobbe in Charran: midrash che conduce lontano, fino alla pietra rotolata dal sepolcro (Mc 16,3; Mt 28,2; Lc 24,2; Gv 20,1).
La figura di Giacobbe è particolarmente legata alle haggadot [narrazioni] sul pozzo, che riguardavano anche Abramo (Gn 21,30), Rebecca (Gn 24,16) e Isacco (Gn 26,18-22). Il Midrash Rabbah afferma che tutti questi pozzi offrivano spontaneamente la loro acqua ai patriarchi. Era facile poter pensare ad un unico pozzo mitico lasciato dai patriarchi in eredità ai loro discendenti. Il pozzo di cui parla il IV Vangelo al cap. 4, situato presso la città di Sichem, era secondo gli archeologi di particolare importanza perché l’unico nella regione, in uso dal 1000 a.C. al 500 dell’era cristiana.
Giacobbe al pozzo
Nel Targum [traduzione aramaica della Torah], al pozzo di Giacobbe si verificano segni di numerose rivelazioni.
«Primo segno: le ore del giorno furono abbreviate e il sole tramontò anzitempo perché il Verbo bruciava dal desiderio di parlare con lui…
E il quarto segno: una pietra che tutti i pastori erano venuti insieme per farla rotolare da sopra la bocca del pozzo non erano giunti a smuovere, quando arrivò il nostro padre Giacobbe, egli la sollevò con una mano e abbeverò il gregge di Labano, fratello di sua madre.
E il quinto segno: quando il nostro padre Giacobbe ebbe sollevato la pietra da sopra la bocca del pozzo, la fonte zampillò su e venne alla sua bocca e continuò a venire alla bocca per venti anni, tutto il tempo che egli dimorò a Charran».
Abbiamo, qui, diversi elementi che troveremo in Giovanni: la pietra rotolata; la fonte zampillante; persino la menzione del Verbo di Dio.
E Rashi spiegherà:
«Quando Giacobbe partì da Beer-Sheva per andare a Charran e fuggire da suo fratello, una Rugiada di Risurrezione discese dai cieli su di lui rendendolo coraggioso e forte. Grazie a questa potenza, lottò poi contro l’Angelo. Grazie a questa potenza, rotolò la pietra dalla bocca del pozzo e le acque salirono dalle profondità, traboccarono e inondarono. I pastori stavano in piedi, stupefatti, perché non era più necessario il secchio per attingere!».
In Rashi, addirittura, viene nominata la Resurrezione, la cui forza sostiene Giacobbe nella lotta e nel rotolamento della pietra.
Il Midrash continua:
«Si abbeveravano le greggi, cioè da lì si attingeva lo Spirito Santo. E chi non conosce la gioia dell’attingere l’acqua non conosce la gioia dello Spirito Santo. Si rimetteva la pietra fino alla festa successiva. E quando non la si rimetterà più, sarà la festa di Sukkoth dei tempi messianici» (Midrash Tanaim 94; Pesiqta Rabati 1,2).
È chiara l’identificazione dell’acqua del pozzo di Giacobbe con lo Spirito Santo, pur se questo non è considerato in tutto l’Antico Testamento una persona, ma la forza creatrice e vivificatrice di Dio.
Il rotolamento della pietra
Il rotolamento della pietra è ciò che permette all’uomo di attingere; anzi, le acque zampillano spontaneamente, dissetando tutti quelli che si avvicinano.
Il Targum di Gn 29,2-10 presenta infatti un Giacobbe che per abbeverare il gregge di Rachele toglie la pietra che chiude la bocca del pozzo, facendone scaturire le acque (28,10; 29,10-22; 31,22 cfr. Jub. 16,11-15.19; 36,12 etc.; M.R. 70,8 s. Gen. 29,2 s.). Tranne che in Pr 26,26 s., nell’Antico Testamento solo in Gn 29,3.8.10, e per ben tre volte, si parla di rotolare la pietra (galal eth ha – ‘even). Ai bordi del pozzo, Giacobbe da solo rotola la pietra che i pastori neppure in quaranta riuscivano a rotolare.
In relazione al significato per cui «Scavare pozzi presso i pagani vuol dire aprirli alla parola di Dio», Ber. R. 70,8-9 aggiunge che Giacobbe vede dissetarsi al pozzo di Charran tre greggi, simboleggianti le feste di Pesach, Sukkot e Shebhuot: al pozzo ci si abbevera dello Spirito di Dio; cfr. Pirqé de Rabbi Eliezer 36 ; Tg. Jonatan 28,10. I Targumim, essendo di carattere più popolare, dimostrano che questa interpretazione doveva essere alquanto diffusa.
Be’er = Pozzo significa anche «spiegazione», «interpretazione», cfr. Dt 1,1: «Mosè cominciò a spiegare (Be’er) la legge a Israele». Il pozzo è visto quindi come il simbolo del senso. La pietra rappresenta gli ostacoli alla comprensione. La funzione di Giacobbe e quella di Gesù è di togliere questa pietra.
Mosè, il pozzo e la Legge
Secondo Pirqé Abot 5,6, la bocca del pozzo è una delle sei cose create la sera del sesto giorno: attraverso questa bocca si potevano riversare le acque dell’abisso, per dissetare Israele nel deserto. Il Targum di Nm 21,16 ss. a proposito del pozzo scavato dai patriarchi afferma che è stato donato da Dio stesso, e che la sua acqua è una sorgente che sale e «abbevera tutti, ciascuno all’ingresso della propria tenda». Mosè stesso è legato alle tradizioni sul pozzo dei patriarchi: Giuseppe Flavio lo descrive giunto in Madian
Mosè: Giuseppe Flavio, Ant. Giud. II,254 ss. | Gesù: Gv 4,5 s. |
«seduto vicino a un pozzo a causa della stanchezza e della calura del giorno: era l’ora di mezzogiorno, non lontano dalla città». | «Ora, arriva ad una città della Samaria chiamata Sichar, vicino al podere che Giacobbe aveva dato al figlio suo Giuseppe… Gesù, affaticato com’era dal viaggio, si era seduto sul pozzo; era circa l’ora sesta». |
L’attesa messianica giudaica sembra aver sempre legato il Messia con il dono definitivo dell’acqua del pozzo, immagine della Legge. Il Midrash Rabbah a Qohelet 1,8 annuncia che il «redentore ultimo» farà scaturire l’acqua come il primo, cioè come Mosè che abbevera le greggi (Es 2,15 ss.), tradizione anche questa collegata con il pozzo dei patriarchi: è il Messia che avrebbe donato l’acqua viva che è lo Spirito (cfr. Ez 36.25):
«Come era il primo redentore, così l’ultimo. Come il primo redentore ha fatto sgorgare un pozzo, così l’ultimo redentore farà salire l’acqua, come è dichiarato, “Una sorgente zampillerà dalla casa del Signore e irrigherà la valle delle Acacie“ [Gioele 4,18]».
Un parallelo con il dono mosaico del pane si trova nello stesso testo: «Come il primo redentore ha fatto scendere la manna, così l’ultimo redentore farà scendere la manna». Questo legame fra il dono messianico del pane e il dono dell’acqua getta luce sulla presentazione successiva di Gesù come pane (6,35.41.48.51) e come acqua (7,37-38; cfr. 9,7.
Un testo samaritano del IV secolo così definisce la Legge (Memar Marqah 6,3; 2,1):
«è un pozzo d’acqua scavato da un profeta quale non è mai sorto dal tempo di Adamo: l’acqua che vi si trova viene dalla bocca della divinità… La sua bocca è come l’Eufrate, fa scorrere acque vive che spengono la sete di chiunque ne beve» (6,3).
«Nelle acque profonde di una gradevole sorgente si trova la vita eterna; manteniamoci nella conoscenza per bere alle sue acque. Abbiamo sete delle acque della vita» (2,1).
GenR 70 concede un lungo sviluppo all’interpretazione midrashica simbolica del pozzo di Giacobbe.
«Il pozzo: è il Sinai. Le tre greggi: i sacerdoti, i leviti e Israele. Da questo pozzo si attingeranno i dieci comandamenti. La grande pietra: la Shekinah» (GenR 70,9: la Shekinah è la Presenza divina, l’attendarsi di Dio presso il suo popolo).
Questa tradizione è antica, perché anche i qumranici interpretavano questo pozzo come simbolo della Legge. Per Qumran, il brano di Nm 21,16 ss. è chiaramente simbolico:
«il pozzo è la Legge. Coloro che lo scavarono sono i primi convertiti d’Israele… Il bastone è il ricercatore della legge… I nobili del popolo sono coloro che vengono per scavare il pozzo con l’aiuto di precetti che ha promulgato il legislatore perché essi vi camminino durante tutto il tempo dell’empietà» (CD VI,3-11; cfr. III,12-17: “Essi scavarono un pozzo dalle acque abbondanti. Chi disprezza questa acqua non vivrà”; XIX,34).
Filone d’Alessandria interpreta il canto del pozzo come il canto di vittoria di coloro che hanno conquistato la Sapienza (De Ebrietate III,2), e il pozzo stesso come la Scienza che, nascosta da sempre, ora finalmente il popolo può trovare (De Somniis 269 s.). Nei Midrashim (M.R. Num. 19,25 s.; Gen. R. 21,30 etc.) e nei Targumim (Tg J 1 e Tg J2 Num. 21,16 ss.) il pozzo è la Torah, la Sapienza, e questo ancora fino al trecentesco Zohar: «Giacobbe trovò il pozzo preparato per lui e si sedette vicino ad esso… E ai nostri giorni ancora Israele sta fermo presso il pozzo attraverso il simbolismo dei precetti della Torah» (Gen. 141 a; cfr. 151b-152b; Es. 12b-13b). Così, il pozzo viene a significare tutte le istituzioni giudaiche: la Legge, la Sapienza, il Tempio, il culto, Gerusalemme.
GenR 70,3 propone un’altra interpretazione del pozzo di Giacobbe: la sorgente del Sinai si ritrova nel Tempio di Gerusalemme, perché le acque dovevano scaturire dal santuario secondo la profezia di Zc 13.
«Il pozzo: è Sion. Le tre greggi: le tre feste. Da questo pozzo si attingeva lo Spirito Santo. La pietra era grande: è la gioia dell’attingere. R. Joshua dice: Perché la si chiamava la gioia dell’attingere? Perché è di là che attingevano lo Spirito Santo». Tre volte l’anno, gli israeliti salivano a Gerusalemme per «aprire il pozzo».
Le tradizioni del pozzo e Giovanni
Potreste obiettare che i testi che ho citato presentano idee diverse, perché un po’ si parla di Giacobbe, un po’ subentra la figura di Mosè; un po’ si identifica l’acqua zampillante con lo Spirito Santo, un po’ con la Legge, ed altro ancora. Giusta obiezione, ma dobbiamo tener presente che in Giovanni non si dovrebbe quasi mai dire aut aut, ma solo et et: non o questo o l’altro, ma questo e l’altro. Che Gesù porti a compimento la figura di Giacobbe e insieme di Mosè non deve meravigliare, perché può benissimo presentare senza contraddizione le diverse sfumature di significato.
Lo stesso dicasi per lo Spirito Santo e per la Torah: l’immagine fondamentale è quella della Parola di Dio che dà la vita. Nel Vangelo di Giovanni, la Parola è Persona e quelle immagini di realtà spirituali vive in Israele, come lo Spirito e la Legge, si incarnano nella persona fisica di Gesù di Nazareth. Non c’è contraddizione nei significati, ma passaggio, sviluppo: quello che si diceva di realtà spirituali, adesso si capisce che si concretizza in un Uomo.
Nel capitolo 4, Giovanni riprende dunque le tradizioni dell’acqua viva, ma la sua attenzione è concentrata tutta sull’identità di Gesù: «più grande del nostro padre Giacobbe» (cfr. Gv. 4,12). Gesù soppianta infatti il Soppiantatore e si presenta al pozzo dei patriarchi come lo Sposo: è il settimo uomo – definitivo – incontrato dalla samaritana, colui nel quale i popoli ritrovano l’unità, il nuovo Tempio per i veri adoratori dello Spirito.