Il Pianeta proibito è un film che nel 1956 ha segnato la storia del cinema di fantascienza non solo per gli effetti speciali di tutto rispetto, ma anche e soprattutto per la riflessione antropologica sulle possibili sorti dell’umanità anche se proiettate in una civiltà aliena. Un film che torna di triste attualità se si considera il potenziale distruttivo dell’odierna tecnologia bellica concentrata nelle mani di pochi individui.
Il Pianeta proibito (1956)
Un film che ha fatto la storia del cinema di fantascienza è, nel 1956, Il Pianeta proibito, dopo che nel 1953 La guerra dei Mondi (dal romanzo di Wells) aveva segnato una pietra miliare sul cammino di questa storia. Con il Pianeta proibito, notevole per più punti di vista, c’è una svolta. Anche qui astronavi, spedizioni spaziali, civiltà misteriose, tecnologie sconosciute, alieni potenzialmente ostili… ma al di là di questi ingredienti c’è molto di più. Il Pianeta proibito ha contribuito ad innalzare il cinema di fantascienza ad un livello di prim’ordine.
Il più delle volte è il film che deriva da un romanzo. Qui, una volta tanto, è il contrario: il romanzo, uscito dopo il film, non è che la novellizzazione di quest’ultimo, perciò film e romanzo si somigliano moltissimo, anche se il testo scritto ha a disposizione il mezzo espressivo più adatto per chiarire i concetti più profondi, nel film appena abbozzati.
Effetti speciali di tutto rispetto
Il film ha dalla sua la realizzazione di effetti speciali veramente speciali all’epoca, quando le rocce le facevano di cartapesta, i mostri erano pupazzi ridicoli, e le astronavi erano miniature. No, nel Pianeta proibito quel che non si vede fa più paura di quel che si vede (come nella Guerra dei mondi, del resto, che all’epoca mi terrorizzò anche se dei marziani, alla fin fine, si vedeva solo un tentacolo; salvo poi far ridere l’intera Italia la parodia che ne fece Walter Chiari). Ma nel Pianeta proibito, quando il mostro viene fuori, non smentisce affatto il livello del film; infatti, questi effetti speciali di tutto rispetto sono stati realizzati da tecnici Disney. Se il film non vinse l’Oscar per gli effetti speciali, fu perché in quell’anno lo vinsero i Dieci Comandamenti di Cecil B. DeMIlle.
Il film fu realizzato con molta cura. Il disegno dell’astronave fu derivato dagli “avvistamenti” di dischi volanti, numerosi in quegli anni. Ne furono costruiti tre modelli, del diametro di un metro e ottanta, di un metro e venti e di 50 centimetri. Il materiale di scena poi veniva riciclato: uno di questi modellini fu riutilizzato in un episodio della famosa serie televisiva Ai Confini della Realtà, Gli invasori, e la sala di comando dell’astronave fu ripresa in un altro episodio della stessa serie, comprese le divise degli astronauti: Mostri in Maple Street. Di Robby-the-Robot parleremo a parte.
Dalla fantascienza la fanta-anti-scienza
La storia di questa spedizione interplanetaria originariamente doveva essere ambientata nel 1977, e questo la dice lunga su quanto la fantascienza si sia sbagliata nel predire i voli spaziali. Non si è affatto sbagliata, invece, nella sua lettura della natura e della società umana, e sulle conseguenze catastrofiche cui la storia poteva condurre. Come Tolkien e Lewis sostenevano, la fantasia non è evasione dalla realtà ma visione alternativa della realtà: con gli occhi puntati sulla civiltà aliena dei Krell, senza farci mai vedere uno solo di questi esseri neppure in fotografia, Il Pianeta proibito ci pone davanti al bivio di fronte al quale anche l’umanità dovrà scegliere: proseguire con la sua arroganza scientifica, o umanizzare la scienza?
Così, Il Pianeta proibito si colloca fra quei romanzi avveniristici del più puro stile fantascientifico, ove sono presenti sia l’avventura spaziale che il dato tecnologico, ma possono comportare in definitiva una operazione di fanta-anti-scienza, offrendo una riflessione sulla tracotanza del potere scientifico, la moderna hybris, e sui pericoli della sua degenerazione. Il celebre film, un classico del cinema di fantascienza, pur farcito di civiltà aliene, razze estinte, forze misteriose, reattori nucleari, disintegratori, Robby-the Robot (simpatico prototipo, nell’immaginario collettivo, di ogni automa antropomorfo che segua le tre leggi della robotica già introdotte da Isaac Asimov) ecc. ecc… si conclude, giustamente, con la frase profetica del protagonista alla figlia dello scienziato morto per aver voluto arrestare il potere impazzito della scienza:
«Fra un milione di anni la razza umana giungerà al punto in cui erano I Krell nel loro grande momento di trionfo e di tragedia… e il nome di tuo padre brillerà come un faro nella galassia e ci ricorderà che sopratutto di Dio ce n’è uno solo».
Un film di primati
Il Pianeta proibito registrò diversi primati. Fu il primo film ad avere una colonna sonora fatta esclusivamente di musica elettronica, il che contribuì indubbiamente al suo successo. Il Pianeta proibito fu il primo film ad includere fra i suoi credits un robot, il famosissimo Robby, che replicò i suoi successi in altri film e telefilm, e fu anche ospite di Mike Bongiorno a Lascia o raddoppia. Fu il primo film a mettere in scena le tre leggi della robotica ideate da Isaac Asimov nel 1941. Una scena QUI.
Robby the Robot
Robby fu realizzato da Block e Adler concretizzando per la prima volta sullo schermo le tre leggi asimoviane della robotica, anche queste una pietra miliare della fantascienza d’autore. Nel film originale la voce era di Marvin Miller, in italiano doppiata niente meno che da Alberto Lupo (una curiosità: la voce del cuoco di bordo, il personaggio comico del film, è di Nino Manfredi).
Dentro il robot, per muoverlo, c’era un attore (i più noti: Frankie Darrow e Frankie Carpenter), e il compito non era facile, perché l’involucro pesava circa 50 chili; si aggiungano le apparecchiature elettriche di ben sette motori che dovevano far muovere le antenne rotanti, il giroscopio, i tubi al neon, la tastiera alla base della testa, tre nel torace… Ovviamente Robby non poteva sedersi, e quando si mostra in posizione seduta ai comandi dell’astronave è perché l’attore indossa solo la parte superiore del costume.
Se i miei ricordi sono precisi, fu anche la prima volta in cui un film dette luogo ad un franchise inondando il mondo di tanti piccoli Robby Robot giocattoli. I miei genitori non me lo vollero comprare, la mia famiglia era molto austera; mi sono levata la voglia sessanta anni dopo, quando alcune ditte hanno ripreso a produrre, come giocattolo vintage, anche il simpatico robot antropomorfo, di latta. Così adesso posso dire di averlo, anche se in pratica me lo ha preso il mio nipotino; in fondo, ne basta uno per famiglia.
Un taglio antropologico
Il Pianeta proibito fu anche (ma questo lo dico per i fans) il film che ispirò lo Star Trek di Gene Roddenberry: ve ne troviamo già gli ingredienti, sia tecnologici (i phaser e i comunicatori, ad esempio) che psicologici (la lealtà fra i membri dell’equipaggio e i rapporti di amicizia o competitività fra di loro).
Ma la psicologia, anzi in questo caso la psicanalisi, regna sovrana anche sulla trama stessa del film. Lo sceneggiatore Irving Block ricorda:
«L’idea di un mostro dagli occhi d’insetto è un’illusione un po’ infantile, ma ci sono veri mostri e demoni che esistono dentro di noi e dei quali noi non sappiamo nulla. Siamo in grado di fare le cose più orrende e spesso restiamo scioccati al rendercene conto. Il mostro dell’Id non è che l’invisibile spirito demoniaco di Morbius, ecco perché è invisibile. Alla fine la MGM non riuscì a mandar giù l’idea dell’invisibilità completa e così prese quelli della Disney per fare un esempio dell’Id. Venne alquanto male».
Non sono d’accordo col giudizio estetico dello sceneggiatore: il mostro di pura energia realizzato dai disegnatori Disney, come pure le impronte che si scavano da sole nella terra, evoca un’immagine senza costringerla in una descrizione, ed è perfetto. Così mi parve nel 1956, e così mi appare anche adesso
Il cast
Non ho ancora detto una parola sugli attori. Anzi, sì: perché il vero mattatore di questo film è Robby Robot, l’unico ad essere entrato durevolmente nell’immaginario collettivo. Quanto agli attori umani, invece, notevole l’interpretazione di Walter Pidgeon (Com’era verde la mia vallata, La signora Miniver, Madame Curie, voce narrante in Quo Vadis?) ed anche di Warren Albert Stevens nella parte dell’ufficiale medico dottor Ostrow; incredibile agli occhi di oggi l’interpretazione di un trentenne Leslie Nielsen che qui impersona seriamente il comandante dell’astronave, ma che diverrà celeberrimo per la comicità demenziale degli aerei più pazzi del mondo e delle pallottole spuntate…
Un film di attualità
Manca nella pellicola ogni riferimento esplicito alla guerra fredda, anzi la terra è unita sotto una federazione; ma il film ha un messaggio molto chiaro sulle conclusioni tragiche cui può condurre una scienza impazzita, o meglio gli uomini resi pazzi dalla loro stessa arroganza, che usino la scienza, e la tecnologia conseguente, dimenticando l’umanità. Altri commenti sarebbero superflui.