Il passaggio del Giordano, che si rende necessario a Israele per avere accesso alla terra di Canaan, ha tutte le caratteristiche di un atto liturgico: gli israeliti si santificano prima dell’impresa e marciano processionalmente dietro l’Arca dell’alleanza. Le acque del Giordano si fermano davanti a loro, anche se il fenomeno non viene descritto.
Il passaggio del Giordano
Sappiamo dalla storia che un’interruzione del corso del Giordano fu provocata da una frana nel 1267 per le piogge torrenziali, e che tale evento si ripeté nel 1906, e nel 1927 per un terremoto. Gli esegeti moderni ammettono che Dio abbia potuto servirsi di fenomeni naturali per manifestare la sua potenza salvifica. Il miracolo non sta nel fenomeno, ma nella provvidenzialità con cui si è prodotto. Perché Dio dovrebbe intervenire solo con fatti straordinari? E non con i tanti eventi di cui è costellato il nostro quotidiano?
Il passaggio del Giordano è vissuto come un rinascere dalle acque in un contesto liturgico: una celebrazione che anticipa, non segue, la vittoria. L’Israele di Giosuè è un Israele fiducioso, fedele, obbediente, inquadrato liturgicamente. L’Arca con le tavole della Torah è il segno della presenza di Dio relazione verticale), le dodici pietre (raccolte nel Giordano ed erette in monumento per testimoniare alle generazioni future la protezione di Dio su Israele e la solidarietà delle tribù stesse) indicano la totalità del popolo (relazione orizzontale): sono una per tribù, ognuna nella sua specificità ed autonomia, ma condividono la stessa natura, ed esprimono tutto ciò nel monumento che formano a Galgal.
Ma il gesto, il fatto non bastano: è la parola che ne fonda l’identità, ne spiega il significato, come nella Cena pasquale (Es 12,26.13.14). Così avviene nella liturgia, che ci porta dentro l’Evento, l’unico, del passato, e lo rende attuale per noi.
Nello stesso luogo, presso Gerico, avverrà probabilmente anche il Battesimo di Gesù.