Contestazione di una “omelia”. Il Papa emerito

Il Papa emerito
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La restante mezz’ora dell’omelia / conferenza di Farè non interessa. O è ripetitiva, o riguarda le scelte personali di Farè, cui nel frattempo è stata comunicata dalla S. Sede la scomunica latae sententiae (ovvero quella che scatta automaticamente, in questo caso per scisma) e dai superiori la dimissione dall’Ordine Carmelitano.

Tuttavia, benché fino a questo momento abbiamo letto un’ora di chiacchiere, ci sono due punti della sua posizione che non sono stati chiariti. Il primo riguarda la figura del Papa emerito, e l’altro riguarda lo scopo preciso delle pretese parole e azioni simulatrici di Ratzinger.

Il Papa emerito

È stato lasciato in ombra il fatto che Benedetto XVI abbia coniato la figura inedita del Papa emerito, senza precedenti nella storia. È importante questa innovazione. Infatti, distrugge totalmente la tesi secondo cui se ci sono due Papi contemporaneamente uno è il vero Papa e l’altro deve essere un antipapa. Questo è stato vero nei secoli passati. Non è più stato vero dal momento in cui Benedetto XVI ha scelto per sé il ritiro dal Pontificato. In tale occasione infatti ha assunto un nuovo status e una nuova denominazione per la propria condizione, l’emeritato. Per questo devo ricorrere al maestro di Farè, Cionci.

La tesi di Cionci sul Papa emerito

Cionci scrive:

«Il vero senso del termine “Papa emerito”

Come abbiamo visto, non c’è nulla di canonico-giuridico nel concetto di “ministero allargato”, come non ce n’è alcuno nel concetto di “papa emerito”: lo abbiamo compreso anche grazie al contributo dei latinisti fra Alexis Bugnolo e Gianluca Arca. “Emerito” non va inteso in senso giuridico, come “vescovo a riposo” , come sottolineato da don Regoli, perché è un absurdum: il papa non potrebbe mai essere emerito in questa accezione “burocratica”, come già affermato dai canonisti Boni, Fantappiè , Margiotta-Broglio e dallo storico De Mattei.

Dunque, Benedetto XVI è davvero “il primo papa emerito della storia”: un titolo non canonico, ma semplicemente letterario – storico – qualificativo – fattuale. Egli è “emerito”, da emereo, perché è l’unico degno, l’unico che merita, che ha diritto al titolo di papa, anche se ha dovuto rinunciare di fatto al potere pratico in quanto, per l’ingravescente aetate , non aveva più le forze di opporsi ai suoi nemici e al loro ammutinamento. Se Giovanni Paolo II è stato detto Il Grande, Benedetto XVI passerà alla storia come il Papa Emerito, il Meritevole, l’Insigne, l’Eroe autosacrificatosi per vincere una guerra escatologica. Grazie a lui terminerà il Diluvio, il castigo, per la Chiesa e non solo».

La risposta: che bello sfondare le porte aperte!

Innanzi tutto, attenzione alle citazioni di Cionci: spesso sono usate scorrettamente, tagliandole dal contesto e addirittura distorcendone il significato. Riporto ad esempio, più sotto, la posizione di Roberto De Mattei, che si presenta in tutt’altro modo da quello suggerito da Cionci.

Ora, al netto delle citazioni imprecise e fallaci che adduce, Cionci sostiene fondamentalmente che IL “PAPA EMERITO” NON ESISTE. «Ho letto – spiega il prof. Antonio Sànchez – un’intervista rilasciata ad Andrea Tornielli da mons. Giuseppe Sciacca. Innanzitutto, lo stesso ammette che l’istituto del papa emerito non esiste: “è un esercizio non individuato mai definito in alcun documento dottrinale”, e ancora: “[l’emeritato] non può essere riferito all’ufficio del Pontefice”. Su questo sono tutti d’accordo, anche i canonisti Boni, Fantappiè, Margiotta-Broglio, lo storico de Mattei e altri».

La prima manovra tipica dell’approccio di Cionci – Farè è quella di presentare verità ovvie come se fossero da loro scoperte. Tale ovvietà ha lo scopo di avere il facile consenso dei lettori / ascoltatori. È ovvio che un istituto del Papato emerito non sia mai esistito nella storia. È stata, chiaramente una innovazione di Benedetto XVI, chi l’ha mai negato? Ma la loro posizione sostiene che, poiché il Papa emerito non è mai esistito, allora non esiste neppure adesso.

Essendo una figura mai esistita precedentemente, è anche ovvio che non vi siano norme al riguardo e che non se ne trovi una configurazione giuridica! Bella scoperta anche questa!

Ma che cosa ha voluto attribuire a se stesso Benedetto XVI coniando per la prima volta lo status di Papa emerito? Vediamo la risposta degli esperti Boni – Ganarin.

Boni Ganarin: Il “papa emerito”

Lo status giuridico di “papa emerito”… sebbene sia «assolutamente inedito nella storia della Chiesa» (p. 9), si è contraddistinto per alcune analogie con la condizione del vescovo emerito che ha governato la diocesi fino alla comunicazione dell’accettazione della rinuncia presentata una volta raggiunti i 75 anni di età (cfr. cann. 185 e 402 § 1 CIC).

In entrambi i casi, infatti, il papa e il vescovo rinunciante non conservano più il potere di giurisdizione rispettivamente sulla Chiesa universale e particolare, ma permane la potestà d’ordine, vale a dire «la grazia e il carattere sacramentali dell’Episcopato, sui quali poggiano adeguatamente possibili compiti e missioni peculiari a [loro] ancora affidabili» (Congregazione per i vescovi, Il vescovo emerito, cit., p. 4; cfr. ampiamente Geraldina Boni, Sopra una rinuncia. La decisione di Benedetto XVI e il diritto, cit., passim).

E Benedetto XVI ha ribadito tale immodificabile assetto allorquando specificò che l’istituto dell’“emeritato” avrebbe scongiurato una diarchia al vertice della Chiesa: posto che «la parola “emerito” indicava non il detentore in attività di una certa sede vescovile, ma l’ex vescovo che continuava ad avere un rapporto speciale con la sua sede di un tempo» (Peter Seewald, Benedetto XVI. Una vita, cit., p. 1205), un legame peculiare in forza del munus ricevuto con la consacrazione episcopale che, imprimendo un carattere indelebile, non sarebbe venuto meno con la rinuncia all’ufficio petrino.

Appare perciò incomprensibile la tesi avanzata dall’avvocatessa colombiana Estefanía Acosta e ripresa da Giorgio Maria Faré, per la quale soltanto nel caso del vescovo diocesano munus e ministerium sarebbero tra loro separabili: «Per un Vescovo questa possibilità esiste ed è ciò che accade quando va in pensione: egli mantiene il munus, ovvero l’essere Vescovo, che gli è stato conferito tramite un Sacramento e che quindi non è cancellabile, ma non mantiene il ministerium, ovvero il compito di amministrare una Diocesi. Viceversa, per il Sommo Pontefice, rinunciare al solo ministerium trattenendo il munus è un’impossibilità giuridica “in quanto porta a un frazionamento delle funzioni che, per diritto divino, sono necessariamente inscindibili (perché la titolarità integra delle medesime da parte di una sola persona è essenziale per garantire l’unità della Chiesa)”» (p. 8).

Rebus sic stantibus, se fosse davvero così e stando a quanto teorizzato da Acosta, il papa non potrebbe in alcun modo, date le somiglianze tra la condizione canonica di “vescovo emerito” e quella di “papa emerito”, rinunciare all’ufficio di romano pontefice; eppure tutto ciò non corrisponde alla coerente e coesa tradizione della Chiesa nonché alle effettive intenzioni di Joseph Ratzinger, che ha voluto abbandonare il soglio di Pietro aprendo la strada all’elezione del suo successore: pur mantenendo, alla pari dei suoi confratelli nell’episcopato, il munus derivante dal terzo grado del sacramento dell’ordine.

Questa chiave di lettura, peraltro, si rivela indispensabile per comprendere appieno e non alterare il senso di parte del discorso pronunciato durante l’udienza generale del 27 febbraio 2013 e richiamato da Faré, ove Benedetto XVI, sebbene con linguaggio giuridicamente non ineccepibile, aveva in qualche modo preannunciato i tratti caratteristici dello stato di “papa emerito”, nel quale sarebbe “entrato” il giorno successivo, implicante la perdita dell’ufficio di romano pontefice e la preservazione di un vincolo di natura spirituale, nel nascondimento e nella preghiera, con la sede di Roma e dunque con la Chiesa universale:

«Il “sempre” è anche un “per sempre” – non c’è più un ritornare nel privato. La mia decisione di rinunciare all’esercizio attivo del ministero, non revoca questo… Non abbandono la croce, ma resto in modo nuovo presso il Signore Crocifisso. Non porto più la potestà dell’officio per il governo della Chiesa, ma nel servizio della preghiera resto, per così dire, nel recinto di san Pietro».

Un intervento di Roberto De Mattei

Lo storico Roberto De Mattei, citato a sproposito da Cionci, parte dall’ecclesiologia dei teologi del Concilio e del postconcilio. Si tratta di Congar, Ratzinger, de Lubac, von Balthasar, Rahner, Schillebeeckx… Questo è il suo giudizio su di loro: «hanno preteso ridurre la missione della Chiesa a una funzione sacramentale, ridimensionandone l’aspetto giuridico». E prosegue:

«Il teologo Joseph Ratzinger, ad esempio, pur non condividendo la concezione di Hans Küng di una Chiesa carismatica e de-istituzionalizzata, si è allontanato dalla tradizione quando ha visto nel primato di Pietro la pienezza del ministero apostolico, legando il carattere ministeriale a quello sacramentale (J. Auer-J. Ratzinger, La Chiesa universale sacramento di salvezza, Cittadella, Assisi, 1988).

Questa concezione sacramentale e non giuridica della Chiesa affiora oggi nella figura del Papa emerito. Se il Papa che rinuncia al pontificato mantiene il titolo di emerito, vuol dire che in qualche misura resta Papa. È chiaro infatti che nella definizione il sostantivo prevale sull’aggettivo. Ma perché è ancora Papa dopo l’abdicazione? L’unica spiegazione possibile è che l’elezione pontificia gli abbia impresso un carattere indelebile, che non si perde con la rinuncia. L’abdicazione presupporrebbe in questo caso la cessione dell’esercizio del potere, ma non la scomparsa del carattere pontificale. Questo carattere indelebile attribuito al papato può essere spiegato a sua volta solo da una visione ecclesiologica che subordini la dimensione giuridica del pontificato a quella sacramentale.

È possibile che Benedetto XVI condivida questa posizione, esposta da Violi e Gigliotti nei loro saggi, ma l’eventualità che egli abbia fatta propria la tesi della sacramentalità del papato non significa che essa sia vera. Non esiste se non nella fantasia di qualche teologo un papato spirituale distinto dal papato giuridico. Se il papa è, per definizione, colui che governa la Chiesa, rinunciando al governo egli rinuncia al papato. Il papato non è una condizione spirituale, o sacramentale, ma un “ufficio”, ovvero un’istituzione.

La tradizione e la prassi della Chiesa affermano con chiarezza che uno e solo uno è il Papa, e inscindibile nella sua unità è il suo potere. Mettere in dubbio il principio monarchico che regge la Chiesa significherebbe sottoporre il Corpo Mistico a una intollerabile lacerazione. Ciò che distingue la Chiesa cattolica da ogni altra chiesa o religione è proprio l’esistenza di un principio unitario incarnato in una persona e istituito direttamente da Dio.

Il Papa è una creatura umana, sia pure rivestita di una missione divina. L’impeccabilità non gli è stata attribuita e l’infallibilità è un carisma che può esercitare solo a precise condizioni. Egli può errare dal punto di vista politico, dal punto di vista pastorale e anche dal punto di vista dottrinale, quando non si esprime “ex cathedra” e quando non ripropone il magistero perenne e immutabile della Chiesa. Ciò non toglie che al papa debbano essere resi i massimi onori che possono essere tributati a un uomo e che verso la sua persona si debba nutrire un’autentica devozione, come sempre fecero i santi.

Si può discutere sulle intenzioni di Benedetto XVI e sulla sua ecclesiologia, ma è certo che si può avere un solo Papa alla volta e che questo Papa, fino a prova contraria, è Francesco, legittimamente eletto il 13 marzo 2013. Papa Francesco può essere criticato, anche severamente, con il dovuto rispetto, ma deve essere considerato sommo pontefice fino alla sua morte o a una sua eventuale perdita del pontificato. Benedetto XVI ha rinunciato non a una parte del papato, ma a tutto il papato e Francesco non è papa part-time, ma è interamente papa. Come egli eserciti il suo potere è, naturalmente, un altro discorso».

Sintetizzo

Per quanto riguarda il Papa emerito, si tratta, dunque, di uno status che mantiene il legame spirituale con la Chiesa universale. Questo, mentre recide il legame con l’ufficio di Romano Pontefice per quanto riguarda il governo e il magistero. Il papa teologo J. Ratzinger ha privilegiato, come era nel suo sentire, una visione teologica e sacramentale del Papato, in cui rinunciando all’ufficio di R. Pontefice non si perde il munus spirituale che lega il Papa abdicatario alla Chiesa, per la quale continuerà a pregare, patire e offrire. La visione giuridica porterebbe a dire tutt’altro.

Ma per quanto si possano criticare la sua visione e la sua decisione, il dato di fatto è che questa è stata la sua scelta. La scelta di lasciare il governo della Chiesa ad un nuovo Papa e mantenere personalmente il legame spirituale con essa. È con questo che bisogna fare i conti, non con i sogni che vorrebbero considerare Francesco un antipapa…

Che cosa significa emerito?

Una parola, anche, sul modo di Cionci di intendere l’aggettivo emerito come colui che merita: è del tutto fuorviante. Emerito si riferisce unanimemente ad una persona che ha terminato il proprio servizio, è un ex, ormai. Riporto in proposito il giudizio dell’Accademia della Crusca:

«L’aggettivo emerito è una voce dotta, dal latino emĕritus, -a, -um, participio passato di emerēre, che ha il significato di ‘finire’ (ex) di ‘servire nell’esercito’ (merēre). Nell’antica Roma, la parola indicava il soldato (emeritus miles) che aveva compiuto il servizio militare e ricevuto il congedo e i relativi premi…

Nel Vocabolario degli Accademici della Crusca, l’aggettivo è presente solo nella quinta edizione, coi significati di “titolo che nel linguaggio della milizia romana si dava a quel soldato che aveva compiuto tutto il tempo del servizio militare” e di “titolo che oggi si dà ad un professore di Università o a un socio di un’Accademia, e talora anche a qualche alto magistrato, il quale, avendo compiuto il suo tempo, rimane ascritto tuttavia a quel collegio o a quella magistratura per sola cagione d’onore”. Nel Tommaseo-Bellini, la parola è registrata nelle due accezioni di “licenziato con intera paga per lungo servigio prestato” e “dicesi di socio d’accademia o altro corpo sim., che più non prende parte ai doveri, ma tuttavia le appartiene”…

Sono poi detti emeriti anche “gli ecclesiastici usciti di carica con onore”, come ad esempio il vescovo emerito. Se la qualifica di emerito può essere riferita a un nucleo definito di professioni o di cariche, come professoreconsigliere  e  vescovo, un caso particolare – di grande diffusione nell’ultimo decennio – è quello rappresentato dal titolo di papa emerito, assunto da Benedetto XVI al momento della sua rinuncia all’ufficio di pontefice, il 28 febbraio 2013. L’espressione Papa emerito (o Romano Pontefice emerito) è registrata dal Devoto-Oli 2021 come “titolo conferito a un papa in seguito all’eventuale sua rinuncia al pontificato (istituito nel 2013 in occasione della rinuncia al papato da parte di Benedetto XVI)”…

Per quanto riguarda invece l’accezione di ‘egregio, insigne, ragguardevole’, si tratta, stando al GDLI, di un significato attestato a partire dall’Ottocento; in tutte le occorrenze registrate risulta adoperato in senso ironico: “emerito baro” (Guerrazzi), “briganti emeriti” (Nievo), “ladri emeriti” (Nievo), “fornitore emerito di Libane e di Marie Luise ai ginnasi cittadini” (Gadda)…

In conclusione, l’aggettivo emerito è oggi diffuso col suo significato di ‘che non esercita più un ufficio pur conservandone il titolo’ per professori, presidenti, vescovi, arcivescovi (e all’occorrenza papi, re e regine), ma anche – e soprattutto, nel lessico comune – in senso ironico in riferimento a qualifiche assai meno lusinghiere: possiamo tutti essere emeriti, ma forse non sempre è auspicabile diventarlo!».

Fonte: https://accademiadellacrusca.it/it/consulenza/chi-pu%C3%B2-essere-emerito/13098

In sostanza, che possiamo concludere? La qualificazione di emerito si riferisce a chi non esercita più un servizio ma ne conserva il titolo d’onore. Io stessa, ad esempio, sono docente emerita di S. Scrittura. A meno che non si voglia attribuire a Benedetto XVI e alla sua scelta l’attributo ironico riservato ai truffatori e ai gabbamondo. L’aggettivo “emerito” compare infatti in espressioni del tipo «emerita sciocchezza, «emerita pagliacciata», «emerito imbroglione»…!