Vediamo quale sia più precisamente il munus del Vescovo di Roma.
Il munus del Vescovo di Roma
Scrive il prof. Violi, cui lascio la parola in merito al munus del Sommo Pontefice nel suo studio del 2019:
«Stando al magistero di papa Benedetto, il munus del Vescovo di Roma, ottenuto con l’elezione legittima da lui accettata insieme con la consacrazione episcopale, al pari del munus degli altri vescovi, comporta “un sempre e un per sempre”.
Consapevole che l’ontologica partecipazione ai sacri munera determina un legame esistenziale con la missione affidatagli, Benedetto XVI, nel suo atto formale di rinuncia, non ha utilizzato l’ambigua formula codiciale renuntiatio muneri del can. 332 § 2 CJC 1983. Ha dichiarato invece di rinunciare al ministerium.
A questo punto le considerazioni fin qui fatte relativamente alla distinzione tra munus e ufficio, rilette alla luce della prassi adottata da Benedetto XVI successivamente alla rinuncia, mi sembra attestino la persistenza del nesso ipostatico e irrevocabile con il munus di vescovo di Roma nella persona del papa resignante anche in seguito alla perdita dell’ufficio di Romano Pontefice. Ritengo pertanto che il termine “ministerium” utilizzato dalla Declaratio sia da intendersi in questo caso come sinonimo di officium, secondo un possibile significato già individuato da Peter Erdö nei diversi utilizzi di ministerium nel Concilio.
Sede vacante
Tale lettura trova conferma nelle parole pronunciate da Benedetto XVI nella sua ultima udienza: “Non porto più la potestà dell’officio per il governo della Chiesa”. L’oggetto della rinuncia, ovvero “il ministero del Vescovo di Roma”, non solo suggerisce, ma anche impone questa interpretazione. Applicando le disposizioni canoniche sui Vescovi diocesani al Vescovo di Roma, anche la rinuncia del Romano Pontefice comporta la perdita dell’ufficio e delle potestà annesse. Da ciò consegue che la sede del vescovo di Roma diventa vacante a motivo della rinuncia, e il Papa eletto esercita in pienezza il munus petrino, l’ufficio ecclesiastico di Romano pontefice con tutte le potestà annesse. La rinuncia però non comporta nel resignante la perdita della partecipazione ontologica ai sacri munera».
In sintesi: il munus del Vescovo di Roma
Semplifico il giudizio del prof. Violi: Benedetto XVI si è rapportato con la parola munus come con un termine dall’accezione teologica più che giuridica. L’ufficio, il ministero come esercizio di una funzione può cessare, il munus, dono di grazia che conforma ai triplice munera di Cristo, non è transeunte. Costituisce un rapporto esistenziale che non può venire meno ma può essere esercitato in altri modi, come la preghiera e l’offerta di sé.
Quindi: la perdita dell’ufficio non causa la perdita della partecipazione esistenziale del rinunciante al munus, ma lascia vacante la sede apostolica, che sarà occupata dal nuovo eletto, il nuovo Sommo Pontefice, consegnandogli la pienezza del munus e del suo esercizio.
Il munus del Vescovo di Roma nella sua dimensione passiva (di passione)
Prosegue il prof. Violi:
«Ma come si esprime concretamente il legame non reciso con il munus petrino dopo la rinuncia? In forza della ontologica partecipazione alla missione di Cristo, la vita stessa, “attiva o passiva” del Vescovo di Roma, nella sua totalità, appartiene all’opera di Dio. Quando viene meno l’esercizio attivo del munus mediante le parole e le opere, quando cessa l’ufficio ecclesiastico e i poteri annessi, rimane la vita che continua ad appartenere all’opera di Dio nella sua dimensione “passiva”.
L’aggettivo, vissuto alla luce della partecipazione al munus stesso di Gesù, non descrive una passività, ma indica piuttosto una partecipazione attiva alla passione di Cristo come risposta fedele a una missione che chiede di completare nella carne, mediante la preghiera e la sofferenza, quello che manca ai patimenti di Cristo a favore del suo corpo che è la Chiesa (Col 1,24), sull’esempio del buon Pastore che avendo tutto il potere nelle sue mani depose le vesti, non dismettendo in questo modo, ma portando a compimento il suo munus a servizio degli uomini, cioè la nostra salvezza».