Lettura continua della Bibbia. Luca: Il modello di discepolo (18,15-19,48)

Il modello di discepolo
Gesù benedice i bambini. Di Howe, Henry, 1816-1893 – Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=66390808

Dato che per ricevere bisogna avere spazio, il modello di discepolo è il bambino (18,15-17). Il bambino, in stato di minorità, non è idoneo a proclamare la Scrittura e ad osservare l’intera Legge, e neppure ad essere accolto come discepolo di un rabbi prima dei 13 anni, anche se è destinatario di istruzione da parte prima della madre, poi del padre ed eventualmente di un maestro di paese. Giuridicamente, non ha rilevanza come soggetto attivo, anche se indubbiamente è molto amato.

Il modello di discepolo: i bambini

Per questo i discepoli di Gesù cercano di tenergli lontani i bambini, che sarebbero per un rabbi una perdita di tempo, sottraendogli quello spazio che spetta agli adulti. Questi bambini che Gesù accoglie sono piccoli, il testo li chiama bréphoi, parola che indica i bambini non ancora nati, i neonati e gli infanti: sono solo esseri-di-bisogno, privi di risorse, dipendenti da tutto e da tutti.

I “veri” discepoli, gli adulti, li “sgridano” come fossero demoni da esorcizzare (il verbo è lo stesso). Anche loro, in fondo, sono fautori di una “cultura dello scarto” in cui chi non è adulto e robusto non ha valore. Eppure, sono proprio i bambini il modello autentico di discepolo, nel loro fidarsi, nel loro accogliere il Regno con cuore aperto senza paura di perdere agi e privilegi.

Spogliarsi degli averi

I bambini non possiedono nulla, neppure se stessi. La stessa cosa Gesù, in sostanza, dirà di lì a poco ad una persona ricca e importante (18,18-30): oltre ad osservare i comandamenti, bisogna spogliarsi degli averi che ci snaturano e andare all’essenziale per essere se stessi.

Per questa persona importante, chiamare “buono” il Maestro è solo conferirgli un titolo formale di onore. Gesù restituisce a questa parola tutto il suo valore, strappandola dalla formalità e riconducendola a Dio solo. Da Lui viene ogni bene: la vita eterna, il nostro essere figli del Padre, esige povertà e misericordia, necessità che il ricco, oppresso dai suoi beni, non è disposto a riconoscere. In Luca, però, il ricco, pur triste, non se ne va. Forse nelle parole successive di Gesù avrà potuto trovare la via.

Il paradosso del cammello è provocatorio e deve essere lasciato integro nella sua dimensione iperbolica: alcuni critici hanno cercato di attenuarlo interpretando kamelos / cammello come kamilos / gomena, oppure la cruna dell’ago come una porta molto stretta di Gerusalemme. Non perdiamo la forza dell’immagine, che consiste proprio nell’assurdità della situazione: come può un enorme cammello passare per una minuscola fessura? Eppure a Dio ciò è possibile, e lo farà: il ricchissimo Zaccheo sarà il cammello che passa per la cruna di un ago. Ma anche i discepoli, come Pietro, hanno abbandonato i loro averi per seguire Gesù; e chi avrà lasciato tutto per il Signore (Luca, a differenza di Marco e Matteo, menziona anche la rinuncia alle nozze) riceverà molto di più già in questa vita, e nel mondo a venire la vita eterna.

Corollario di questo stile radicale di povertà è la ripetizione dell’annuncio della passione – risurrezione del Figlio dell’uomo, con il normale esito della incomprensione da parte dei Dodici (18,31-34).