Il marchio di Caino

La Terra non basta più a Caino nel suo girovagare: una tradizione popolare lo fa giungere sulla Luna con un fascio di spine. Di Tomruen – Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=3026958

Il marchio di Caino è un’espressione divenuta proverbiale a partire dall’episodio biblico, tanto da ispirare anche romanzi e film horror.

La stessa figura di Caino, con la sua condanna ad una vita errabonda, ha incentivato la fantasia popolare, tanto che una nota leggenda lo ravvisa addirittura nelle ombre sulla Luna, le macchie lunari, intento a portare sulle spalle un fascio di spine: la Terra, evidentemente, non bastava più al suo continuo errare. Se ne trova un’eco persino nell’Inferno di Dante (XX,126).

In una filastrocca infantile, addirittura, Caino avrebbe aperto una friggitoria sulla luna:

«Vedo la luna, vedo le stelle,

vedo Caino che fa le frittelle,

vedo la tavola apparecchiata,

vedo Caino che fa la frittata».

Il marchio di Caino

Caino, di Lovis Corinth (1917)  – Zeno.org, ID number 20003948579, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=15612518

E che cos’è il marchio di Caino, che lo identifica e lo protegge? Sono possibili diverse interpretazioni.

  • Il segno sarebbe un marchio impresso sul suo corpo a significare punizione, proprietà, o protezione. Secondo il Targum, il segno di Caino è una delle lettere del Nome di Dio.
  • Una diversa interpretazione ritiene che il segno sia un movimento anomalo del corpo, un tremolio, un tic. Queste condizioni fisiche, di cui un tempo non si comprendeva la causa, apparivano come forme di possessione diabolica o di predilezione divina.
  • Infine, il segno potrebbe essere una caratteristica fisica particolare: la lebbra, la mancanza di barba o al contrario l’eccesso di peli, il colore della pelle, la presenza di una o più corna, una deformita’. Tali caratteristiche diventano contrassegni che distinguono le persone emarginate.

Il celebre studioso di antropologia culturale James G. Frazer riporta l’opinione che si potesse trattare di un marchio tribale, identificativo della tribù di appartenenza che avrebbe provveduto a vendicare ogni torto fatto ad uno dei suoi componenti, e tatuato sulla fronte. Questo tipo di marchio però avrebbe identificato la tribù e non un suo specifico membro. Il testo presuppone infatti che il segno sia apposto su una persona che ha contaminato il terreno spargendo il sangue fraterno, e quindi debba essere espulsa affinché la sua presenza tossica cessi.

Costumi tribali

Presso gli arabi della Transgiordania, il fratricida non poteva essere ucciso, ma doveva essere espulso dalla propria tribù senza che un’altra tribù lo potesse accogliere. La condanna, quindi, era quella ad una vita raminga, ma tutelata da una legge non scritta, e contrassegnata da un segno di protezione.

Di questo stile sociale sono storicamente esempio gli Sleyb, nomadi non semiti del deserto siriaco, cacciatori e fabbri, che portano sulla fronte o sul petto un segno tribale a forma di T, e hanno adorato fino al secolo scorso il dio “Io” o “Ia”.

Alcune tribù, i Qeniti e i Recabiti con essi ritenuti imparentati (2 Re 10,15 ss.; Ger 35; 1 Cr 2,55) erano adoratori di Jhwh forse prima degli ebrei, ed i Qeniti manifestavano questa appartenenza al loro dio mediante una specie di tatuaggio (1 Re 20,41; Zc 13,6; Ez 9,4).

Sembra che la sorte di Caino sia modellata su costumi simili.