Lettura continua della Bibbia: Giobbe e i tre amici. Il lamento di Giobbe

Giobbe. Di Otto Rahm (1951), copyright holder: Thomas Zlodi – Own Photo of original artwork, CC BY-SA 3.0 de, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=30748435

Il lamento di Giobbe arriverà al cielo. Siamo alla seconda parte e al secondo quadro del  libro: il dialogo poetico di Giobbe con i tre amici venuti per confortarlo. In realtà, di conforto ne riceverà poco, e il suo grido sembra risolversi in un nulla di fatto. Esprime bene la grande domanda dell’uomo: perché?

Il silenzio di sette giorni è finalmente squarciato dal lamento di Giobbe. In un certo senso, il satana ha già perso la sua scommessa, perché aveva scommesso che Giobbe avrebbe maledetto Dio e invece maledice la propria esistenza a partire dalla notte in cui è stato concepito. In quella notte avrebbe voluto rimanere, senza mai vedere la luce, come nel sepolcro che cancella ogni pena e ogni disuguaglianza.

Il lamento di Giobbe

Le parole tragiche di Giobbe contestano i luoghi comuni, le spiegazioni facili, le dottrine rigide. Tanto è il suo dolore che l’unica sua aspirazione diviene la morte, la grande livellatrice che pone fine ad ogni disparità sociale, per re e governanti, nobili e ricchi, schiavi e prigionieri tanto quanto padroni e aguzzini, piccoli e grandi. E allora, perché vivere? «Perché dar la luce a un infelice e la vita agli amareggiati nell’animo, a coloro che attendono la morte che non viene, e si affannano a ricercarla più di un tesoro?» (3,20-21).

Gli amici che intervengono a confortarlo falliscono lo scopo. Prendiamo ad esempio la parola di Elifaz (Il mio Dio è oro fino): «Ricordalo: quale innocente è mai perito e quando mai furon distrutti gli uomini retti? Per quanto io ho visto, chi coltiva iniquità, chi semina affanni, li raccoglie» (4,7-8).Tutti gli interventi dei tre amici sono infinite variazioni sullo stesso tema: la sofferenza è il castigo del peccato. Per farla cessare basta convertirsi.

Inutili saranno le proteste di Giobbe: i tre amici non faranno altro che girare intorno alla stessa argomentazione, la teoria retributiva della sofferenza. Se la concezione della sofferenza del giusto come prova poteva avere un fondo di verità, questa è palesemente assurda. Giobbe protesta con veemenza contro gli amici, «consolatori molesti» (16,2), ma anche e soprattutto contro Dio che vessa in tal modo gli uomini.

Il grido dell’umanità

E Giobbe non parla solo per sé. Il suo grido è il grido immenso dell’umanità davanti a Dio:

7,1 «Non ha forse un duro lavoro l’uomo sulla terra
e i suoi giorni non sono come quelli d’un mercenario?
2 Come lo schiavo sospira l’ombra
e come il mercenario aspetta il suo salario,
3 così a me son toccati mesi d’illusione
e notti di dolore mi sono state assegnate.
4 Se mi corico dico: «Quando mi alzerò?».
Si allungano le ombre e sono stanco di rigirarmi fino all’alba».
5 Ricoperta di vermi e croste è la mia carne,
raggrinzita è la mia pelle e si disfà.
6 I miei giorni sono stati più veloci d’una spola,
sono finiti senza speranza.
7 Ricordati che un soffio è la mia vita:
il mio occhio non rivedrà più il bene.
8 Non mi scorgerà più l’occhio di chi mi vede:
i tuoi occhi saranno su di me e io più non sarò.
9 Una nube svanisce e se ne va,
così chi scende agl’inferi più non risale;
10 non tornerà più nella sua casa,
mai più lo rivedrà la sua dimora.
11 Ma io non terrò chiusa la mia bocca,
parlerò nell’angoscia del mio spirito,
mi lamenterò nell’amarezza del mio cuore!
12 Son io forse il mare oppure un mostro marino,
perché tu mi metta accanto una guardia?
13 Quando io dico: «Il mio giaciglio mi darà sollievo,
il mio letto allevierà la mia sofferenza»,
14 tu allora mi spaventi con sogni
e con fantasmi tu mi atterrisci.
15 Preferirei essere soffocato,
la morte piuttosto che questi miei dolori!
16 Io mi disfaccio, non vivrò più a lungo.
Lasciami, perché un soffio sono i miei giorni».

Il vocabolario dell’angoscia

Nel capitolo 3, ma anche nel resto del libro, troviamo un diffuso lessico della paura e dell’angoscia: oscurità, affanno, spavento di ciò che può sopravvenire all’improvviso, via sbarrata, tremore, ombra fittissima, sonno di morte, gemito, incubi, terrore… che appartengono non solo al singolo caso di un evento drammatico, ma alla condizione esistenziale dell’uomo.