
La parte cultuale del libro del Levitico, con il Codice di Purità, si conclude e tocca il suo vertice nel grande rituale del Giorno delle Espiazioni o Kippur (yom hakkipurim: cap. 16), ancora oggi elemento essenziale del culto ebraico benché in forma diversa da quella qui descritta. È un rito espiatorio che coinvolge tutto Israele nella confessione e nella purificazione. Il giorno è tanto importante all’interno della tradizione ebraica che già al tempo di Gesù lo si chiamava “Il Giorno” per eccellenza (Yoma).
Il Kippur: un posto centrale
Il posto centrale che il Kippur occupa nel Levitico indica che il centro dei pensieri del redattore è il problema del peccato l’Israele e della sua riconciliazione con Dio. La confessione aveva finora fatto una timida apparizione nel rituale del sacrificio per il peccato (5,5), qui assume forma solenne e, per bocca del sacerdote, comunitaria, espressione del pentimento individuale e generale. Il peccato colpisce in profondità il singolo e la comunità e Israele non può uscirne senza un atto cultuale, cioè un atto che trascenda l’uomo, perché il protagonista insieme con l’uomo è il Dio che perdona.
Il cap. 16 contiene, infatti, la rubrica di un rito che è chiaramente menzionato solo qui in tutta la S. Scrittura ma che ha avuto una grande importanza nel giudaismo: conosciuto a Qumran (1Qab 11,17; 1Q 34 e 1Q34 bis), descritto nel trattato Joma della Mishna; tuttora, benché in forma diversa, una delle celebrazioni più solenni del culto israelitico. La Lettera agli Ebrei nel cap.9-10 si rifà proprio al rituale del Giorno dell’espiazione, mettendolo in parallelo con il sacrificio di Cristo e mettendo in evidenza che Cristo è al tempo stesso sacerdote e vittima, essendo innocente non ha bisogno di espiare per i propri peccati, ed offre un sacrificio che è compiuto una volta per tutte.
Il Kippur: due rituali
Nel brano si trovano doppioni (vv. 6-11 // 10-20) e incertezze sullo svolgimento del rito. Esso, benché connesso storicamente da Lev 16,1 alla morte di due figli di Aronne (cap. 10), è descritto come si svolgeva nel tempio di Gerusalemme, ed è basato sul concetto fondamentale del Kipper (espiazione).
In questo rito sembrano fondersi due filoni cultuali, quelle prettamente levitico basato su immolazioni di vittime e aspersione di sangue, e quello più arcaico dell’invio del capro nel deserto, simile ad elementi che si riscontrano nelle culture pagane. Nello stesso capitolo sono presenti, infatti,due rituali diversi che poi la tradizione ebraica ha conservato e trasmesso.
Il primo (vv.11-15 + 16-19) è di tipo prettamente sacerdotale. Si tratta di un sacrificio espiatorio che il sommo Sacerdote officia per sé e per la stirpe di Aronne col sacrificio di un toro, e per tutto il popolo col sacrificio di un capro; con un’appendice sacrificale a favore del Santuario. L’ambiente di origine è quello del tempio.
La seconda espiazione ha invece origini più antiche e corrisponde a una mentalità arcaica. Consiste nella presentazione di due capi su cui viene tratta la sorte: uno per il Signore, viene sacrificato per il popolo; e uno, per Azazel, è caricato dei peccati del popolo e spinto nel deserto (20-22). Questo secondo rito è di origine sconosciuta. Di fatto il capro è considerato immondo perché carico di peccati,perciò non può essere vittima, ma è lasciato in balia di un demone. Chiaramente il Levitico mette insieme tradizioni antiche con usi più recenti, distanti fra loro anche diversi secoli.
Probabilmente la prima sezione messa per iscritto è il Codice di santità (17-26), opera dei sacerdoti di Gerusalemme, ma questo primo nucleo fu arricchito e rielaborato dopo l’esilio.
Il capro espiatorio
Azazel, cui viene destinato il capro emissario, secondo Siriaca e Targum è il nome di un demone, nel libro di Enoch è il principe dei demoni, secondo alcuni critici è una divinità persiana del deserto o una divinità della tempesta, per altri è l’animale sacro al dio egiziano Set; altre interpretazioni lo considerano un nome comune (precipizio o gazzella). Anche gli esorcisti assiri praticavano un rito simile per liberare un uomo dalla malattia.
La confessione dei peccati
Il gesto rituale che ha però acquistato più importanza è, naturalmente, la confessione dei peccati. Secondo il trattato della Mishna (Joma 3,8; 4,2; 6,2), le confessioni sono tre:
- una riguardante Aronne e la sua casa,
- un’altra riguardante Aronne, la sua casa e i figli di Aronne, compiute sul giovenco prima di immolarlo,
- e infine una terza, fatta sul capro emissario per i peccati del popolo.
La triplice confessione era generica (cambiava solo il soggetto), secondo Joma, e di questo tenore:
«JHWH, il tuo popolo, la casa di Israele, hanno commesso iniquità, sono stati ribelli, hanno peccato contro di te.
O JHWH, ti preghiamo, perdona le iniquità, le ribellioni ed i peccati del tuo popolo, la Casa d’Israele, con cui sono stati iniqui, ribelli e peccatori davanti a te, com’è scritto nella Torah di Mosè tuo servo, dicendo: “Infatti in questo giorno si farà espiazione per voi per purificarvi da tutti i vostri peccati; davanti a JHWJ sarete puri”».
Solo nella terza confessione il sommo sacerdote pronunciava il Nome ineffabile.
Solo al v. 29 (ci si aspettava l’indicazione dopo il v. 2) si dà finalmente la data per questo rito, il 10 di Tishri (settembre / ottobre), con la prescrizione dell’astensione del lavoro e del digiuno (Joma 8,1 la intende in senso lato, come astinenza dal mangiare e dal bere, dai rapporti sessuali, dal lavarsi, dall’ungersi con olio e dal portare sandali).