Lettura continua della Bibbia. Michea:  Il giudizio di Dio

Il giudizio di Dio
Profezia della distruzione del tempio. Di James Tissot – Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=10904551

La speranza del popolo, fissata su di un Dominatore che deve venire dalla Casa di Davide, si incastona tra espressioni di quello che è il giudizio di Dio: perché questo popolo, rappresentato dalla figura della figlia di Sion, è ribelle al Signore.

4,9-13: il giudizio di Dio

9 Ora perché gridi così forte?

In te non c’è forse un re?

Sono forse periti i tuoi consiglieri,

ché ti han colto le doglie come una partoriente?

10 Contorciti e lamentati, figlia di Sion, come la partoriente,

perché ora dovrai uscire dalla città e dimorare nella campagna.

Tu andrai fino a Babilonia, là tu sarai liberata;

là ti riscatterà il Signore dal pugno dei tuoi nemici!

11 Ora si sono riunite contro di te numerose nazioni.

Esse dicono: «Sia profanata!

Il nostro occhio si sazi della rovina di Sion!».

12 Costoro non hanno capito i disegni del Signore;

non hanno indovinato il suo piano:

li ha raccolti come i covoni sull’aia!

Questi versetti hanno in vista l’immagine di Gerusalemme priva del suo re, oppressa dall’assedio e dall’incubo della deportazione, e tuttavia animata dalla promessa della vittoria. Alla visione profetica si sovrappone quella escatologica.

Lamento sulle condizioni di Gerusalemme

nel capitolo 5, all’immagine (vv. 7-8) della regalità gloriosa segue il lamento sulle dolorose condizioni presenti della città di David, priva di ogni guida, condizioni paragonabili alle doglie del parto (cfr. Ger 4,31; 6,24; 15,6; 22,23; 30,6 s.). Questa sofferenza conduce all’esilio, all’uscita dalla vita protetta della città per la vita insicura della campagna, a Babilonia, ma per la salvezza e per il riscatto dai nemici. Troviamo qui il verbo GA’AL = riscattare, redimere, da cui go’el haddam o go’el = vendicatore del sangue, poi redentore: il parente più prossimo che doveva vendicare o redimere l’uomo colpito dalla sventura. L’idea fondamentale è che Dio si riprende ciò che è suo liberandolo (cfr. Es 6,4; poi Dt 9,26; 15,15; 21,8, ecc.).

I vv. 11-13 sembrano estendere in una prospettiva universale, escatologica quanto il profeta aveva espresso in chiave storica (esilio in Babilonia e ritorno). L’assedio storico di Gerusalemme nell’anno 701 a.C. (v. Is 10,6.32; 17,12 s.; 29,1-2) diviene simbolo dell’assalto finale dei popoli o nazioni (gôĵm) contro la città di Dio. Ma la raccolta dei popoli contro Gerusalemme serve ad un disegno divino che essi non hanno compreso: raccolti come i covoni sull’aia, saranno trebbiati e ridotti in polvere da Israele, dotata da Dio di corna di ferro e di unghie di bronzo. Una simile visione escatologica si trova in Zc 12 e 14; Ez 28-29; Gioele 4. La consacrazione del bottino a JHWH completa il quadro dello cherem.

Le colpe di Israele

Israele ha solo un’adesione formale all’alleanza, e si macchia di gravi colpe. Per denunciare queste colpe Michea impiega il genere letterario del Rîb o processo giudiziario: convoca i popoli e il creato (1,2), i monti e le colonne della terra (6,1) a testimoni del processo che Dio intenta al suo popolo: «Popolo mio, che male ti ho fatto? In che cosa ti ho stancato? Rispondimi. Io ti ho fatto salire dalla casa di Egitto» (6,3). È semplice il programma della giustizia: «Uomo, ti è stato insegnato…» (6,8).

Ma se Israele viene meno ai suoi doveri, Dio non rimane spettatore passivo. La fine di Samaria è ormai prossima (1,6 s.: «Io farò di Samaria una rovina in mezzo a un campo, terreni per piantarvi una vigna; farò rotolare a valle le sue pietre e scalzerò i suoi fondamenti. Tutte le sue statue saranno infrante, tutti i suoi guadagni distrutti dal fuoco; tutti i suoi idoli io li ridurrò a nulla; perché guadagnati con il guadagno da prostituta, ritorneranno guadagno da prostituta!»). Ma la sorte di Giuda non è migliore:

«perché il castigo del Signore è ineluttabile, arriva sino a Giuda,

  batte fino alla porta del mio popolo, fino a Gerusalemme!» (1,9).

Il giudizio di Dio

Il giudizio del Signore non è visto genericamente abbattersi sulla nazione, è proiettato da Michea sopra i singoli responsabili. Il criterio che egli usa per annunziare il giudizio del Signore è una sorta di legge di contrappasso:

Per gli avidi accaparratori, è la perdita di tutto:

«In quel giorno si comporrà su di voi una satira,

si canterà un lamento e si dirà: ”Siamo spogliati di tutto;

l’eredità del mio popolo è misurata con la fune;

né c’è chi può restituirgliela;

a chi ci spoglia sono assegnati i nostri campi!”» (2,4).

Per i capi politici, nemici del popolo, è l’inimicizia di Dio:

«“Ascoltate, capi di Giacobbe, magistrati della casa d’Israele!

Non spetta forse a voi il diritto?

Nemici del bene e amici del male,

voi strappate loro la pelle di dosso, la carne dalle loro ossa”.

Essi divorano la carne del mio popolo, e spezzano loro le ossa;

li squartano come carne nella marmitta, come carne nella pentola.

Allora grideranno a JHWH, ma non risponderà loro;

egli volgerà altrove la faccia, a causa dei delitti che han commesso!» (3,1-4).

Per i profeti che hanno abusato del loro ufficio, la privazione del loro carisma:

«Così parla il Signore contro i profeti

che fanno deviare il suo popolo:

Se han qualcosa da mettere tra i loro denti

essi proclamano la pace.

Ma a chi non mette loro niente in bocca

essi dichiarano la guerra!

Perciò c’è notte per voi: niente visione;

per voi le tenebre: niente divinazione;

il sole tramonta per i profeti

e il giorno si oscura su di loro.

I veggenti saranno ricoperti di vergogna,

e chi spiega gli oracoli di confusione;

si copriranno la barba tutti quanti,

perché non c’è risposta del Signore!» (3,5 ss.).

Per i capi politici e religiosi che amministrano Gerusalemme sul sangue, la rovina della città santa:

«Ascoltate dunque questo, capi della casa di Giacobbe,

funzionari della casa d’Israele,

voi che avete in abominio il diritto

e pervertite quello che è retto;

che costruite Sion col sangue

e Gerusalemme col delitto!

I suoi capi fanno giustizia per regali

e i suoi sacerdoti decidono dietro compenso;

i suoi profeti vaticinano per denaro;

si appoggiano sul Signore dicendo:

Il Signore non è forse in mezzo a noi?

La sventura non verrà su di noi!

Perciò, per colpa vostra,

Sion sarà un campo da arare,

Gerusalemme sarà un mucchio di rovine

e la montagna del tempio un’altura selvaggia!» (3,9-12).

La parola finale di Michea, tuttavia, non è di castigo, è di speranza (7,7):

«Ma io volgo lo sguardo verso il Signore,

confido nel Signore, mio Salvatore,

il mio Dio mi ascolterà!».

La speranza di Michea (7,1-7)

Un solo versetto dedicato alle prospettive di salvezza sembra veramente poco, ma Michea sa concentrare in poche parole un pensiero solido e profondo. La sua speranza ha un solo nome, JHWH. Non ci può essere più fiducia in alcuno.

7,1 Ohimè! Sono come uno che spigola d’estate,

come uno che racimola dopo la vendemmia:

non c’è un grappolo da mangiare,

non un fico primaticcio per la mia voglia!

 2 Il pio è scomparso dalla terra

e non c’è un giusto fra gli uomini!

Tutti tendono insidie mortali,

ognuno cerca d’ingannare il suo fratello!

 3 Le loro mani sono rivolte a mal fare:

per agir rettamente il funzionario esige,

il giudice giudica dietro regalie

e il grande parla secondo il suo interesse,

benché cerchi di nasconderlo.

 4 Tra loro il migliore è come un rovo,

il più giusto come una spina.

Il giorno del loro castigo arriva,

ora ci sarà la loro confusione!

 5 Non vi fidate del prossimo,

non abbiate fiducia nell’amico;

davanti a colei che dorme al tuo fianco

guardati di aprire la tua bocca!

 6 Perché il figlio insulta il padre,

la figlia insorge contro sua madre,

la nuora contro sua suocera,

nemici di ognuno sono quelli di casa propria!

7 Ma io volgo lo sguardo verso il Signore,

confido nel Signore, mio Salvatore,

il mio Dio mi ascolterà!