«Il frutto proibito», come «l’albero della conoscenza», che sta ad indicare qualcosa di molto allettante e di vietato all’uomo, è un’espressione che ormai usiamo quasi senza accorgercene. Nel Dizionario di Tullio De Mauro, la definizione che ne viene data è: «Cosa molto desiderata proprio perché proibita o irraggiungibile».
Ovviamente, la derivazione è dal racconto di Genesi 3, ovvero il racconto del peccato originale. Narrato banalmente, suonerebbe così: Dio concede ad Adamo tutto, tranne una piccola cosa: il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male. Il serpente tenta Eva con lusinghe, Eva ci casca, prende il frutto e lo dà anche ad Adamo. Apriti cielo! Si scatena l’ira di Dio. Per una mela, poi…
Bene, dimenticatevi questo tipo di racconto, perché la realtà è molto diversa e devo smontare quasi tutti i significati che si danno popolarmente a questo episodio.
L’albero della conoscenza del bene e del male
L’albero della conoscenza non rappresenta il sapere
Innanzi tutto, togliamoci dalla mente che l’albero della conoscenza rappresenti un sapere universale o un sapere proibito. «Conoscere», biblicamente, non è «sapere»; conoscere è avere un rapporto profondo, personale, con l’oggetto di conoscenza; conoscere è amare, conoscere è possedere.
L’albero della conoscenza non rappresenta la capacità di discernimento
Perciò, la conoscenza del bene e del male non è l’Onniscienza, il sapere universale (anche se, naturalmente, questa non è accessibile all’uomo). Ma non è neppure il discernimento: all’uomo viene proprio chiesto, infatti, di discernere il bene dal male nella sua vita, ed è la mancanza di retto discernimento che lo fa cadere nel peccato.
«Conoscere» il bene e il male
«Conoscere» il bene e il male vuol dire, invece, averne il possesso; stabilire autonomamente ciò che è bene e ciò che è male; e questo è possibile solo a Dio. Mangiare il frutto proibito, volersi appropriare della conoscenza del bene e del male, significa arrogarsi il diritto di scambiare il male per il bene e scegliere di compierlo pretendendo di far bene. Equivale – è questa la tentazione diabolica – a voler divenire Dio.
Il frutto proibito
Il frutto, allora, è immagine per indicare la volontà di travalicare i confini tra Creatore e creatura. Non rappresenta semplicemente il gusto della trasgressione, anche se acutamente Mark Twain scrisse (cito a memoria):
«L’errore fu quello di proibire la mela. Se Dio invece di proibire la mela avesse proibito il serpente, Adamo ed Eva avrebbero mangiato quello, e non ci sarebbero stati più problemi» (dal romanzo «Wilson lo Zuccone»).
Il significato è più profondo: si tratta dell’autonomia di vita dell’uomo dal Creatore.
La tentazione e il frutto
Da notare:
La tattica di tentazione
Il serpente adotta una tattica raffinatissima di seduzione.
Prima esaspera la donna facendole sentire il peso insopportabile di un limite esagerato e assurdo («Ma è vero che Dio ha detto: “Non dovete mangiare di nessun albero del giardino?”» – Gn 31,1).
Poi insinua che Dio stia mentendo, e che menta perché è geloso dell’uomo (e allora perché l’avrebbe creato?) e non vuole che l’uomo divenga come Lui (come se ciò fosse possibile): Gn 3,4-5.
I livelli di tentazione
La tentazione coinvolge completamente la natura umana rappresentata dalla donna: investe la sensibilità (il frutto è buono da mangiare), l’emotività (è allettante da vedere) e l’intelletto (è desiderabile per acquisire comprensione) (Gn 3,6).
Ma insomma, questo frutto cos’era?
Non si dice mai che cosa sia questo frutto proibito. Naturalmente, curiosità vuole che tutti se ne siano chiesti la natura.
Solo nell’occidente latino il frutto è stato identificato con la mela, data la corrispondenza di malum / mela con malum / male. Ma in ebraico non è così. Secondo i rabbini, il frutto del racconto poteva essere:
- Il fico, secondo rabbi Nechemia (perché l’uomo e la donna, dopo il peccato, se ne fanno delle cinture: Gn 3,6-7). Secondo i rabbini, comunque, il fico rappresenta lo studio della Torah, e l’espressione «stare sotto il fico» significa studiare la Torah (cfr. Natanaele in Gv 1,48).
- L’uva, secondo rabbi Meir (l’albero della conoscenza sarebbe la stessa vite con cui Noè, uscito dall’arca dopo il diluvio, fa il vino e si ubriaca: Gn 9,20-21).
- Il grano, la pianta più preziosa (rabbi Yeudah).
- Il cedro, secondo altri.
L’idea più interessante è quella di Rashi:
«Per quale ragione la Scrittura non indica chiaramente il nome dell’albero? Perché Qadosh BarukhHu (il Santo, Benedetto Egli sia) non desidera umiliare nessuna delle Sue creature; altrimenti gli uomini coprirebbero di vergogna quest’albero, dicendo: “Questo è l’albero a causa del quale il mondo è stato colpito!” Ciò è affermato nel Midrash Tanhuma» |
Interessante anche l’idea secondo cui la trasgressione consisté nella volontà umana di trarre la conoscenza, che è un elemento spirituale, dal frutto, che è un elemento materiale. Forse potremmo riflettervi.
Insomma, diciamo tutto, tranne che il frutto proibito, nella logica della narrazione, fosse una mela (del tutto sconosciuta agli ebrei in epoca biblica).