Lettura continua della Bibbia. Giovanni 5,19-30: il Padre e il Figlio

Il Figlio e il Padre
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Amen, amen vi dico (5,19). Con questa autorità divina Gesù inizia il suo discorso di rivelazione. Dio è il Padre suo, Gesù è il Figlio e fa, per dono del Padre, ciò che il Padre fa. Donare senza misura e accogliere senza misura: questa relazione di amore reciproco tra Padre e Figlio diviene anche modello per l’uomo, fatto a sua immagine e somiglianza. Il Figlio è uguale al Padre perché, Amato, dice sì all’Amore. Per questo è inviato al mondo, per manifestargli questo Amore e dargli vita. Chi ascolta il Figlio ha la vita eterna, perché la sua parola lo trasforma in figlio, partecipe dell’amore tra Padre e Figlio, ed esce dalla morte alla vita. Non solo l’uomo della piscina, ma chiunque crede nel Figlio “risorge”, porta il suo giaciglio e cammina.

Il Figlio e il Padre

Questo testo nomina 8 volte “il Figlio”, una volta “il Figlio di Dio” (v. 25), una volta il “ Figlio dell’uomo” (v. 27) e 7 volte “il Padre”. Dio come Padre non è sconosciuto nell’Antico Testamento, che lo chiama col nome di Padre 15 volte. Ma nei Vangeli Gesù lo chiama così non meno di 170 volte, di cui ben 109 in Giovanni, oltre che 4 in Marco, 15 in Luca e 42 in Matteo.

È già chiaro perciò che il tema Padre – Figlio è il centro del IV Vangelo. Il Padre dona tutto al Figlio, gli dona lui stesso e se stesso; il Figlio tutto riceve, il proprio io e il Padre. L’Unico Dio non è un monolite, una Monade autocompiacentesi. È Comunione, Persone-in-relazione, e questa ridondanza di essere, di amore, di vita trabocca nel Creato e nell’Umanità. E la morte, allora, nella realtà di Dio non esiste più.

Il giudizio di Dio è l’amore

La nostra esistenza terrena è il momento del giudizio, del passaggio alla vita o alla morte. Non è Dio a giudicare: siamo noi a giudicare se accettare Dio o no. Dalla libertà dell’uomo, dalla sua decisione viene il giudizio.

“Svegliati, prendi il tuo giaciglio e cammina”. A tutti viene annunciato questo messaggio, ai vivi e ai morti viventi, cioè a coloro che in vita hanno chiuso il loro cuore (5,25). Chi non ha già udito dirsi questa frase, la sentirà alla fine del tempo (5,28), quando ognuno sarà salvo nella misura in cui sarà vissuto da figlio. La salvezza è accettare o rifiutare di essere figli. Questa non dipende da Dio, che ci ama tutti in ugual modo, ma dalla nostra libertà. Fare il bene, agire da figli e da fratelli, questa è già la vita eterna, che troverà la sua pienezza oltre la morte. Fare il male, non amare, questa è già la morte, anche se si è ancora in vita.

Anche coloro che non hanno conosciuto Gesù udranno la sua voce. Per  essi la salvezza dipenderà dall’aver accolto la Parola che viene nel mondo a illuminare ogni uomo (Gv 1,6). Ognuno è chiamato dalla sua coscienza a vivere da figlio e da fratello, secondo le sue possibilità.