Chi è il Figlio dell’uomo? Il titolo è importante, perché è quello che più direttamente rispecchia il parlare storico di Gesù di Nazareth, tanto che compare ben 69 volte nei Vangeli sinottici e 13 volte nel Vangelo di Giovanni; poi viene a cadere nell’uso della Chiesa perché di difficile comprensione per il mondo greco in cui la Chiesa primitiva si stava diffondendo.
San Paolo, infatti, che è il più antico autore cristiano (inizia a scrivere le sue lettere verso il 50, quindi ad appena venti anni dall’evento pasquale del Cristo), non utilizza mai questa espressione che si presta molto ad essere fraintesa nelle lingue occidentali. Già i primi Padri greci tendevano ad attribuirle un significato che essa non ha, interpretandola solo nel senso dell’umanità del Cristo, «Figlio di Dio» in quanto Dio, «Figlio dell’uomo» in quanto uomo. Il senso, invece, è parecchio più complesso.
Il significato originario
Effettivamente, in origine, l’espressione «figlio dell’uomo», che noi scriveremmo tutto in minuscolo, nelle lingue semitiche voleva semplicemente dire «uomo», nel senso di «essere umano». Ben adam in ebraico, bar enasha’ in aramaico, figlio dell’uomo indicava un uomo, una persona, un tale; poteva anche rappresentare un modo di dire, in terza persona, «io».
Nel salmo 8, un bellissimo inno cosmico, il parallelismo del v. 5
Che cos’è l’uomo perché te ne ricordi
E il figlio dell’uomo perché te ne curi?
non vuole affatto distinguere tra due persone diverse, ma fa rima poetica ripetendo due volte la stessa immagine con parole diverse ma simili, dello stesso significato. «Uomo» e «figlio dell’uomo» sono la stessa cosa.
Evoluzione di significato
Nel libro di Ezechiele
Perché, allora, dare un significato ulteriore a questo semplice modo di dire? Perché lo fa la Bibbia, cominciando con l’uso ripetuto dell’espressione ricorrente nel libro di Ezechiele.
Qui, più di 90 volte, il profeta viene chiamato da Dio «figlio dell’uomo», con chiara allusione alla sua fragilità di creatura (come a dire: «Non sei che un uomo, fatto di carne e di sangue») ma anche alla sua dignità profetica: figlio dell’uomo sì, ma un uomo che Dio con la forza dello Spirito ha chiamato e fortificato per adempiere ad una missione impossibile per un uomo, che solo la potenza del Signore può portare avanti. È, quindi, un uomo, ma animato e sorretto dalla forza divina.
Nel libro di Daniele
È poi il capitolo 7 del libro di Daniele a gettare nuova luce sulla figura del Figlio dell’uomo. Quello di Daniele è uno dei libri più recenti dell’Antico Testamento, scritto verso la metà del II secolo a.C. a seguito della persecuzione religiosa scatenata da Antioco IV Epifane contro gli ebrei (167 a.C.) anche se letterariamente retrodatato al VI secolo a.C., al tempo dell’esilio babilonese.
Qui, il veggente Daniele, in una visione notturna, vede sorgere dal mare grande, il mare Mediterraneo, quattro bestie spaventose, una più terribile dell’altra, e venire invece «con le nubi del cielo come uno simile ad un figlio di uomo» (Dn 7,13) cui vengono dati il regno, il potere e la gloria su tutte le nazioni della terra, per sempre.
L’angelo interprete della visione ne spiega il significato: le quattro bestie rappresentano i quattro imperi che hanno dominato Israele e sono passati dalla scena della storia; la figura simile ad un figlio di uomo, quindi ad un uomo, rappresenta il popolo dei Santi dell’Altissimo, il popolo di Dio, che riceverà il regno per i secoli dei secoli (Dn 7,17-18). Questa figura, «simile a un figlio di uomo», ovvero questa figura umana, ha un valore collettivo, è il popolo di Dio.
Adesso ci si spiega la scelta dei simboli: i quattro imperi che hanno schiacciato Israele insieme a tutti gli altri popoli sottomessi sono regni bestiali, inumani e disumanizzanti; il regno di Dio, invece, non solo dà pace, serenità e gioia, ma rende veramente uomini, «umanizza». La provenienza è celeste, come dimostra l’immagine delle nubi, la modalità in cui Dio si manifesta nell’Antico Testamento.
Nell’apocrifo Libro di Enoch
La figura originariamente collettiva del Figlio dell’uomo, però, riceve caratteri individuali in un importantissimo apocrifo giudaico di genere apocalittico (cioè, basato su visioni), il Libro delle Parabole di Enoc, ovvero i capitoli 37-71 del libro apocrifo di Enoc pervenuto in traduzione etiopica, ma precristiano. In questo testo, il Figlio dell’uomo è il Messia, l’Eletto: è divenuto un personaggio individuale, con prerogative, però, solo gloriose.
Nelle parole di Gesù
Secondo la classica tripartizione che Bultmann fa dei detti del Figlio dell’uomo nei Sinottici, l’uso che Gesù compie di tale espressione varia secondo il contesto. Così abbiamo:
- Il Figlio dell’uomo nella presente condizione di umiltà e nascondimento (esempio: quando un aspirante discepolo gli esprime la sua volontà di seguirlo, Gesù risponde «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo» – Mt 8,20).
- Il Figlio dell’uomo nella futura condizione gloriosa al momento della Parousia (ritorno glorioso del Cristo)
- e, condizione intermedia, il Figlio dell’uomo nella sua imminente passione, morte e Resurrezione.
Gesù non voleva che il suo messianismo fosse equivocato nel senso nazionalistico e trionfalistico inteso dai suoi contemporanei. Ha, perciò, utilizzato questa figura enigmatica, che univa in sé le caratteristiche trascendenti (viene dal cielo con le nubi, chiaro segno di divinità nel mondo biblico) e quelle umili (è un uomo, dunque fragile e mortale), per esprimere il proprio ministero umile, sofferente, paziente e insieme glorioso ma attraverso la croce.
Figlio di Dio e Figlio dell’uomo
Tra i due titoli, «Figlio dell’uomo» e «Figlio di Dio», certamente per gli ebrei il titolo trascendente era, piuttosto, il primo, per l’aura celeste che gli era connessa, mentre il secondo era solo un modo di dire per indicare persone, come gli angeli, come il re, come i giudici terreni, che avevano il compito speciale di far osservare la volontà di Dio.
«Figlio di Dio» era il titolo tradizionale del Messia – uomo; «Figlio dell’uomo» aveva assunto, nei circoli apocalittici cui il parlare di Gesù si rifà talvolta, un valore ulteriore, aperto a significati trascendenti. Quando Gesù sarà davanti al Sinedrio e il Sommo Sacerdote gli chiederà se è lui il Messia, Gesù risponderà: «Io vi dico: d’ora innanzi vedrete il Figlio dell’Uomo seduto alla destra di Dio, e venire sulle nubi del cielo!» (Matteo 26, 64). Unirà, dunque, i due titoli, quello tradizionale che gli ebrei erano abituati a legare al Messia umano (Figlio di Dio), e quello apocalittico che conferiva al Messia un’aura celeste (Figlio dell’uomo). Come si può constatare, non tutto è realmente ciò che sembra a prima vista…
La Confessione di Pietro, con il primo annuncio della Passione e Resurrezione, nell’interpretazione pressoché letterale di Zeffirelli, QUI.