Lettura continua della Bibbia. Geremia: il dolore del profeta

Vetrata della chiesa di San Francesco Galileo, El Pueblito, Corregidora, Stato di Querétaro, Messico. Di Enrique López-Tamayo Biosca – https://www.flickr.com/photos/eltb/8049200764, CC BY 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=21915126

Abramo Heschel ha definito il profeta, qualunque profeta, Homo sympatheticus, Uomo simpatetico, cioè persona che com-patisce, che “patisce insieme”. La Simpatia, nel senso etimologico del termine, è la reazione soggettiva del profeta all’incontro con la realtà di Dio. Il Dio dei profeti è il Dio del Pathos, che ama e si coinvolge nella storia dell’uomo, non il Dio dei filosofi che rimane impersonale e asettico rispetto al creato.

Dio assume su di sé la totale realtà dell’umanità: le gioie, le difficoltà, le preoccupazioni. La sua risposta e la sua regola a tutto ciò è  la donazione di Sé… la continua dedizione di Dio alla persona. «L’uomo non è solo un’immagine di Dio – scrive Heschel -: è una preoccupazione perpetua di Dio… È un consorte, un partner, un fattore nella vita di Dio». E il profeta, uomo della Sim-Patia, assume su di sé le «preoccupazioni» di Dio, fa sue le preoccupazioni di Dio.

L’homo sympathetikos, in contrapposizione all’homo apathetikos dello stoicismo, prova emozioni, e il pathos divino «si impossessa del suo cuore e della sua mente». È questo essere posseduto dalla preoccupazione divina che consente al profeta di agire contro il mondo con coraggio.

Geremia, fra i profeti, condivide in massimo grado il pathos divino. Fra di più: condivide con strazio anche il dolore del suo popolo. Il dolore del popolo è il dolore del profeta.

Cap. 4: il dolore del profeta

18La tua condotta e le tue azioni
ti hanno causato tutto ciò.
Questo il guadagno della tua malvagità; com’è amaro!
Ora ti penetra fino al cuore.
19Le mie viscere, le mie viscere! Sono straziato.
Le pareti del mio cuore!
Il cuore mi batte forte;
non riesco a tacere
,
perché ho udito uno squillo di tromba,
un fragore di guerra.
20Si annunzia rovina sopra rovina:
tutto il paese è devastato.
A un tratto sono distrutte le mie tende,
in un attimo i miei padiglioni.
21Fino a quando dovrò vedere segnali
e udire squilli di tromba?
22«Stolto è il mio popolo: non mi conoscono,
sono figli insipienti, senza intelligenza;
sono esperti nel fare il male,
ma non sanno compiere il bene».

La devastazione

23Guardai la terra ed ecco solitudine e vuoto,
i cieli, e non v’era luce.
24Guardai i monti ed ecco tremavano
e tutti i colli ondeggiavano.
25Guardai ed ecco non c’era nessuno
e tutti gli uccelli dell’aria erano volati via.
26Guardai ed ecco la terra fertile era un deserto
e tutte le sue città erano state distrutte
dal Signore e dalla sua ira ardente…
29Per lo strepito di cavalieri e di arcieri
ogni città è in fuga,
vanno nella folta boscaglia
e salgono sulle rupi.
Ogni città è abbandonata,
non c’è rimasto un sol uomo.
30E tu, devastata, che farai?
Anche se ti vestissi di scarlatto,
ti adornassi di fregi d’oro
e ti facessi gli occhi grandi con il bistro,
invano ti faresti bella.
I tuoi amanti ti disprezzano;
essi vogliono la tua vita.
31Sento un grido come di donna nei dolori,
un urlo come di donna al primo parto,
è il grido della figlia di Sion,
che spasima e tende le mani:
«Guai a me! Sono affranta,
affranta per tutti gli uccisi».