Questo articolo è costituito da una relazione che ho tenuto il 29 settembre 2022 nella parrocchia di San Giovanni Bosco in Coteto, Livorno, sul tema Il discorso delle parabole nel Vangelo di Matteo. Ma, prima di affrontare il tema centrale, devo dare qualche indicazione preliminare.
Il vangelo secondo Matteo segue molto da vicino e riprende quasi tutto quanto è presente in quello di Marco (606 versetti sul totale di 661), però abbrevia i racconti, spogliandoli di tutti i particolari più vivi e rendendoli più chiari e organici, incentrati sul tema della fede.
Abbonda molto, invece, in detti che riportano l’insegnamento di Gesù. Ha infatti molto in comune con Luca, soprattutto per quanto riguarda questi detti (cosiddetta fonte Q), e molto materiale proprio, che costituisce un quarto del libro.
L’impostazione del vangelo secondo Matteo
Matteo mantiene l’impostazione geografica e cronologica di Marco (ministero in Galilea, viaggio a Gerusalemme, Pasqua a Gerusalemme) ma, fedele alla propria ebraicità, articola tutto il materiale imperniandolo su cinque grandi discorsi di Gesù alternati con materiale narrativo, e costruendo così un Pentateuco cristiano:
Prologo – Vangelo dell’infanzia (cap. 1-2)
La preparazione al ministero (cap. 3-4)
1.- Discorso della montagna (cap. 5-7)
Le opere di Gesù: i miracoli (cap. 8-9)
2.- Discorso della missione (cap. 10)
La contestazione verso Gesù (cap. 11-12)
3.- Discorso delle parabole (cap. 13)
La fede in Gesù Figlio di Dio (cap. 14-17)
4.- Discorso ecclesiale (cap. 18)
Il confronto con Israele (cap. 19-23)
5.- Discorso escatologico (cap. 24-25)
Il mistero pasquale (cap. 26-28)
Questo, detto molto schematicamente. Vediamo adesso in quale contesto si situa il discorso delle parabole.
Il percorso di Matteo
Il vangelo secondo Matteo si apre con un Prologo narrativo che ci narra le origini remote, la natura divina di Gesù, creduto figlio del falegname ma nato da Maria per opera dello Spirito Santo (Vangelo dell’Infanzia: cap. 1-2).
L’introduzione si prolunga con i cap. 3 e 4 in cui l’evangelista presenta la preparazione di Gesù al ministero pubblico, con il trittico introduttivo consistente nella predicazione del Battista, il Battesimo di Gesù e i suoi quaranta giorni nel deserto; poi, nella chiamata dei primi discepoli e nella prima predicazione del Regno con i gesti taumaturgici che la accompagnano.
- Il primo discorso, quello della Montagna (cap. 5-7), è il discorso programmatico che traccia il Manifesto del Regno, l’identikit del discepolo. Segue un intermezzo narrativo in cui i tanti miracoli di Gesù mostrano in atto l’irruzione del Regno dei Cieli nella storia e nella vita degli uomini (cap. 8-9).
Il Regno dei Cieli (eufemismo che l’ebreo Matteo usa per evitare di nominare Dio) non è una società a cui si appartiene o un luogo in cui si vive, ma un dinamismo che entra nel mondo: sarebbe meglio espresso con un verbo, il regnare di Dio, che chiede di crescere continuamente.
- Ecco allora il discorso missionario con cui Gesù invia i discepoli a predicare l’avvento del Regno, con due requisiti per tutto corredo: povertà e fiducia (cap. 10).
Le difficoltà sono enormi: persino Giovanni Battista dubita, le città della Galilea rifiutano l’annuncio, i farisei accusano Gesù di essere un trasgressore della Legge e un indemoniato (cap. 11-12). Che cosa rappresenta il Regno in questa situazione difficile?
- Il discorso delle parabole (cap. 13) risponde a questa domanda. Gesù racconta in parabole come sia faticosa e nascosta, ma sicura, l’avanzata del Regno fra gli uomini.
La seguente sezione, detta “dei pani”, mostra quanto sia difficile il cammino del Regno, ma come Gesù lo sostenga col suo Pane e con la sua forza (cap. 14-17).
- Discorso ecclesiale: come affrontare le difficoltà interne, perché anche queste sono presenti nella Chiesa (cap. 18).
Seguono controversie che vorrebbero ostacolare il cammino del Regno (cap. 19-23).
- Infine, il discorso escatologico proietta la comunità sugli ultimi tempi (cap. 24-25), preludio a quel che sarà la consumazione del mistero pasquale:
la Pasqua di Gesù a Gerusalemme (cap. 26-28).
Terzo discorso: il discorso delle parabole (cap. 13)
Il terzo discorso è interamente costituito di parabole del Regno: dieci volte vi ricorre la parola parabolé, che traduce l’ebraico mashal, proverbio, detto sapienziale, ma anche similitudine o paragone. Sei volte vi troviamo la formula «Il Regno dei cieli è simile a…»; sette, il numero della perfezione, sono le parabole, tra grandi e piccole. La parabola del seminatore, in un certo senso, racchiude tutte le altre, con il tema del seme, della crescita e del frutto, e del suo carattere nascosto.
Dopo la fondamentale parabola del seminatore, avremmo, secondo B. Gerhardsson, questa struttura:
a) parabola del discernimento (il grano e la zizzania)
b) parabole della crescita nascosta (senape e lievito)
b’) parabole del ritrovamento di ciò che è nascosto (tesoro e perla preziosa)
a’) parabola del discernimento (la rete).
Quindi abbiamo questo andamento del discorso:
- la dinamica del seme gettato nella terra
- il discernimento del seme cresciuto con la zizzania
- la crescita nel nascondimento (due parabole gemelle, relative ad una attività al maschile, la semina, ed una al femminile, la preparazione del pane)
- il ritrovamento del tesoro nascosto (due parabole gemelle, relative al mestiere del contadino e del mercante)
- il discernimento finale (la rete).
Che cos’è una parabola
La parabola è un genere letterario particolare, tipico della mentalità semitica, mentre la nostra mentalità, di matrice greca, tende ad allegorizzare, e questo costituisce per noi un problema di comprensione. Mi spiego.
La parabola non è un’allegoria
La metafora è una figura del linguaggio che attraverso un simbolo, un’immagine concreta, rimanda a qualcosa d’altro, ci conduce al di là del senso letterale. Una metafora continuata in una storia è un’allegoria: ogni elemento del racconto ha un preciso significato simbolico. Ad esempio, allegorica è l’immagine giovannea della vite e dei tralci: ogni elemento dell’immagine ha un valore preciso. Noi ci ritroviamo bene in questo tipo di linguaggio.
La similitudine è un paragone che da un’immagine sensibile, in modo esplicito, rimanda ad una realtà invisibile: il Regno dei cieli è simile a… Vedete la differenza con la metafora? La metafora non dice che una cosa è come un’altra, ma direttamente che una cosa è un’altra: voi siete il sale della terra, voi siete la luce del mondo… Erode è una volpe, a te darò le chiavi del regno…
La parabola invece stabilisce un paragone: il Regno dei cieli è simile a… e si sviluppa in una storia.
Caratteristiche
Però, attenzione:
- la parabola è un racconto fittizio (non riferisce fatti realmente accaduti)
- e plausibile: i fatti potrebbero anche accadere (non come nella fiaba in cui troviamo orchi e fate) o la favola (in cui gli animali parlano)
- ma spesso in modo paradossale.
Non è un raccontino facile facile come per i bambini. A volte ho sentito dire che Gesù parlava in parabole perché tutti lo capissero. Direi il contrario: Gesù parla in parabole perché provoca gli ascoltatori, li prende nel vivo esasperando anche certi toni, e può essere capito soltanto in un’ottica di fede. La parabola vuole traghettare l’ascoltatore in un diverso modo di vedere e di pensare. La parabola è, e vuole essere, provocatoria. Se pretendiamo di spiegare tutto allegoricamente, andiamo anche fuori strada.
A differenza dell’allegoria, dove ogni elemento ha una funzione simbolica, la parabola verte su un solo elemento, e tutto il resto ruota su di esso per vivacizzare il racconto.
Un esempio. Avete presente la parabola matteana delle dieci vergini? Se la intendiamo in senso allegorico c’è qualcosa che non torna. Non era lo sposo ad essere atteso nella casa nuziale, ma la sposa; possibile che lo sposo arrivi a mezzanotte? Dovevano essere le fanciulle del corteo nuziale a portarsi l’olio per le lampade? E, soprattutto, che razza di insegnamento è mai questo? Chi ha l’olio non lo deve dividere con chi non lo ha?
Questi sono solo particolari secondari che devono movimentare il racconto ed attirare l’attenzione. Quelle antipatiche delle vergini sapienti non sono un modello da seguire se non per un particolare. Il particolare importante è uno solo: la vigilanza. Quando verrà il momento, nessuno può sostituirsi a te: l’Incontro ti coglierà come sei, pronto o non pronto ad accogliere il Signore.
La parabola del seminatore
(Mt 13,1-23.31-35)
13 1 «Quel giorno Gesù uscì di casa e sedette in riva al mare. 2Si radunò attorno a lui tanta folla che egli salì su una barca e si mise a sedere, mentre tutta la folla stava sulla spiaggia.
3Egli parlò loro di molte cose con parabole. E disse:
“Ecco, il seminatore uscì a seminare. 4Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. 5Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra; germogliò subito, perché il terreno non era profondo, 6ma quando spuntò il sole, fu bruciata e, non avendo radici, seccò. 7Un’altra parte cadde sui rovi, e i rovi crebbero e la soffocarono. 8Un’altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno. 9Chi ha orecchi, ascolti”.
10Gli si avvicinarono allora i discepoli e gli dissero: “Perché a loro parli con parabole?”. 11Egli rispose loro: “Perché a voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato. 12Infatti a colui che ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a colui che non ha, sarà tolto anche quello che ha. 13Per questo a loro parlo con parabole: perché guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono. 14Così si compie per loro la profezia di Isaia che dice:
Udrete, sì, ma non comprenderete,
guarderete, sì, ma non vedrete.
15 Perché il cuore di questo popolo è diventato insensibile,
sono diventati duri di orecchi
e hanno chiuso gli occhi,
perché non vedano con gli occhi,
non ascoltino con gli orecchi
e non comprendano con il cuore
e non si convertano e io li guarisca!
16Beati invece i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano. 17In verità io vi dico: molti profeti e molti giusti hanno desiderato vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono!
18Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore. 19Ogni volta che uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il Maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada. 20Quello che è stato seminato sul terreno sassoso è colui che ascolta la Parola e l’accoglie subito con gioia, 21ma non ha in sé radici ed è incostante, sicché, appena giunge una tribolazione o una persecuzione a causa della Parola, egli subito viene meno. 22Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta la Parola, ma la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto. 23Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende; questi dà frutto e produce il cento, il sessanta, il trenta per uno”».
Il senso della parabola
La parabola verte sull’attività del seminatore enfatizzando lo spreco, mentre nella successiva spiegazione allegorizzante l’interesse si concentra sulle diverse qualità del terreno.
Attraverso la figura del Seminatore, Gesù descrive la propria azione: mentre parla sparge il seme a piene mani senza badare a spese, con una larghezza paradossale: sembrerebbe «la parabola del seminatore sbadato».
È paradossale che il seminatore non guardi dove semina: per la strada, sulle rocce, tra le spine. Anche tenendo presente il costume della Palestina dell’epoca, in cui prima si seminava e poi si arava, è assurdo che si getti il seme sulla strada o fra le rocce. Il fatto è che il seminatore dona senza misura. Il Signore accetta il rischio di seminare a vuoto, ed anche noi lo dobbiamo correre.
Solo questa paradossalità può far intuire il mistero del Regno. Mysterion, biblicamente, non è un enigma intellettuale, un rompicapo incomprensibile; è, al contrario, una realtà sacra, salvifica, svelata per divina misericordia nel suo attuarsi (un po’ come i nostri “misteri” del Rosario); ma solo coloro che non hanno il cuore indurito possono comprendere.
Il cuore, nella Scrittura, non è la sede del sentimento (quella sede sono le viscere) ma del pensiero; il cuore duro non indica mancanza di bontà, ma di comprensione. L’incomprensione non deriva dalla difficoltà della parabola, ma esiste già nel cuore chiuso, la parabola si limita a metterla allo scoperto. Beati, invece, gli occhi che sanno vedere e gli orecchi che sanno ascoltare… molti antichi giusti e profeti lo desiderarono, e non ebbero questo dono.
Tuttavia, anche coloro cui adesso il dono è offerto possono rifiutarlo,
- se per la loro faciloneria (il terreno superficiale) non sanno difenderlo dal male che lo vorrebbe rapire;
- se non hanno la forza di persistere nelle tribolazioni (il terreno roccioso);
- se si abbandonano alle preoccupazioni per le cose di questo mondo (le spine);
- solo il terreno profondo e sgombro porta frutto, e questi quattro tipi di terreno convivono tutti nel nostro cuore; a noi scegliere quale coltivare.
La parabola del discernimento: il grano e la zizzania
(13,24-30.36-43)
24«Espose loro un’altra parabola, dicendo: “Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. 25Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. 26Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania.
27Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”. 28Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”. E i servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. 29“No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. 30Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponetelo nel mio granaio”…
36Poi congedò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si avvicinarono per dirgli: “Spiegaci la parabola della zizzania nel campo”. 37Ed egli rispose:
“Colui che semina il buon seme è il Figlio dell’uomo. 38Il campo è il mondo e il seme buono sono i figli del Regno. La zizzania sono i figli del Maligno 39e il nemico che l’ha seminata è il diavolo. La mietitura è la fine del mondo e i mietitori sono gli angeli. 40Come dunque si raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. 41Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità 42e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. 43Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, ascolti!».
La presenza del male
Le sette parabole contenute in questo discorso esprimono il dinamismo del Regno nella storia, ma anche la presenza del male che lo contrasta. Nella parabola del seminatore, il male è all’opera nella superficialità del terreno, dove gli uccelli facilmente portano via il seme; nel terreno sassoso, che non permette alle radici di affondare; nel terreno spinoso, che presto soffoca il buon seme.
Le parabole successive rispondono alle domande aperte dalla parabola del seminatore: perché il seminatore non sradica le piante nocive? Perché è così piccolo e debole il seme? Perché sacrificargli tutto? Cosa accadrà alla fine?
Zizzania è il loglio, una gramigna che cresce in mezzo al grano, alta quanto questo; gli somiglia, ma non è buona come nutrimento, e toglie terreno al grano buono; oltre tutto, non è neppure necessario coltivarla, cresce da sola. La pazienza del seminatore non la estirpa, anche se è riconoscibile, ma le lascia tempo fino alla mietitura.
Stupisce questa inazione del padrone: possibile che l’Onnipotente non sia capace di sradicare la zizzania senza fare di ogni erba un fascio? Non è lui che conta persino i capelli del nostro capo? Deve proprio aspettare la fine dei tempi, con grande pena dei giusti?
Il fatto è che il padrone ha a cuore anche la zizzania. Ce ne dà una spiegazione Sap 11,23-12,2 che si pone il problema della gradualità delle “piaghe” d’Egitto: perché l’Onnipotente non ha sterminato gli empi subito con belve feroci o con draghi terrificanti o semplicemente con il soffio della sua bocca, invece di punzecchiarli un po’ alla volta con zanzare, mosconi e cavallette?
Ecco quello che l’autore del libro della Sapienza finalmente comprende:
«Hai compassione di tutti, perché tutto puoi,
chiudi gli occhi sui peccati degli uomini,
aspettando il loro pentimento.
Tu infatti ami tutte le cose che esistono […]
sono tue, Signore, amante della vita».
«Per questo tu correggi a poco a poco quelli che sbagliano […]
perché, messa da parte ogni malizia, credano in te, Signore».
La parabola ci presenta l’infinita pazienza di un Dio che rispetta i ritmi di ciascuno fino al momento in cui l’eternità porrà fine allo scorrere del tempo. Così, il buon grano sarà raccolto nei granai senza che un solo chicco vada perduto, ma anche alla zizzania è data speranza: la speranza che la zizzania che è dentro di noi si converta e diventi grano.
Così pure, il suo atteggiamento ci insegna che non si deve anticipare nei confronti del loglio il giudizio finale: la presunzione di poterlo fare corromperebbe anche i cuori dei giusti.
Anche nella Chiesa convivono grano e zizzania, luce e tenebre, di cui facciamo quotidianamente esperienza. Questa Chiesa santa e peccatrice, vivificata dalla santità di Dio e ferita dal peccato degli uomini, cammina nel tempo col suo passo stanco e lento ma sicuro, nelle tenebre, ma attratta e sorretta dallo splendore dell’eternità.
Anche in questo caso Matteo ne dà la spiegazione allegorica, precisa in tutti i dettagli: il seminatore è Gesù, il campo è il mondo, il grano buono sono i credenti in Cristo, la zizzania coloro che hanno accolto invece il maligno, il maligno stesso è il seminatore di zizzania, gli angeli i mietitori alla fine del mondo, quando tutti i nodi verranno al pettine. Ma originariamente la parabola parla piuttosto di pazienza e di misericordia.
Può sembrare assurdo pazientare tanto col rischio di danneggiare il buon grano: perché si deve tollerare la mala erba, quando il padrone del campo ben la conosce? Tuttavia, anche se il mondo è il campo conteso fra l’attrattiva di Dio e l’attrattiva del diavolo seminatore di zizzania, Dio affida il campo all’uomo, alla sua libertà di scelta. L’uomo non è una preda in balìa di forze cieche che lo costringano; è un essere libero tra le braccia amorevoli del Padre, e niente lo può toccare a meno che l’uomo stesso non lo voglia. La zizzania, piuttosto, non è esterna a lui, è dentro di lui che non deve permetterle di crescere.
Da dove venga la fiducia che il bene vincerà ce lo dicono le due parabole seguenti.
Le parabole della crescita nascosta: il granello di senape e il lievito
(13,31-43)
31«Espose loro un’altra parabola, dicendo: “Il regno dei cieli è simile a un granello di senape, che un uomo prese e seminò nel suo campo. 32Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell’orto e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami “.
33Disse loro un’altra parabola: “Il regno dei cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata”.
34Tutte queste cose Gesù disse alle folle con parabole e non parlava ad esse se non con parabole, 35perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta:
Aprirò la mia bocca con parabole,
proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo».
L’umiltà degli inizi
L’avvento del Regno era atteso come un evento straordinario e potente. Al contrario, queste due parabole riguardano l’umiltà dei suoi inizi. Perché è così piccolo il seme di fronte ad un mondo tanto grande? Perché è così debole davanti a forze così schiaccianti? Non sarebbe stato meglio un inizio più promettente, da una realtà più consistente e vistosa?
Eppure, è proprio nel minuscolo seme che è racchiusa tutta la possanza dell’albero. Non ha importanza che il granello di senape possa non essere proprio il più piccolo di tutti i semi o che la sua pianta possa non essere il più grande degli arbusti, il detto è solo proverbiale e la Bibbia non è un libro di scienze naturali, la sua verità non è quella scientifica ma di fede e di morale. In ogni caso, avviene una crescita prodigiosa tra il piccolissimo seme e la grande pianta che diverrà, e questa crescita è nascosta, misteriosa, non proviene dalle capacità dell’uomo ma dalla forza di madre natura.
Il Regno di Dio agisce nel nascondimento e nella ordinarietà: nella storia dell’uomo sono nascosti il seme della Parola e il lievito di Cristo che crescono dentro di noi nella vita di ogni giorno. Solo se il seme viene nascosto sotto terra, allora diviene pianta capace di dare rifugio anche agli uccelli del cielo. Attraverso il seme che muore, attraverso il dono della vita, il Regno di Dio crescerà. Le tribolazioni che lo afferrano e lo gettano nella terra possono farlo sembrare perdente, ma non lo sconfiggeranno.
Anche il lievito deve essere sepolto nella pasta, appena un pizzico per una grande massa, per farla lievitare e crescere a dismisura. In questo senso, la parabola matteana del lievito è la versione femminile (impastare il pane era mansione della donna) della parabola del seme (il lavoro dei campi era attività maschile).
Si può cogliere però un significato supplementare in queste due immagini. Il granello di senape, in Matteo, è simbolo di fede che sposta le montagne (17,20), e nella Bibbia c’è una sola donna che impasta tre staia di farina ovvero quasi mezzo quintale, bastante a sfamare cento persone: è Sara (Gn 18,6) associata ad Abramo, il credente per antonomasia, nell’accogliere i tre viandanti. Il Regno di Dio si fonda sulla fede, una fede come quella dei patriarchi, ancora embrionale quanto ai contenuti ma grande quanto alla fiducia.
Le parabole del ritrovamento: il tesoro e la perla
(13,44-46)
44«Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo.
45Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose; 46trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra».
Su che cosa investire la vita
Ancora una coppia di piccole parabole, di argomento e di andamento simili tra loro, che risponde ad una domanda aperta dalla parabola del seminatore: perché sacrificare tutto al Vangelo?
L’azione, ridotta al minimo, si svolge in tre tempi: una persona trova un oggetto di valore, vende tutto il resto e lo compra.
Il termine di paragone non è il tesoro o la perla: il Regno dei cieli è una realtà dinamica, un regnare, e non un oggetto. Il termine di paragone, piuttosto, è la situazione: il processo che si innesca quando un uomo trova un tesoro nascosto in un campo o una perla di gran prezzo in mezzo alle cianfrusaglie. Chi trova un simile bene impegna tutto se stesso e tutti i suoi averi per procurarselo.
Accadeva che in tempo di guerra gli oggetti di valore si seppellissero nel campo per sottrarli alla rapina degli invasori. Accadeva anche che nel mestiere della mercatura ci si imbattesse in una pietra di eccezionale valore. Chi trova un tesoro del genere, è logico che venda ogni altra sua cosa per accaparrarselo. Chi sceglie questo investimento ha tutto da guadagnare. Così, la signoria di Dio su di noi deve essere preferita ad ogni altra cosa ed essere accolta subordinandole ogni altro bene. La nostra vita è piena di cose, di attività, di ciarpami che ci soffocano, di abitudini che ci ingessano, di beni di consumo effimeri, ma nessuno di questi è il tesoro, la perla di gran prezzo. Il tesoro è nascosto dentro di noi, sta a noi portarlo alla luce…
Una parabola del discernimento: la rete da pesca
(13,47-58)
47«Ancora, il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. 48Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. 49Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni 50e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti.
51Avete compreso tutte queste cose?”. Gli risposero: “Sì”. 52Ed egli disse loro: “Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche”».
Alla fine dei tempi
Come nella parabola della zizzania, in quella della rete che raccoglie i pesci il tema centrale è il discernimento fra buoni e cattivi in contesto escatologico.
L’accento però è diverso: l’immagine della zizzania spiega la presenza del male nel mondo, quella della rete ci porta subito alla fine dei tempi quando irrevocabilmente gli empi saranno separati dai giusti. Non vi siano equivoci sulla radicalità della sequela evangelica: la misericordia non è lassismo, vuole il bene dell’amato anche a costo di farlo soffrire. E il male esiste ed è ben chiaro, è quanto si oppone al disegno di Dio e si chiude in una sua logica egocentrica che esclude l’apertura agli altri e all’Altro che è il Signore, e deve essere respinto senza compromessi e auto illusioni.
Ora, finalmente, i discepoli hanno capito. Ma l’evangelista ha ancora una parola da dire per suggellare il discorso delle parabole. C’è un’ultima similitudine: lo scriba del Vangelo è come un padrone di casa che trae dal suo tesoro nova et vetera, le cose più nuove e smaglianti insieme a quelle più antiche e pregiate, perché ciò che è valido nel passato non invecchia, è consacrato dalla tradizione.
Epilogo di incredulità
(53-58)
53«Terminate queste parabole, Gesù partì di là. 54Venuto nella sua patria, insegnava nella loro sinagoga e la gente rimaneva stupita e diceva: “Da dove gli vengono questa sapienza e i prodigi? 55Non è costui il figlio del falegname? E sua madre, non si chiama Maria? E i suoi fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? 56E le sue sorelle, non stanno tutte da noi? Da dove gli vengono allora tutte queste cose?”. 57Ed era per loro motivo di scandalo. Ma Gesù disse loro: “Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua”. 58E lì, a causa della loro incredulità, non fece molti prodigi».
L’esito dell’insegnamento di Gesù, però, sembra vanificato: a Nazareth egli non è altri che il figlio del falegname, e la sua famiglia è ben nota in tutta la cittadina. Tale dimestichezza rende difficile credere che questo giovane cresciuto in mezzo a loro possa essere, agli occhi dei concittadini, altro che questo. L’insegnamento di Gesù nella loro sinagoga, perciò, va sprecato: è in atto la parabola del seminatore, che getta il seme a piene mani anche se l’abbondanza può andare dispersa.
In qualche modo, questo rifiuto, esemplificando uno dei possibili terreni su cui il seme cade, il più ostico, fa da inclusione all’intero brano: si sente con gli orecchi ma non si ascolta col cuore, e le parole udite non sono che suoni dispersi al vento. L’incredulità che gli viene manifestata, e che ostacola il suo ministero taumaturgico, è apistia cioè mancanza di fede, ma forse sarebbe meglio intenderla come mancanza di fiducia, diffidenza. Sarà arduo persino per i discepoli comprendere chi Gesù realmente sia. È arduo anche per noi.
Rapide annotazioni sulle parabole
- Sulla parabola del seminatore: quali tipi di terreno riscontriamo in noi? Nella nostra comunità?
- Parabola della zizzania: riflette lo stupore che tutti noi proviamo per la realtà del male. Non dà una risposta al perché, ma ci provoca: il campo della semina, in definitiva, è affidato all’uomo. Anche la zizzania dovrebbe crescere e diventare grano: sarebbe impossibile, come un cammello che voglia passare attraverso la cruna di un ago (Mt 19,24); ma presso Dio tutto è possibile… (Mt 19,26).
- Sulle parabole del granello di senape e del lievito: si potrebbero chiamare “parabole della fiducia”. Da inizi così insignificanti, crescite così straordinarie… e su questa fiducia si costruisce la vita.
- Parabole del tesoro nascosto e della perla di gran prezzo: anche queste invitano a non temere il rischio, a investire sulle cose che hanno davvero valore, perché ne vale la pena. Invitano anche a liberarsi dalle cianfrusaglie per fare spazio a ciò che serve veramente.
- Sulla parabola della rete: mi viene in mente come Luca (5,10) rende il termine pescatore di uomini, nel contesto della vocazione di Pietro. Il verbo che usa è zogréo, che non vuol dire pescare (azione a causa della quale i pesci muoiono), ma prendere vivo, lasciare in vita (come chi in guerra fa prigionieri ma li lascia in vita, appunto), preservare, salvare, in definitiva. La rete del Signore è per la vita…
Testi
Sul vangelo di Matteo potete usare un semplice sussidio della sottoscritta, Matteo. Il vangelo del compimento, edizioni Pharus, Livorno (vedere QUI).
Un testo che può servire per un semplice cammino di riflessione quotidiana sui vangeli è, sempre della sottoscritta Anna Giorgi, Brevi meditazioni dopo la Comunione, edizioni Messaggero di Padova (titolo più banale non lo potevano trovare). Vedere QUI.
Infine, un invito a seguire il mio blog sul sito www.annagiorgi-ilregnodiaslan.it (la presentazione QUI).
Un saluto particolare agli amici di Livorno, la mia città.