
Vi ricordate il Cugino It (o Itt), sì, proprio quello della Famiglia Addams, quell’ammasso informe di capelli (o di pelo)? Quello che non si sa nemmeno che cosa sia? Ebbene, mi sembra che siamo arrivati ad una società tendenzialmente composta di tanti Cugini It, definibili al massimo con un pronome neutro perché non si sa più come chiamarli. Maschi? Femmine? Entrambi? Nessuno dei due? E questa odierna difficoltà, insorta a causa del Politicamente corretto, mi richiama alla mente il Cugino It e, più del Cugino It, gli Ugonotti, quelli, però, del «Visconte Dimezzato» di Italo Calvino (1951).
«Buon giorno, ragazze!». Licenziata

La vicenda che dà spunti per queste riflessioni è accaduta nel 2021 – ma ne viene data notizia solo adesso – in una scuola femminile in Gran Bretagna. La docente in questione, assunta da una costosa scuola privata femminile (retta di 20 mila sterline all’anno), ha salutato la classe con un «Buon giorno ragazze»: scattano un provvedimento disciplinare e il mancato rinnovo del contratto. Il motivo? La classe si è sentita offesa, perché «non tutte in classe si identificano come femmine».
Questo fatto è avvenuto dopo un’assemblea tenuta a proposito di diversità e inclusione, generi e pronomi. Il giorno dopo, le alunne (ma forse dovrei scrivere alunn*, e non saprei come pronunciarl*) hanno scritto i loro nomi alla lavagna e scelto i pronomi, maschili o femminili o neutri con cui essere identificat*. Un* student* ha usato il pronome al plurale, che non identifica il genere.
L’insegnante ha invece ricusato di usare il pronome che non si riferiva al sesso biologico e si sarebbe rifiutata di chiamare *l* alunn* con i pronomi senza coinvolgere prima i genitori. Conseguenza? Richiamo da parte della direzione per discriminazione di genere e procedimento disciplinare; infine, mancato rinnovo del contratto annuale. Nel frattempo, non sono mancate scuse alla classe da parte della direttrice per conto dell’insegnante, traducibili in italiano con:
«Nessuno qui vorrebbe farvi del male e siete tutte/i davvero amate/i da noi. Mi dispiace che vi siate arrabbiati/e e non intendevamo offendere. Siamo dispiaciuti che ci siate rimasti/e male».
La guerra dei pronomi
L’uso dei pronomi è diventato una guerra. L’inglese ha dalla sua il vantaggio dell’invariabilità degli aggettivi, ma quanto a pronomi non può evitare le difficoltà. Infatti, non basta più diversificare il femminile dal maschile.
Ormai, la politica dei pronomi pretende di includere non solo gli esseri umani di genere femminile, ma qualsiasi persona «non binaria»: maschi e femmine che hanno cambiato sesso, maschi che si sentono femmine, femmine che si sentono maschi, persone bisessuali o intersessuali, persone che non vogliono avere un’identità sessuale o fluide… Ecco perché la vecchia sigla LGBT è stata trasformata in LGBTQIA+, ovvero: Lesbian, Gay, Bisexual, Transgendder, Queer, Intersexual, e quant’Altro si voglia aggiungere, c’è ancora posto.
Questa proliferazione non ha portato alla ricerca di un unico pronome che comprenda ogni possibilità, ma – almeno in inglese – a una esplosione di pronomi. La scelta del pronome è del tutto arbitraria e soggettiva: è l’individuo che deve scegliere come gli altri devono chiamarlo. Per essere politicamente corretti, bisognerebbe che in ogni conversazione ciascuno dichiarasse i propri pronomi e chiedesse all’interlocutore quali sono i suoi, con la clausola che se qualcuno sbaglia i pronomi di qualcun altro deve essere ripreso gentilmente.
Questo è il commento avanzato da qualcuno: «In un mondo in cui la maggior parte della popolazione ha problemi ben più seri, concreti, e drammatici, l’esito della guerra dei pronomi rischia di essere la creazione di nuove discriminazioni e stigmatizzazioni. Questa volta ai danni di quanti non vogliono o non possono adeguarsi ai molestatori della lingua» (Fondazione David Hume).
Il Cugino It e gli Ugonotti di Italo Calvino

Forse in Italia non siamo ancora a questo punto, ma se lo striscione di benvenuto agli alunni delle medie deve essere BENVENUT* vuol dire che siamo un bel pezzo avanti. Non si sa più come parlare. Il Cugino It della Famiglia Addams mi richiama la confusione di personalità che si vuol mascherare da fluidità; le artificiose difficoltà di linguaggio mi ricordano gli Ugonotti – non quelli storici: quelli del romanzo Il Visconte Dimezzato di Italo Calvino (1951), un romanzo geniale e crudele. Fra i personaggi secondari vi si trova una comunità di Ugonotti fuggiti dalla Francia dove erano perseguitati. Per la paura di esprimersi in modo sbagliato e sacrilego, non parlavano affatto: borbottavano in modo incomprensibile senza pronunciare le parole.
Sia ben chiaro, onde evitare accuse di offesa a minoranze religiose: non sto parlando dei veri Ugonotti, quelli storici, ma di quelli inventati da Italo Calvino.
Da «Il Visconte Dimezzato» di Italo Calvino, capitolo V
«Nella traversata delle montagne avevano perduto i loro libri e i loro oggetti sacri, e ora non avevano più né Bibbia da leggere, né messa da dire, né inni da cantare, né preghiere da recitare…
Poco esperti di quel che fosse peccato, per non sbagliarsi moltiplicavano le proibizioni e si erano ridotti a guardarsi l’un l’altro con occhi severi spiando se qualche minimo gesto tradisse un’intenzione colpevole. Ricordando confusamente le dispute della loro chiesa, s’astenevano dal nominare Dio e ogni altra espressione religiosa, per paura di parlarne in modo sacrilego.
Così non seguivano nessuna regola di culto, e probabilmente non osavano nemmeno formular pensieri su questioni di fede, pur conservando una gravità assorta come se sempre ci pensassero…
Arrivai una sera a Col Gerbido mentre gli ugonotti stavano pregando. Non che pronunciassero parole e stessero a mani giunte o inginocchiati; stavano ritti in fila nella vigna, gli uomini da una parte e le donne dall’altra, e in fondo il vecchio Ezechiele con la barba sul petto…
Poi intonarono un salmo. Non ne ricordavano le parole ma soltanto l’aria, e neanche quella bene, e spesso qualcuno stonava o forse tutti stonavano sempre, ma non smettevano mai, e finita una strofa ne attaccavano un’altra, sempre senza pronunciare le parole…».
Conclusione…
Per paura di sbagliare, gli Ugonotti di Italo Calvino non parlano più. La situazione del romanzo, naturalmente, è del tutto paradossale. Ma non si sa mai…