Il Crocifisso di San Damiano

Crocifisso di San Damiano. Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=703603

Il crocifisso della chiesetta diroccata di San Damiano presso Assisi fu quello che nel 1205 ispirò San Francesco ad intraprendere la sua vita evangelica. Era un’immagine risalente ad un secolo prima, probabilmente dipinta in Umbria da un monaco siriano. Ha tutte le caratteristiche del Christus triumphans, quindi di un Cristo già risorto e vincitore della morte, ma tanto bastò per ispirare al giovane Francesco di Pietro Bernardone un amore appassionato per il Crocifisso e un desiderio inarrestabile di seguire la sua volontà.

La scena di San Damiano nel film di Zeffirelli QUI.

L’immagine originale, che rimase a San Damiano fino al 1257, si trova adesso ad Assisi nella Basilica di Santa Chiara, mentre a San Damiano è stata messa una copia.

L’immagine: il Christus triumphans

Nell’icona di San Damiano, Gesù è crocifisso ma vivente, trionfa sulla morte. Sta eretto e vigile. La sua aureola è già quella della gloria. Il colore chiaro e luminoso del suo corpo spicca sul rosso scuro e sul nero che rappresentano la sofferenza e la morte. Il suo collo è turgido, di larghezza maggiore rispetto a corrette proporzioni anatomiche, a rappresentare la pienezza della Spirito Santo che Gesù consegna ai suoi al momento della morte. Mentre il Cristo è raffigurato nella sua piena statura, le altre figure sono rimpicciolite. Sopra la testa è posto il Titulus crucis con abbreviazioni: IHS NAZARE REX IUDEORU (GESÙ NAZARENO RE DEI GIUDEI). Il suo volto è sereno e volto verso i fedeli. Sei ciocche di capelli spiovono sulle sue spalle, rimandando probabilmente ai sei giorni della creazione: allusione alla nuova creazione, la redenzione.

Da notare la preziosità del panno che avvolge i fianchi del Crocifisso: ha caratteristiche regali per la qualità del tessuto e del colore, ma è il linteum dello schiavo, il grembiule (greco léntion) del quale Gesù si era cinto per lavare i piedi ai discepoli e del quale il testo non dice che se lo sia tolto dopo aver ripreso le vesti (simbolo della resurrezione). Il particolare è importante perché esprime come la regalità di Cristo (così come dei cristiani) sia il servizio.

L’Ascensione di Cristo al Padre

La cimasa con l’Ascensione e, sotto, il Titulus crucis

Il Cristo crocifisso è vittorioso, con gli occhi aperti. L’immagine è quella del IV Vangelo, in cui la croce è il trono di gloria su cui Cristo viene elevato. Nella cimasa lo vediamo ascendere al cielo, fra gli angeli, recando in mano la croce come uno scettro regale.

In alto la mano del Padre, che lo aveva inviato, lo accoglie con il gesto trinitario (due dita stese e tre chiuse – potrebbe essere anche il contrario – che simboleggiano la duplice natura umana e divina del Cristo e la Trinità di Dio).

A ogni braccio della croce: due angeli ed un santo

Non è possibile identificare con precisione i due santi ai lati della croce, ma non vi è dubbio che essi rappresentino l’umanità intera che il Vangelo ha raggiunto: possono essere due evangelisti o due apostoli, oppure i rappresentanti l’uno del popolo ebraico e l’altro dei gentili, riuniti in unità dal Cristo come in un abbraccio del mondo intero. Questo simbolismo evidenzia il valore cosmico della croce, l’universalità della salvezza.

La Madre, San Giovanni e Longino

Secondo il Vangelo di Giovanni, ai piedi della Croce stavano la Madre e il Discepolo Amato, identificabile con Giovanni apostolo. La figura più piccola in basso a sinistra è Longino, il nome (sconosciuto nei Vangeli) del soldato che appunto nel vangelo di Giovanni trafisse il fianco di Gesù (dal greco Lonche = lancia). Secondo i racconti apocrifi e le leggende successive, si convertì e morì martire.

Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo il minore ed il centurione

Secondo il Vangelo di Giovanni, ai piedi della croce erano presenti anche Maria di Magdala e Maria di Cleofa (Gv 19,25) identificata con la madre di Giacomo il Minore. L’altro personaggio, secondo la scritta appostavi, è il centurione, forse piuttosto il funzionario regio di cui parla Gv 4,46-53, il quale a seguito della guarigione del figlio credette in Gesù con tutta la sua famiglia, che potrebbe essere rappresentata dalle persone alle sue spalle. Nei sinottici, il centurione è colui che, vedendo morire Gesù in tal modo, professò la sua fede esclamando: «Veramente quest’uomo era figlio di Dio» (Mc 15,39).

C’è stata, probabilmente, una commistione fra i due personaggi, che effettivamente poterebbero essere uno solo, protagonista di un episodio raccontato in modi diversi. Con la mano destra (tre dita stese e due chiuse) dimostra di professare la fede nella Trinità e nel Cristo, mentre con la sinistra regge un rotolo (la S. Scrittura, finalmente svelata anche ai pagani) oppure un mattone da costruzione (secondo Luca, il centurione aveva fatto costruire la sinagoga di Cafarnao).

Ai piedi delle figure più grandi, in atteggiamento simmetrico a Longino, quindi in basso a destra, sta un uomo vestito di blu. È stato proposto di identificarlo con il soldato che porse a Gesù l’aceto, completando così i dettagli della Passione. Dato il tipo di abbigliamento, la barba e il colore della veste, è più probabile che rappresenti il popolo d’Israele (il blu è il colore della fede, che contraddistingue il popolo di Dio), responsabile come i romani della crocifissione, ma altrettanto invitato alla salvezza che dalla croce viene per tutti. Il fatto che sia l’unico ad essere raffigurato di profilo, elemento caratteristico nelle icone dei personaggi negativi, va a favore di questa ipotesi.

Il sangue bagna sei santi non più identificabili

Sotto la croce, alcuni personaggi, non più leggibili, ma due dei quali hanno l’aureola, sono irrorati dal sangue di Cristo. Secondo la tradizione, sarebbero i patroni dell’Umbria: San Michele, San Giovanni apostolo,  San Giovanni Battista, San Pietro e San Paolo, San Rufino.  Oppure, fra essi si distinguerebbero i santi Cosma e Damiano, titolari della chiesetta di San Damiano.

Secondo altra ipotesi, poiché questi personaggi sono irrorati del sangue di Cristo, si potrebbe trattare dei primi redenti, i giusti morti senza battesimo che Gesù trae con sé dopo essere disceso agli inferi. Questa spiegazione potrebbe essere ragionevole dato che in alto è rappresentata la scena dell’Ascensione al Padre; simmetria vorrebbe che in basso fosse raffigurata la salvezza dei giusti che Gesù è sceso a salvare dagli abissi della morte.

Per altri, gli anonimi personaggi che si trovano ai piedi del Crocifisso raffigurano la Chiesa, costruita sulla roccia. Le figure sono deteriorate perché l’icona poggiava sull’altare e i fedeli usavano baciarla, usurandola.

Si deve anche considerare che quando l’icona narra un evento essa è divisa in tre piani:

  • il piano superiore, che rappresenta il mondo celeste (qui abbiamo l’ascensione di Gesù al Padre fra gli angeli);
  • il piano centrale, che raffigura l’Evento (qui il Risorto, con i particolari della crocifissione narrati da Giovanni);
  • l’inferiore, che rimanda al nostro mondo, alla storia che viviamo.

Se questa interpretazione vale anche per questa icona, si dovrebbe pensare a personaggi del tempo della storia, quindi a santi martiri, come suggerisce qualcuno, oppure a personaggi che rappresentano tutti noi. Inoltre, l’intera immagine è contornata di conchiglie, simbolo (questo, non biblico) di immortalità; soltanto la base non ne è circondata, e questa assenza potrebbe suggerire che qui sta la nostra storia, una storia ancora aperta sull’eternità ma fatta da persone dall’esistenza ancora fugace.

Il gallo

Accanto alla gamba sinistra del Crocifisso è visibile un piccolo gallo, come allusione al rinnegamento di Pietro ma anche al sorgere del vero sole, il Cristo. Pietro ha rinnegato il Signore, mentre il gallo ha riconosciuto lo spuntare della Luce e, fedelmente, l’ha annunciato. Altri lo interpretano come un pavone, simbolo di immortalità, oppure come una fenice, simbolo della resurrezione. C’è chi dice di vedere, sul lato opposto, un altro animaletto, forse un gatto, ma io non sono riuscita a decifrare niente del genere.

Lettura complessiva

Basilica di S. Chiara ad Assisi, Crocifisso di San Damiano. Di © José Luiz Bernardes Ribeiro, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=52937758

Che cosa ci dice dunque, ad una lettura biblica e teologica, il Crocifisso di San Damiano? Nel suo insieme ci parla di vita: una vita che la morte non può arrestare. Una vita destinata alla gloria immortale, anche se noi non siamo capaci di rappresentarcela e possiamo solo crederla e sperarla. Una vita che è nobilitata su questa terra se viene consacrata al servizio: regnare è servire.

I particolari della Passione (le ferite, il sangue, la lancia) non sono risparmiati, permangono, ma si presentano come se fossero già trasfigurati nel loro significato redentivo. Il volto degli astanti è ammirato ma sereno: hanno compreso, nel loro dolore, che attraverso la croce la morte è sconfitta e la vita trionfa. È un’immagine che infonde serenità e speranza, un’immagine che si presta ad essere contemplata senza troppe difficoltà. Un’immagine che riconcilia con l’atrocità della croce, ben lontana dal modello iconografico che si affermerà poco dopo, quello del Christus Patiens.

Il Christus Patiens

Croce dipinta di autore ignoto, 1210 circa. Pisa, Museo nazionale di San Matteo. Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=22093711. È uno dei primi esempi di Christus Patiens

Questo modello iconografico, che si era imposto totalmente fino agli inizi del Duecento, proprio per impulso del francescanesimo e della sua contemplazione della vera umanità di Cristo nella Natività e nella Passione cederà presto il posto al Christus patiens, il Cristo sofferente, accasciato morente o morto mentre pende dalla croce. Uno dei primi esempi di questo tipo si ha con il Crocifisso n. 20 del Museo nazionale di San Matteo a Pisa, dipinto verso il 1210. Da allora, queste raffigurazioni si moltiplicheranno dominando l’iconografia dei secoli successivi.