Al discorso ecclesiale (cap. 18) segue una lunga sezione narrativa che inizia con il viaggio di Gesù verso Gerusalemme (19-20), viaggio durante il quale egli istruisce i suoi discepoli sulle condizioni della sequela. La narrazione proseguirà con il racconto dello svolgimento del ministero di Gesù in Gerusalemme (21-23), in cui Gesù si fa riconoscere come Messia e come Figlio dell’uomo che deve venire nella gloria. Intanto, Gesù fa delle proposte precise ai chiamati, a partire da qualcosa di inaudito in Israele: il celibato scelto per il Regno dei Cieli.
Istruzione ai discepoli (Mt 19-20): Matrimonio e celibato (19,1-12)
Gesù guarisce le folle che lo seguono, ma non rivolge più ad esse il suo insegnamento, proseguendo nel silenzio che era iniziato a partire dal discorso delle parabole. Il suo insegnamento adesso è rivolto ai discepoli. Nel capitolo 19 si disegna quella pagina del vangelo di Matteo che viene detta dei Consigli evangelici: castità, obbedienza, povertà. Sono le Beatitudini incarnate nelle scelte di vita dei discepoli: beati i puri di cuore… beati i miti… beati i poveri… Nel frattempo, Gesù affronta anche le guide spirituali di Israele che lo provocano per metterlo in difficoltà, cercando di costringerlo a porsi contro l’uno o l’altro dei loro maestri o delle loro correnti e inimicarsi i loro seguaci.
La questione del ripudio
La prima domanda si basa su una questione molto dibattuta tra i discepoli di rabbi Shammai e quelli di rabbi Hillel, due maestri che al tempo di Gesù erano già morti, ma le cui scuole continuavano il loro pensiero.
Data per scontata la liceità del ripudio prevista e regolamentata in Dt 24,1 s., si discuteva su quale fosse il motivo richiesto per concederlo, visto che la norma deuteronomica non lo precisa, limitandosi a parlare di «qualcosa di ripugnante». Rabbi Shammai lo interpretava, al suo solito modo intransigente, nel senso più rigoroso e riduttivo, circoscrivendolo al caso di grave immoralità o sospetto adulterio. Rabbi Hillel, più elastico, lo estendeva a qualunque cosa sgradevole un uomo riscontrasse nella propria moglie, persino un cibo mal cucinato.
La terza via: in Principio
Sembrava inevitabile che Gesù, così radicale, si schierasse dalla parte di Shammai, inimicandosi i seguaci di Hillel, quelli che poi risultarono essere più autorevoli. Ma Gesù, qui come nelle controversie seguenti, trova sempre una terza via che le supera tutte.
Il problema come gli è stato posto, infatti, non sussiste, perché il ripudio, semplicemente, non è lecito, in quanto in principio il Creatore fece indissolubile la coppia umana. Non «Dio ha ordinato», ma «Mosè ha concesso» la possibilità di ripudio a causa della durezza del cuore dell’uomo, quella sclerocardia che non permetteva ancora di capire il disegno di Dio.
La clausola matteana
Matteo, e lui solo fra gli evangelisti, sembra fare un’eccezione in caso di porneia / impudicizia. Tuttavia, se il vocabolo si riferisse all’immoralità della donna, Gesù si limiterebbe ad allinearsi con la posizione di Shammai. La «clausola matteana» ha invece senso in contesto giudaico, quello dei lettori del suo Vangelo, e si riferisce a quella che veniva chiamata appunto porneia in greco e zenuth in ebraico, ovverossia l’unione illegittima, non valida secondo la legge di Mosè, come un matrimonio misto o un’unione incestuosa.
Questo problema non interessava i pagani, che non avevano tutte quelle regole. Matteo vuol dire questo ai suoi destinatari ebrei: nel caso delle unioni illecite (noi le chiameremmo oggi «convivenze») la legge dell’indissolubilità – Matteo lo chiarisce bene – non ha vigore.
Il celibato per il Regno dei Cieli
Infatti i discepoli, ben comprendendo che Gesù sta parlando di una indissolubilità senza eccezioni per le nozze validamente contratte, ci scherzano sopra. Inventano una battuta: allora, se un uomo deve rimanere legato alla stessa moglie per tutta la vita, meglio sarebbe non sposarsi neppure! Sanno di dire una solenne sciocchezza, perché la prima legge di ogni ebreo è sposarsi e avere figli. Nel giudaismo il celibato è inammissibile, perché ogni credente ha il dovere personale di sposarsi e mettere al mondo figli e figlie, moltiplicando così nel mondo quelle immagini di Dio che sono gli esseri umani.
Nell’Antico Testamento c’è un solo celibe, il profeta Geremia, ma il suo celibato è solo un’aggiunta a tutte le sciagure che piombano su di lui, è un segno di morte: infatti, il suo celibato e quindi la sua sterilità è segno della fine di Gerusalemme. 2 «Non prendere moglie, non aver figli né figlie in questo luogo, 3 perché dice il Signore riguardo ai figli e alle figlie che nascono in questo luogo e riguardo alle madri che li partoriscono e ai padri che li generano in questo paese: 4 Moriranno» (Ger 16,2-4). Così ingiunge il Signore al profeta. Il celibato di Geremia è solo negativo.
Ma Gesù si serve di questa battuta umoristica per rilanciare un nuovo cammino vocazionale: c’è chi è impossibilitato al matrimonio per menomazioni congenite o causate dagli uomini (l’abominevole pratica della evirazione serviva per procurarsi i guardiani degli harem, dove i maschi non erano ammessi), ma d’ora in avanti c’è anche chi rinuncia volontariamente alle nozze e si fa celibe per il Regno dei cieli, ovvero per testimoniare fin d’ora la vita beata del Regno con uno status di vita che la prefiguri.