Il Carducci e S. Francesco. Questo accostamento viene a proposito oggi, nella festa di S. Maria degli Angeli. Infatti, Giosuè Carducci ha pubblicato tra le Rime Nuove, nel 1887, una poesia ispirata dalla figura del Santo di Assisi alla Porziuncola (la possiamo ascoltare QUI recitata dalla inimitabile voce di Arnoldo Foà).
Santa Maria degli Angeli
Frate Francesco, quanto d’aere abbraccia
Questa cupola bella del Vignola
Dove incrociando a l’agonia le braccia
4 Nudo giacesti su la terra sola!
E luglio ferve e il canto d’amor vola
Nel pian laborïoso. Oh che una traccia
Diami il canto umbro de la tua parola,
8 L’umbro cielo mi dia de la tua faccia!
Su l’orizzonte del montan paese,
Nel mite solitario alto splendore,
11 Qual del tuo paradiso in su le porte,
Ti vegga io dritto con le braccia tese
Cantando a Dio — Laudato sia, signore,
14 Per nostra corporal sorella morte!
Il Santo Poverello, forse, gli dava coraggio per confrontarsi col passo decisivo che tutti devono compiere ed in cui due persone a lui care, carissime, già gli si erano sottratte alla vista e all’affetto: il fratello Dante e il figlioletto dello stesso nome.
Il Carducci ad Assisi
Giosuè Carducci era stato ad Assisi nei mesi di luglio e di ottobre del 1877, come commissario agli esami di Stato. In una lettera all’amico poeta Giuseppe Chiarini, preside di liceo e alto funzionario al Ministero della Pubblica Istruzione, registra l’impressione che ne aveva riportato:
«Qui il paese è veramente bello […]. Fui ad Assisi: è una gran bella cosa, paese città e santuario, per chi intende la natura e l’arte, nei loro accordi con la storia, con la fantasia, con gli affetti umani» (Memorie di Giosuè Carducci, in Antologia Carducciana, Bologna 1907, p. 53).
Il Carducci e S. Francesco
Certamente di Assisi il Carducci apprezzava la memoria dantesca e l’arte. Ne è un esempio la cupola bella del Vignola citata con ammirazione benché contrasti con l’umiltà di Francesco che giace sulla nuda terra.
Le architetture italiane, con le loro arcate spinte verso il cielo, esprimevano, per il Carducci, l’aspirazione dell’anima all’Infinito. Ma qui, in Santa Maria degli Angeli, trapela uno sguardo che non è rivolto solo alle bellezze italiche o al fascino dell’infinito e dell’aspirazione alla pace. Lo sguardo del poeta è volto alla povertà e umiltà di un Santo, non celebrato qui come il più santo degli italiani e il più italiano dei santi, come voleva già la tradizione ottocentesca, ma come un uomo nudo sulla nuda terra, senza il minimo disprezzo – e questo ci può meravigliare – per l’ascetismo cristiano. Forse, quella che il Carducci vede in S. Francesco è la vittoria sulla morte, che il Santo dimostra possibile:
………. Oh che una traccia
Diami il canto umbro de la tua parola,
L’umbro cielo mi dia de la tua faccia!
Su l’orizzonte del montan paese
Nel mite solitario alto splendore
Qual del tuo paradiso in su le porte
Ti vegga dritto con le braccia tese
Cantando a Dio – Laudato sia, Signore,
Per nostra corporal sorella morte!
La ricerca della pace
Il paradiso è «tuo», dice il Carducci riferendosi a S. Francesco: non è suo, purtroppo, almeno sino ad allora. Il paradiso è visto dal di fuori, come se appartenesse ad un altro. Rimane, fra il Santo e il poeta, una distanza rimarcata con chiarezza: il Signore in cui il Santo trova la vita è del Santo e non del poeta. Affiora una certa invidia e sofferenza in questo distacco.
Adesso le porte del paradiso, nella poetica del Carducci, non sembrano più essere cercate da un fanatico, un dissennato, un rinunciatario, un masochista (come il poeta si raffigurava l’asceta cristiano), ma da un uomo che al seguito del suo Signore ha trovato la gioia, tanto da rendere sorella anche la morte e fare della morte la porta della vita. San Francesco nella sua nudità appare non debole ma forte, trionfante, pieno di lode e di gaudio, dritto con le braccia tese ad abbracciare cielo e terra. Forse – e rimarco il «forse» – in quel «tuo» trapela un senso di indegnità: il poeta non è degno di quel paradiso che appartiene agli umili.
Si può escludere che il Carducci senta S. Francesco vicino a sé per la dolcezza con cui, ad esempio, ama la natura, una dolcezza che in certe interpretazioni scade nella sdolcinatura. Qui non si tratta di dolcezza, ma di dura radicalità cristiana. In questo momento della sua vita, il poeta riesce a cogliere la profondità e autenticità della gioia e della lode al Signore nel vissuto francescano. Qui sente di poter trovare – anche se ancora forse non ne è capace – la realizzazione della sua ricerca di quiete, e di un pacificato rapporto con la morte. Il poeta probabilmente ha intravisto in San Francesco, almeno per un istante, chi ha saputo trovare alla fine la pace.