
Tra le immagini più famose utilizzate da Isaia per comunicare il suo messaggio troviamo l’immagine della vigna, in quello che è chiamato, appunto, il Canto della Vigna, legato al tema del peccato di Israele. Il tema del peccato di Israele compare insistentemente nei profeti, e tornerà in Is 29,13:
Questo popolo si avvicina a me solo a parole
e mi onora con le labbra,
mentre il suo cuore è lontano da me
e il culto che mi rendono
è un imparaticcio di usi umani.
Il canto della vigna
Isaia usa per la prima volta l’immagine della vigna per formalizzare l’atto di accusa contro il popolo ribelle (5,1-7), rivolgendo a Dio un appellativo inusuale, unico nella Bibbia, ma non più sorprendente dopo l’utilizzazione del linguaggio d’amore da parte di Osea:
5,1 Voglio cantare per il mio diletto
un cantico d’amore alla sua vigna.
Il mio diletto possedeva una vigna
su un colle ubertoso.
2 Egli la vangò, la liberò dai sassi
e la piantò di viti eccellenti,
in mezzo ad essa costruì una torre
e vi scavò anche un tino;
attese poi che facesse uva,
invece produsse uva aspra.
3 E ora, abitanti di Gerusalemme e uomini di Giuda,
giudicate tra me e la mia vigna!
4 Che cosa avrei dovuto fare ancora alla mia vigna
che io non abbia fatto?
Perché, attendendo io che facesse uva,
essa produsse uva aspra?
5 Ma ora vi farò sapere ciò che farò alla mia vigna:
rimuoverò la sua siepe e sarà buona a bruciare,
distruggerò il muro di cinta e sarà calpestata.
6 La ridurrò in rovina: non sarà potata né vangata;
vi cresceranno rovi e pruni,
e comanderò alle nubi
di non mandare pioggia su di essa.
7 Ebbene, la vigna del Signore degli eserciti è la casa d’Israele;
gli abitanti di Giuda la sua piantagione prediletta.
Ne attese rettitudine, ed ecco invece spargimento di sangue,
giustizia, ed ecco invece grida di angoscia.
Il Canto della Vigna in riferimento a Israele
Il canto della vigna era probabilmente in origine un canto di lavoro; poi l’immagine della vigna viene riferita alla donna (come in Cantico 1,6; 7,9; 8,12); ma già Osea la applica a Israele in 10,1:
Rigogliosa vite era Israele, che dava frutto abbondante;
ma più abbondante era il suo frutto, più moltiplicava gli altari;
più ricca era la terra, più bella faceva le sue stele.
Dopo Isaia, anche Geremia ed Ezechiele riprendono l’immagine della vigna in relazione ad Israele; anche Gesù se ne servirà in questo senso (parabola dei vignaioli omicidi, in Mt 21,33-44 par.). Il vangelo di Giovanni pone l’inizio della vita pubblica di Gesù sotto il segno del vino nuovo delle nozze di Canaan, e identifica Gesù stesso con la vite, i cui tralci sono i singoli credenti (cfr. Gv 2,1-11; 15,1-6).
Il brano isaiano ha una forte coloritura affettiva: il termine Dôd ha il senso di amore, amante, amato, più forte dal punto di vista emotivo della radice ’hb (’ahab = amare), e le cure che il diletto prodiga alla vigna richiamano le attenzioni dello sposo verso la sposa. Ma l’oggetto del desiderio del Diletto, l’uva che egli aspetta dalla vigna, è diritto e giustizia ( mishpat e zedaqah). Non gratitudine ed azioni cultuali, non intimismo, ma amore del prossimo: ed ecco invece mispach e ze‛aqah, spargimento di sangue e grida d’angoscia (per mantenere l’assonanza, B. Marconcini traduce molto appropriatamente delitto e nequizia).
La perdita del senso dei valori
Il traviamento del popolo consiste soprattutto in una totale perdita del senso dei valori. Così continua il canto della vigna:
Il testo
5,8 Guai a coloro che aggiungono casa a casa,
che congiungono campo a campo, finché non vi sia spazio
e voi rimaniate soli ad abitare in mezzo al paese.
9 Alle mie orecchie il Signore degli eserciti ha giurato:
«Molte case diventeranno una rovina,
le grandi e belle saranno senza abitanti;
10 poiché dieci iugeri di vigna frutteranno un solo bat,
ed un omer di seme produrrà una sola efa».
11 Guai a quelli che si alzano di buon mattino
e corrono dietro a bevande inebrianti,
si attardano fino a sera, infiammati dal vino.
12 Vi sono cetre e arpe, tamburini e flauti, e vino nei loro conviti,
ma non prestano attenzione all’azione del Signore
e non vedono l’opera delle sue mani.
13 Perciò il mio popolo sarà deportato
a causa della sua ignoranza,
i suoi nobili moriranno di fame,
la sua moltitudine sarà arsa dalla sete.
14 Perciò gli inferi allargano la loro gola,
e spalancano la loro bocca a dismisura,
e vi scendono la nobiltà e la folla,
il chiasso e il tripudio della città.
15 L’uomo sarà abbassato e il mortale umiliato,
e saranno prostrati gli sguardi dei superbi.
16 Il Signore degli eserciti sarà esaltato nel giudizio,
e il Dio santo apparirà santo nella giustizia.
17 Gli agnelli pasceranno come sui prati
e nelle rovine dov’erano le bestie grasse, si nutriranno i nomadi.
18 Guai a quelli che si attirano la colpa con funi di iniquità
e il peccato come con corde da carro!
19 A quelli che dicono: «Si affretti, acceleri l’opera sua,
affinché la possiamo vedere;
si avvicini, si realizzi il progetto del Santo d’Israele
e lo riconosceremo».
20 Guai a quelli che chiamano il male bene e il bene male,
che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre,
che cambiano l’amaro in dolce e il dolce in amaro.
21 Guai a quelli che son saggi ai loro sguardi,
e intelligenti davanti a loro stessi!
La descrizione di questo tipo di società, col suo consumismo, la sua dissipazione e lo smarrimento dei valori, sembra oggi molto attuale…