Viaggio nella Bibbia. Il Cantico del Mare

Il Cantico del Mare
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Davanti alla salvezza ottenuta, Israele esulta. Ma siamo di nuovo al nostro problema: nella notte sono morti tutti i primogeniti d’Egitto, adesso sono i soldati ad essere sterminati. Non solo: Mosè intona un cantico di trionfo e di lode,il Cantico del Mare (Esodo 15), seguito poi da Miriam che guida il coro delle donne.

I dieci Cantici

È il Cantico del Mare, secondo il midrash, il secondo Cantico innalzato da Israele al Signore, dei dieci che la storia della salvezza annovererà. I dieci cantici sono:

  • Il canto della notte di Pasqua
  • Il cantico del passaggio del Mar Rosso
  • Quello che fu cantato quando l’acqua scaturì nel deserto
  • Il cantico di Mosè prima di morire
  • Il canto di Giosuè dopo la vittoria sui re amorrei
  • Il sesto, di Debora e Baraq per la vittoria su Sisara
  • Il salmo di David dopo aver ricevuto da Dio la vittoria su tutti i suoi nemici
  • L’inno di Salomone per la dedicazione del tempio
  • Il cantico di Giosafat che scende in battaglia
  • Il decimo sarà cantato quando verrà il Messia.

Il Cantico del Mare

Ma l’interessante è quello che aggiunge il midrash che recita:

«Anche gli angeli volevano intonare un cantico di lode. Ma il Signore li mise a tacere con queste parole: “L’opera delle mie mani sta affogando nel mare e voi mi vorreste intonare una canzone?”» (cfr. Megillah 10b; Sanhedrin 39b).

Gli uomini nella loro fragilità possono anche gioire della sconfitta dei nemici; Dio e gli angeli no.

Abbiamo quindi a disposizione un doppio registro di lettura di questi eventi: quello della storia umana, che si compiace della vittoria qualunque prezzo sia costata; quello della volontà divina, che accetta amaramente – se così si può dire – gli eventi piegandoli al bene, ma addolorandosi – se così si può dire – del male che viene inflitto agli uomini.

Dio scrive diritto sulle nostre righe storte, diceva Bossuet. Tali righe rimangono storte, anche se Dio in definitiva le dirige nel verso giusto.

C’è un passo, nel prequel di Narnia Il Nipote del Mago, in cui il piccolo Digory confida al grande leone Aslan la sua pena per la malattia mortale della madre. Aslan non interviene con un atto taumaturgico – questo verrà dopo, ma sarà l’obbedienza del piccolo a causarlo; no, Aslan piange.

«Fino a quel momento gli occhi di Digory avevano fissato le zampe enormi e i grandi artigli di Aslan. Ora, preso dalla disperazione, il ragazzo aveva finalmente trovato il coraggio di guardare in faccia il leone. Quello che vide fu una delle cose più sorprendenti della sua vita: il muso fulvo era chino su di lui e, meraviglia delle meraviglie, gli occhi della grande creatura brillavano, gonfi di lacrime. Erano lacrime così grandi, a confronto di quelle di Digory, che per un attimo il ragazzo pensò che il leone fosse più addolorato di lui per la sorte della mamma.
— Figlio mio, figlio mio — prese a dire Aslan — lo so, il dolore è incommensurabile. Solo io e te su questa terra sappiamo quanto esso sia grande. Vogliamoci bene, o figlio». 

Dio non risolve i problemi per conto nostro. Li soffre – se così si può dire – insieme a noi. Talvolta interviene direttamente, ed allora ecco il miracolo. Ma, come abbiamo già letto in C.S. Lewis, un mondo fatto di stravolgimenti della natura non sarebbe un mondo sensato né vivibile. Il mondo che abbiamo è stato affidato alle nostre mani.

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