Dopo la moltiplicazione dei pani, Gesù non si trattiene ad essere acclamato dalle folle, ma si ritira in solitudine a pregare sul monte. La barca dei discepoli, invece, è in balìa delle onde, a molti stadi (uno stadio equivale a 185 m.) dalla riva. L’episodio si colloca anch’esso sulla linea del cammino di esodo di Israele: il quadro si completa ora con il cammino sulle acque, nel contesto del tema dell’attraversamento del mare, confermato dalla menzione della quarta veglia della notte, in parallelo alla veglia del mattino in cui il Signore interviene sul mare per salvare Israele (Es 14,24).
Una prerogativa divina
È un’azione pasquale quindi; di più: è un’azione divina. Solo Dio, nell’Antico Testamento, sovrasta e doma il mare. Ecco il senso di questo strano gesto funambolico di un Gesù che cammina sul mare, riportato da Matteo con Marco e Giovanni ma non da Luca che lo ritiene di difficile comprensione per i suoi lettori provenienti dal paganesimo. I discepoli hanno paura del mare, ma hanno paura anche di Gesù.
Camminare sulle acque è una prerogativa divina; e infatti Gesù proclama «Io Sono!» (14,27), usando il nome divino Jhwh che ci rimanda di nuovo alla rivelazione mosaica del Nome (Es 3,14).
La realtà ecclesiale
Ma in Matteo è presente anche un evidente richiamo alla realtà ecclesiale di cui la barca dei discepoli è prefigurazione. Molte ombre ancora la offuscano. La fede di Pietro appare generosa, ma quel che l’apostolo vuole è ottenere da Gesù una prova, con l’impulsività che sempre lo caratterizza, e con la debolezza da cui senza volerlo riconoscere è affetto. La sua fede deve crescere, e molto!
Il fallimento della fede di Pietro, però, che c’è ma è piccola, permette a Gesù di manifestare tutta la sua potenza divina, il che provoca la fede dei discepoli: «Veramente sei il figlio di Dio!» (14,33). Peccato che non comprendano ancora, in profondità, quello che in qualche modo intuiscono.