Il Buon Pastore

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Nella liturgia cattolica, la IV Domenica dopo Pasqua è la Domenica del Buon Pastore, in quanto tutti gli anni si legge un brano del capitolo 10 di Giovanni ove Gesù si definisce tale. Ma la figura del Pastore, del Buon Pastore viene da molto lontano…

… Viene, naturalmente, dall’Antico Testamento, in cui l’immagine del pastore è frequente ad indicare la cura che Dio si prende del suo popolo. È bellissimo l’uso che ne fa il Midrash al momento della vocazione di Mosè: mentre Mosè pascolava le greggi del suocero Ietro nel deserto,

«un agnellino gli sfuggì. Egli lo rincorse fino ad Hasuah. Giunto che fu ad Hasuah, l’agnellino si accorse di una pozza d’acqua e si fermò a bere, quando Mosè lo raggiunse, disse: “Non sapevo che correvi via perché avevi sete. Devi essere stanco”. Se lo mise sulle spalle e cominciò a camminare. Il Santo, Benedetto Egli sia, disse: “Hai tanta compassione nel condurre greggi che appartengono agli uomini. Ti giuro che nello stesso modo condurrai il mio popolo, Israele”» (Esodo Rabbah 2,2).

Mosè viene scelto da Dio per essere pastore di Israele perché si è dimostrato pastore misericordioso che ama le pecore una ad una. Similmente, ogni pastore di uomini dovrebbe rispecchiare la tenerezza di questo amore, confondersi con le sue pecore, essere un pastore che sa di pecora… Ogni riferimento a papa Francesco è puramente voluto.

Il Buon Pastore in Giovanni 10

Ma nel discorso del Buon Pastore la figura tenera del pastore assume anche tratti drammatici: perché il Pastore buono è colui che per le sue pecore «depone» la propria vita. Il Buon Pastore (in greco chiamato il «Pastore Bello», «Kalós», per il tipico approccio estetico di questa mentalità per cui ciò che è bello è anche buono) conosce, cioè ama, le sue pecore alla pazzia, fino a «deporre» la vita per loro.

Sì, il verbo è «títhemi», deporre, non «dare» («dídomi»). Sapete perché sottolineo questo? Perché sarà lo stesso gesto che Gesù compirà all’atto della Lavanda dei piedi (Giovanni 13) quando, prefigurando la propria morte e resurrezione, «deporrà» le vesti per cingere il grembiule dello schiavo e poi «riprenderle» («lambáno»). I verbi sono gli stessi: «io depongo la mia vita per riprenderla di nuovo» (Gv 10,17). Questo è importante per illuminare il significato del gesto di Gesù durante l’Ultima Cena: non solo una professione di umiltà e di servizio cui i discepoli devono unirsi, ma anche un gesto profetico di annuncio della morte – resurrezione del Signore che i discepoli devono far proprio…

Ut omnes unum sint

Ma c’è un altro aspetto da notare in questo passo. Il Buon Pastore non ama solo le pecore che in quel momento sono sotto la sua custodia. Le ama tutte. Ama anche quelle che in quel momento non sono con lui. Saranno tutte un unico ovile… tutte ugualmente abbracciate dal suo amore.