Muore martire in Persia il Beato Gentile da Matelica, già cellario e due volte superiore alla Verna prima di dedicarsi alla missione tra i Saraceni (Pisano, p. 274-5; 525; 556). Siamo nel 1340. Il Beato Gentile si aggiunge alle figure di santità che si incontrano numerose sul S. Monte.
1340: Martirio di Gentile da Matelica
Gentile da Matelica (Macerata), della nobile famiglia Finaguerra, fu due volte guardiano alla Verna.
Nato verso il 1290, si lasciò attrarre fin da fanciullo dalla vita francescana. Entrato giovanissimo nell’ordine e divenuto sacerdote, si dedicò all’apostolato in varie regioni italiane. Dimorò a lungo nel convento della Verna, osservando gelosamente il silenzio e dedicandosi all’orazione per molte ore del giorno e in quasi tutte quelle della notte, quando veniva assorto in continua contemplazione delle cose celesti. Da guardiano, svolse il suo compito con il massimo rigore ma anche con grande amorevolezza, tanto che nessuno ebbe mai modo di lamentarsi.
Ma l’ardore apostolico lo trasportò altrove, ottenendo dai superiori di potersi recare missionario nel Medio Oriente. Come maturò, il Beato Gentile, questa decisione?
La missione ad gentes
Ai primi del Trecento, i frati minori che avrebbero voluto la massima radicalità nella conduzione di una vita evangelica ritenevano che nella maggioranza si fosse affievolito l’ardore delle origini. Rinnegato lo zelo di rigorismo degli spirituali, che sfociò persino nell’eresia, il miglior modo di praticare il Vangelo sembrò essere la missione ad gentes. Modello di fervore religioso diviene quindi il martire.
Nei tondi affrescati dall’inizio del XVI secolo nei corridoi del dormitorio della Verna, i Santi e Beati martiri francescani sono legione. Fra questi il Beato Gentile non figura, ma non mancò all’appello della chiamata che sentì dal Signore, perché si recò in Egitto ed in Persia dove si dice convertisse più di diecimila persone alla fede cristiana. La sua attività evangelizzatrice si svolse anche sulle coste del mar Nero, in Crimea.
Nuove modalità missionarie
Nel vasto quadro dell’impero mongolo fondato da Gengis Khan il cristianesimo si era già diffuso, però nella forma nestoriana e quindi eretica per Roma. Fra XIII e XIV secolo si assiste a una evoluzione dell’azione missionaria promossa dai papi: si cessa di usare il modello di evangelizzazione dei capi per evangelizzare i popoli, adottando invece la modalità già attuata dagli ordini mendicanti.
I frati, vivendo in un territorio, entravano in contatto con gli abitanti ai quali mostravano un modello di vita che poteva suscitare in essi il desiderio di abbracciarlo a loro volta. Sulla base di questo modello i pontefici iniziarono a inviare dei vescovi che si stabilivano in una data città e da lì partiva la loro missione evangelizzatrice nel territorio. La presenza in Oriente di molti italici legati ai traffici marittimi con l’Occidente, seguendo le vie commerciali, facilitava la formazione di reti sociali che permettevano la comunicazione e quindi l’evangelizzazione.
L’azione missionaria del Beato Gentile
È questo il contesto in cui si può ipotizzare che il Beato Gentile insieme ad altri frati abbia raggiunto prima l’Egitto e poi il Vicino Oriente. È perciò questo il contesto che gli avrebbe permesso di inserirsi con successo nelle realtà locali spostandosi poi verso il mar Nero man mano che gli islamici si espandevano verso nord.
Non che il B. Gentile non abbia incontrato ostacoli. In Egitto all’inizio si lasciò scoraggiare dalle difficoltà di apprendimento dell’arabo, e soltanto una rivelazione celeste – si narra – lo convinse a non arrendersi e a riuscire ad imparare la lingua; non solo l’arabo, ma anche altri idiomi parlati nelle vicine nazioni, soprattutto il persiano.
Allora evangelizzò l’Egitto e il Sinai, andò nei Luoghi Santi, in Turchia e si spinse fino alla Persia, predicando a cristiani nestoriani, musulmani ed ebrei, e ottenendo migliaia di conversioni e di battesimi, tanta era la forza della sua fede e della sua testimonianza. Pare che abbia convertito diecimila persiani, alcuni dei quali, interrogati su che cosa li avesse portati al battesimo, rispondevano: La fede di Frate Gentile. Nel corso di una predicazione nel territorio di Tabriz, fu ucciso con un colpo di scimitarra. Era il 5 settembre 1340. Il suo sepolcro, a Venezia, nella chiesa di S. Maria Gloriosa, fu luogo di così tanti prodigi che Pio VI nel 1795 concesse di celebrare la festa del Beato Gentile il 5 settembre.
Se foste saliti alla Verna…
Se foste saliti alla Verna prima del 1348, avreste trovato il santuario immutato rispetto al 1267, anche perché non avreste potuto accedere al polo di preghiera delle Stigmate dove vigeva ancora una rigorosa clausura. Per i pellegrini, la Verna era ancora limitata alla chiesina di S. Maria degli Angeli. Quindi non avreste potuto ammirare i recenti affreschi di Taddeo Gaddi nella cappella delle Stigmate; né li possiamo vedere noi oggi, perché sono andati perduti quando la cappella è stata ristrutturata per poter ospitare la grande robbiana della Crocifissione.
Tuttavia, se foste saliti alla Verna nei primi decenni del Trecento, prima del 1348, qualche frate vi avrebbe potuto raccontare cose meravigliose degli artisti e visitatori illustri di questo S. Monte, forse Dante Alighieri, forse Giotto, forse l’imperatore Arrigo VII, sicuramente il Beato Pier Pettinaio e il controverso Ubertino da Casale. Certamente vi avrebbero raccontato santità e portenti dei Beati che vi hanno dimorato: Giovanni da Fermo detto della Verna, Corrado da Offida, Gentile da Matelica. La Verna affascinava i pellegrini per la memoria delle Stigmate e per la santità in cui era immersa, ma non era ancora un grande santuario. Nel 1348 le cose iniziano a cambiare, dapprima con tanta lentezza…
Fonti particolari di questo frammento di storia alvernina:
FR. BARTOLOMEO DA PISA, De Conformitate Vitae Beati Francisci ad Vitam Domini Jesu (1385-90), Analecta Franciscana IV-V , Collegio S. Bonaventura, Ad Claras Aquas prope Florentiam 1906-7.
Alessio Mecella, Il beato Gentile da Matelica in Oriente, «Porziuncola» XCVIII n. 2 (aprile – luglio 2022), p. 22-26.