Il Battesimo di Gesù in Marco

Il battesimo di Gesù. Chiesa di San Basilio Magno. Di Asia – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=58208167

All’inizio del Vangelo di Marco ci si imbatte subito in un personaggio, Giovanni il Battezzatore, che oltre a predicare la conversione alle folle compie un gesto sconcertante: battezza proprio Colui che egli ha annunciato come “più forte di me”, Colui che battezzerà in Spirito Santo. Che senso ha tale battesimo? Che cosa rappresenta per Gesù?

Il battesimo di Gesù nel Gesù di Nazareth di Zeffirelli QUI.

Il battesimo di Giovanni

Il battesimo di Giovanni non è il sacramento, che realizza efficacemente quello che il segno rappresenta, cioè la liberazione dal peccato, la nascita a figli di Dio e l’appartenenza al suo popolo. È solo un gesto che simboleggia, da parte del penitente, il pentimento e la volontà di conversione.

Al tempo stesso, corrisponde allo sprofondare nelle acque (della morte) ed a riemergerne (per la vita), ripetendo l’esperienza di Israele che attraversa le acque per «salire» alla terra promessa. Il valore del battesimo di Giovanni è solo simbolico, perché non ha l’efficacia del sacramento, ma si limita ad esprimere una volontà personale di conversione.

Questo vale per tutti, ma per Gesù il senso è un altro ancora.

Prima di tutto, Gesù non ha certo bisogno di pentimento e di conversione, ma si mette in fila con i peccatori, solidale con loro, scendendo nelle acque nel punto più basso della terra (la depressione del Giordano raggiunge i 400 m sotto il livello del mare) come a prendere su di sé le profondità del peccato e i loro effetti distruttivi: Gesù è senza peccato, ma, scrive arditamente S. Paolo, «Colui che non conobbe peccato, egli [Dio] lo fece peccato per noi, affinché noi diventassimo giustizia di Dio in lui» (2Cor 5,21). Il suo battesimo, perciò, rappresenta la sua discesa nell’umanità peccatrice per assumerne e risanare tutte le sue ferite.

Essere “battezzato”, alla lettera, significa essere “sprofondato”. È proprio perché il nuovo Adamo, Gesù, tocca il fondo dell’umanità, che può risalire portandola con sé nella vita divina. Al tempo stesso, dunque, prefigura la morte e la resurrezione del Cristo e in lui del cristiano: lo scendere negli abissi della morte, come ben rappresenta l’icona con cui si apre questo articolo, per risorgere attirando con sé tutta l’umanità.

Il senso trinitario

Il battesimo cristiano, vera morte al peccato e vera rinascita in Cristo, è prefigurato da quello di Giovanni, e la scena è prettamente di valenza trinitaria. La Trinità è presente mediante la voce del Padre, la persona del Figlio diletto, la discesa dello Spirito “come una colomba”.

È facile per noi raffigurarci il Figlio nella sua natura umana, e il Padre per analogia, come un padre umano. Lo Spirito, impalpabile e invisibile per definizione, non ha figura. L’immagine della colomba serve ad evocare il movimento di discesa dall’alto dello Spirito di Dio, ma anche il suo aleggiare sulle acque, azione materna, all’atto della creazione (Gn 1,2: la parola “ruach” / spirito, in ebraico, è femminile).

Gesù non è mai senza lo Spirito Santo che è all’origine del suo concepimento, ma in questo momento della sua vita la sua discesa su di lui rappresenta l’evento della investitura messianica, come viene proclamato dalla Voce celeste. È questa, cioè, la sua investitura pubblica, posta all’inizio del suo ministero.

All’atto del battesimo di Gesù si manifesta la Trinità: immerso nelle acque il Figlio amato, dal cielo il Padre che lo proclama tale, lo Spirito divino che scende su di lui. Solo la voce del Padre professa che Gesù è il Figlio di Dio, ancora nessun uomo, tranne lui, può comprendere la sua identità divina. Nella narrazione di Marco, è Gesù che ha la visione dello Spirito che scende su di lui, ed è a lui che si rivolge direttamente la voce del Padre. La sua è un’esperienza intima che non è ancora manifestata davanti a testimoni, come avverrà invece nell’episodio della Trasfigurazione che ne come è il complemento.