I capitoli 28-29 del libro dei Numeri ci danno, con leggi aggiuntive, un quadro anticipato di quelle che saranno le celebrazioni nel tempio: sacrifici quotidiani al mattino e “fra le due sere” (fra il declino del sole e il tramonto); olocausto del sabato e dell’inizio del mese; i sacrifici per la ricorrenza della Pasqua, della Pentecoste, del Capodanno, del kippur e delle Capanne.
I voti delle donne (cap. 30)
Il cap. 30, di particolare interesse, si preoccupa delle persone che emettono voti per determinarne le condizioni di validità dal punto di vista non dell’oggetto ma della persona che formula il voto. In particolare prende in considerazione i voti delle donne, sottoposte ad una sorta di patria potestà per tutta la vita, prima al padre, poi al marito… Ma Numeri decide in favore di una certa libertà, come abbiamo visto già a proposito dell’eredità delle figlie nel cap. 27.
Il silenzio paterno o maritale sui voti della donna, se conosciuti, equivale alla loro convalida, mentre la donna è sciolta dal voto se chi ha potestà su di lei non lo approva. Ma se la donna è vedova o ripudiata, è lei a decidere sui suoi voti: ne porta interamente la responsabilità. Il capitolo spiega le circostanze in cui le donne sono e non sono vincolate dai giuramenti e dai voti che pronunciano. I voti delle donne dipendenti — minorenni (vv. 4-9) o sposate (11-16) — possono essere annullati da coloro da cui dipendono (padri, mariti). Le donne indipendenti — vedove e divorziate — devono invece adempiere autonomamente ai loro voti.
I voti delle donne: perché e quando il diritto maschile di veto?
Perché le donne sono limitate dai padri o dai mariti nel fare voti e giuramenti?
Prima di tutto, una donna non possiede beni. Vivendo nella casa di suo padre o di suo marito non ha niente di realmente suo, per cui non ha l’autorità di prometterlo in voto autonomamente. Ma non tutti i voti comportano il sacrificio di beni materiali. Il v. 14 si riferisce ad un impegno di abnegazione, che potrebbe consistere nel voto di digiunare. Inoltre, gli esempi di Abigail (1Sam 25) e della donna forte di Proverbi 31 mostrano che a madre di famiglia aveva almeno in certi casi la possibilità di gestire i beni del marito.
La vedova e la ripudiata, anche se conviventi con il padre o con il figlio maggiore, sono ritenute responsabili dei propri voti senza che il padre o altro maschio capofamiglia possa porre il proprio veto. Solo la fanciulla da marito che vive ancora con suo padre è soggetta ai suoi vincoli, ma le figlie non sposate rimaste nella casa paterna sono autonome in termini di voti e giuramenti. La norma riflette la concezione della gerarchia sociale dell’epoca secondo cui una donna è considerata dipendente finché è ragazza da marito nella casa paterna e poi moglie nella casa maritale, mentre è indipendente se vedova o divorziata, indipendentemente da dove viva.
Patriarcato sì, ma limitato
Quella dell’antico Israele è indubbiamente una società che nel pubblico privilegia gli uomini, ma la Scrittura non appoggia l’idea che tutti gli uomini abbiano potere su tutte le donne. Nella legislazione sacerdotale, le fanciulle nella casa paterna e le donne sposate erano sottomesse a padri o mariti, ma le vedove e divorziate avevano una loro autonomia.
La storia di Anna futura madre di Samuele, che è trasmessa indipendentemente dalla legislazione sacerdotale, mostra una donna sposata che agisce autonomamente rispetto al marito. Ma anche la legislazione sacerdotale menziona esplicitamente la capacità di una donna di farsi nazirea (Nm 6,2), quindi riflette l’esistenza di una sfera di indipendenza delle donne.
Infine, il fatto che questo brano di Numeri dedichi ben quattordici versetti a discutere dei voti delle donne, dimostra che anche le donne che si trovavano sotto la potestà di un uomo avevano modo di obbligarsi con giuramenti e voti e quindi di prendere parte ad un importante aspetto rituale della società. È anche questo un modo che consente alle donne di raggiungere un rapporto diretto e personale con Dio.