I salmi specchio dell’anima. Questa è una delle immagini più efficaci per descrivere il Salterio, perché in esso si riflette tutto l’uomo. Il Salterio è anche descritto da Giovanni Calvino come un’anatomia dell’anima umana.
«Sono solito definire questo libro un’anatomia di tutte le parti dell’anima, perché non c’è sentimento dell’uomo che non sia qui rappresentato come in uno specchio. Anzi, per meglio dire, lo Spirito Santo ha messo qui, al vivo, tutti i dolori, tristezze, timori, dubbi, speranze, preoccupazioni, perplessità, fino alle più confuse emozioni da cui l’animo degli uomini è abitualmente agitato» (Commento ai Salmi).
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Un giardino della preghiera
Se vogliamo un’immagine più poetica del Salterio, possiamo pensare ad una bellissima serra in cui sono seminati e coltivati con cura i fiori provenienti dalle più disparate piante del mondo. Una serra in cui si può entrare quando si vuole, quando se ne sente il bisogno, quando ci si sente chiamati, e ammirare quello che in quel momento maggiormente rispecchia il nostro stato d’animo. Leggiamo in S. Atanasio di Alessandria (Lettera a Marcellino sull’interpretazione dei salmi, PG 27, n. 2.10-12-14):
«Ogni libro della Bibbia presenta il suo argomento e lo sviluppa… Il libro dei salmi, però, come un giardino in cui siano stati seminati i frutti degli altri, li canta tutti e persino di quelli offre i propri frutti, la salmodia…
Anche questo è straordinario nei salmi: ciò che negli altri libri gli autori sacri dicono di altre persone, coloro che lo leggono capiscono che viene detto di coloro dei quali si è scritto… Chi invece prende questo libro… legge [i salmi] come se fossero parole proprie, e chi li ascolta, lo fa come se egli stesso li cantasse, e lo commuovono e si sente colpito dalle parole di questi cantici, come se fossero parole proprie…
Nessuno ha mai osato attribuirsi le parole dei patriarchi, né è arrivato a imitare o a proferire come proprie le parole di Mosè, né quelle di Abramo… Chi invece legge i salmi – cosa straordinaria! -, eccetto le profezie riguardanti il Salvatore e le nazioni, dice le parole di altri come se fossero sue, e le salmodia come se fossero state scritte proprio a proposito di lui, e non le riceve e non le legge come se le dicesse un altro o come se fossero dette di un altro, ma lo coinvolgono come se le dicesse egli stesso di sé; e tutto ciò che viene riferito lo dice a Dio come se egli stesso lo avesse fatto e parlando di se stesso…
Mi sembra, quindi, che, per colui che salmodia, i salmi siano come uno specchio nel quale può contemplare se stesso e vedere gli impulsi della propria anima, e con tali sentimenti riceverli».
Il Salterio ha alimentato secoli di preghiera personale e comunitaria nel giudaismo e nel cristianesimo. La Costituzione Conciliare Sacrosactum Concilium sulla liturgia, al n. 84, definisce i salmi come «la voce della stessa Sposa che parla allo Sposo». Una parte del Salterio è stata composta direttamente per l’uso liturgico, ma anche i salmi di carattere individuale sono confluiti nel culto comunitario. Attualmente, i salmi costituiscono una parte fondamentale nella nostra liturgia non solo per il ruolo che hanno nella Liturgia delle Ore, ma anche per il loro inserimento nella liturgia eucaristica della Parola con il Salmo responsoriale.
Nei salmi troviamo, insomma, tutto quanto momento per momento ci è necessario e ci conforta. Possiamo fare proprie le parole dei salmi senza timore di rubare niente a nessuno: sono a nostra disposizione. Ma non tutto è, per così dire, rose e fiori. Ci sono anche degli inciampi.
Ostacoli nella lettura dei salmi
Oltre alle difficoltà di interpretazione che i salmi possono presentare come qualunque altro libro biblico, può costituire un problema, per un lettore cristiano, la presenza in essi di tematiche che si preferirebbe non incontrare in un contesto di preghiera.
- I Salmi storici ci appaiono come catechesi, e non come preghiera. I tre salmi di questo genere più caratteristici (78; 105; 106) sono riservati dalla Liturgia delle Ore ai tempi forti di Avvento, Natale, Quaresima e Pasqua, anche se in tal modo vengono esclusi dalle quattro settimane del ciclo ordinario (Principi e Norme per la Liturgia delle Ore n. 130).
In realtà, i salmi storici non vogliono informarci sui fatti, ma ne presuppongono già la conoscenza. Professano la fede nel Dio della storia: la fede biblica non è un’evasione intimistica, deve essere anche “storica”, tradotta nella realtà dell’esistenza in relazione a Dio e agli uomini. Gesù non si è limitato a parlare di idee o buoni sentimenti, ha vissuto nella nostra storia fino a morirvi prima di risorgere per noi. Anche gli eventi della storia di Israele sono la nostra storia.
- I Salmi della Legge (1; 19,8-15; 119) potrebbero sembrare altrettanto aridi per noi. Ma per Israele la Torah non è soltanto qualcosa che si deve eseguire: è un oggetto di devozione e di amore appassionato. Si presenta difficile per noi il comprendere, con la nostra mentalità antilegalista, che la Legge è il vertice di una storia d’amore. Non siamo nel campo delle formalità, delle osservanze esteriori di una ritualità obbligata. L’osservanza della Legge diviene per il fedele un vero e proprio cammino di identificazione con la volontà del Signore fin nei minimi dettagli. È questo il senso dei Salmi della Legge.
- La maggiore difficoltà però è presentata per noi dai cosiddetti Salmi imprecatori, che tendiamo a interpretare come sete di vendetta e volontà di odio, al punto che sono stati “censurati” dalla riforma liturgica post-conciliare. Devono invece essere capiti nello spirito della storicità e progressività della rivelazione e della condiscendenza di Dio che si abbassa ad assumere i limiti del linguaggio dell’uomo.
I Salmi imprecatori
Ecco alcuni testi che, nella loro violenza oratoria iperbolica, senza sfumature e senza relativismi, ci creano difficoltà:
Sal 58,7-11
«O Dio, spezza i loro denti nella loro bocca,
frantuma, o Signore, i loro molari leonini.
Si dileguino come fluida acqua,
dissecchino come fieno che si calpesta,
come la cera che si scioglie e svanisce,
come un aborto di donna che non ha mai visto il sole…
Si rallegrerà il giusto alla vista della vendetta,
i suoi piedi laverà nel sangue degli empi».
Sal 79,10 s.
«Fa’ ricadere sui nostri vicini sette volte
l’affronto con cui ti hanno insultato, Signore».
Sal 109,9 s.
«Diventino orfani i suoi figli
e vedova la sua moglie.
Vaghino i suoi figli mendicando,
siano scacciati dalle loro rovine».
Sal 137,8 s.
«Figlia di Babilonia devastatrice:
beato chi ti ricambierà quanto hai fatto a noi!
Beato chi prenderà i tuoi piccoli
e li sbatterà contro la roccia!».
I salmi imprecatori rappresentano la maggiore difficoltà pratica di comprensione del Salterio. Contengono espressioni simili a scongiuri ed esecrazioni, se prese in senso materiale. I Principi e norme, rilevando nel recitare i salmi «una qual certa difficoltà psicologica», ricordano però che anche nel Nuovo Testamento ci sono passi simili (es. Ap. 6,10), e che essi non ci inducono a “maledire” nessuno. Al n. 101-102 si afferma:
«I salmi non offrono che un’immagine imperfetta di quella pienezza dei tempi che apparve in Cristo Signore e dalla quale trae il suo vigore la preghiera della Chiesa. Pertanto può talvolta accadere che, pur concordando tutti i cristiani nella somma stima dei salmi, trovino tuttavia qualche difficoltà, nello stesso tempo in cui cercano di far propri nella preghiera quei canti venerandi. Ma lo Spirito Santo, sotto la cui ispirazione i salmisti hanno cantato, assiste sempre con la sua grazia coloro che eseguono tali inni con fede e buona volontà. E’ tuttavia necessario che ciascuno, secondo le sue possibilità, si procuri “una maggiore formazione biblica, specialmente riguardo ai salmi” (SC n. 90)».
La “censura” post conciliare
In pratica, la liturgia ha omesso tre interni salmi (58; 83; 109) ma anche molti versetti o strofe (Principi e norme n. 131).
La Sacrosanctum Concilium ammetteva l’intero Salterio nell’uso liturgico, ed anche i liturgisti erano su questa linea, ma fu Paolo VI a intervenire per sopprimere i salmi imprecatori, in considerazione del problema che essi rappresentavano per molti.
Non si tratta, naturalmente, di una vera censura, ma dell’applicazione di una certa prudenza pastorale nei confronti di testi ritenuti troppo difficili ad un primo approccio. Tuttavia il problema rimane, perché altri versetti simili ci sono, ed anche passi simili, in altri libri dell’Antico e del Nuovo Testamento. La Bibbia non si può censurare: «Il Magistero non è al di sopra della parola di Dio, ma la serve, insegnando soltanto ciò che è stato trasmesso» (DV 10). La Chiesa ha giudicato prudente, per il momento, non utilizzare questi testi nel culto, non è per colpa dei salmi, ma per colpa di una mancanza di formazione biblica e liturgica.
Non è semplice, comunque, entrare in quel tipo di linguaggio. Bisogna saper capire il gusto dell’esasperato e dell’enfatico, e bisogna capire anche che nell’ostilità verso il nemico esterno viene concretizzato il desiderio non solo e non tanto di vendetta personale quanto di giustizia, la sete del fedele nei confronti della legge di Dio che i nemici trasgrediscono. Non siamo a livello di formula magica di imprecazione per ottenere la vendetta sui nemici, come nel resto della letteratura medio-orientale antica. Siamo, invece, nella dimensione dell’affidamento a Dio per vedere saziato il proprio bisogno di giustizia.
Compimento della giustizia
I salmi imprecatori sono salmi di supplica che rimettono a Dio il compimento della giustizia, e non consentono – si badi bene – di farsi giustizia da sé. Hanno perciò anche valenza escatologica: esprimono la speranza di una vittoria finale di Dio sul male.
Anche se non sembrano “cristiani”, questi salmi sono pur sempre parte di quella parola che Dio si vuol sentire rivolgere da noi. Alonso Schökel rovescia, per così dire, la prospettiva, sostenendo:
«Io ritengo che i salmi imprecatori siano recuperabili nella preghiera cristiana e sia molto necessario recuperarli… Il problema sorge non perché il salmo sia contro la pietà cristiana, ma perché il cristiano di oggi non sa più pregare col salmo. Ora, chi non sa pregare col salmo non sa esprimere la sete di giustizia, e la sete di giustizia è una beatitudine» (Esegesi ed ermeneutica in “Atti della XXI Settimana Biblica”, Brescia 1972, p. 246).
Anche se le “imprecazioni” riflettono una coscienza religiosa imperfetta, che possiamo considerare su alcuni punti arretrata, alla luce della gradualità della Rivelazione (se la Rivelazione fosse stata compiuta fin dall’inizio, non ci sarebbe stato bisogno di Gesù), i Salmi, tutti i Salmi, sono e rimangono la preghiera del povero, del mite, di Gesù, la preghiera costitutiva del suo Io profondo, che è per noi modello e centro di attrazione e di assimilazione… Così:
- Tutti osano dire senza il minimo imbarazzo «Solo in Dio riposa l’anima mia» (62,2), ed altre espressioni sublimi. Sono questi versetti quelli che dovremmo recitare con titubanza, e non quelli più duri, che sono forse quelli che meglio si confarebbero alla nostra povera realtà. Invece di contestare la durezza di un salmo o di una espressione, perché si considera non cristiano e pertanto indegno della nostra alta perfezione, si dovrebbe cercare di farlo proprio in modo più profondo, cercando di farne una confessione di scarso amore e una richiesta di perdono e di maggiore carità.
- I salmi imprecatori sono quelli che compiono più di altri una critica della società. Ci si può chiedere: la nostra società è davvero migliore di quella antica? Tutti siamo in qualche modo corresponsabili del male nel mondo e delle divisioni nella Chiesa. Questi versetti ci dovrebbero coinvolgere nella confessione della nostra responsabilità verso i mali del mondo e della chiesa.
- Questi salmi esprimono la passione del credente per la giustizia, nella convinzione che Dio ascolta il grido del povero, dell’orfano, della vedova, del forestiero. Il credente si fa voce, deve farsi voce di coloro che non hanno voce, degli oppressi…
Non deve cedere alla tentazione di dire: «Espungiamo parti di questo salterio mal costruito: lo Spirito Santo si è distratto e gli hanno fatto passare sotto banco alcuni salmi. I salmi che si preoccupano del prossimo, dell’oppresso, dello sfruttato sono fuori posto… teniamoci quei salmi belli, dolci, piacevoli…» (L. Alonso Schökel, Lezioni sulla Bibbia, Piemme, Casale Monferrato 1996, p. 231).
Nel peccato dei “nemici” oggetto di imprecazione dobbiamo vedere il nostro peccato. Spiritualmente, i nemici rimproverati dal salmista sono i nostri difetti o peccati. Così, i figli di Babilonia di Sal.137,8 s. sono le radici dei nostri vizi: «Come dice l’Apostolo, la pietra è Cristo, e beato l’uomo che scaglia contro di lui i bambini di Babilonia, cioè che schiaccia e distrugge i vizi corporali» (Ilario di Poitiers). «In questo salmo viene proclamato felice chi non appena inizia ad avere queste tentazioni, le scaglia contro la pietra e la pietra era Cristo» (S. Gerolamo). La stessa interpretazione allegorica di Sal. 137 si trova prima in Origene, poi in Agostino e in S. Benedetto nella sua Regola.
Certamente, l’interpretazione allegorica non è quella originaria, che è invece letterale: il significato letterale rispecchia il linguaggio rude e violento dell’epoca, le emozioni forti, le iperboli caratteristiche dell’epoca. L’interpretazione allegorica non può andare mai contro il significato oggettivo e letterale, ma lo può sia completare che arricchire. Può essere, cioè, una indicazione su come utilizzare certi salmi o passi di salmi nella preghiera.
Poiché quelle parole imprecatorie le ha fatte proprie Gesù, dobbiamo comprendere che non sono di odio, ma che promanano da quel volto della misericordia di Dio che è la Sua ira. L’ira di Dio non è il contrario dell’amore, ma dell’indifferenza, è l’altra faccia della sua misericordia: non sarebbe credibile una misericordia che non si adirasse del male.