I sadducei e la resurrezione. Il secondo gruppo che affronta Gesù è quello dei sadducei che non credevano nella resurrezione, e che ne ridicolizzano l’idea con la paradossale domanda sulla donna che ebbe sette mariti. La controversia è di natura caricaturale.
Ma Gesù si appella proprio al Pentateuco, l’unica parte della Scrittura che i sadducei ritenevano ispirata, per dimostrare che il Signore si presenta come il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe parlandone al presente, quindi sono viventi in lui e per lui (Es 3,6).
Gesù si mostra particolarmente duro con il loro errore che nega la vita eterna. Nella sua risposta rinfaccia ai sadducei di misconoscere le Scritture e di negare la potenza di Dio. La concezione che essi ridicolizzano è quella, grossolanamente materialistica, di una vita eterna che sia un’estensione della vita terrena, mentre la vita gloriosa è simile a quella degli angeli dei cieli. Nella resurrezione uomini e donne non prenderanno più moglie né marito, «ma sono come angeli nei cieli». Gli esseri umani non si angelizzeranno mai, divengono simili agli angeli perché come loro vivono nell’eternità di Dio, ma rimangono esseri di carne e di sangue…
L’importanza della corporeità: non siamo angeli
Attenzione, «simile», non identica: oggi si stanno confondendo dimensioni di esistenza che sono invece completamente distinte. Contro l’odierna tendenza diffusa ad «angelizzare» tutto, è necessario precisare che gli esseri umani non si trasformano, con la morte, in angeli. La corporeità è una componente inalienabile del nostro essere uomini, per cui la fede che professiamo è quella della resurrezione della carne, non l’immortalità di un’anima disincarnata; corporeità trasfigurata, gloriosa, non più appesantita da coordinate spazio-temporali, ma vera corporeità con la nostra identità personale.
Gli angeli non sono e non saranno mai uomini buoni spiritualizzati, i diavoli non sono e non saranno mai uomini malvagi dannati. Gli angeli, come pure gli angeli caduti, sono creati come puri spiriti e la costituente corporea è loro completamente estranea. Gli uomini, invece, sono creati come persone costituite da anima e corpo, in cui il dato corporeo è essenziale e irrinunciabile per la loro identità.
È vero che la morte può anche rappresentare la liberazione da una condizione infelice e che l’anima continua a vivere in eterno, ma è anche vero, biblicamente, che la morte resta una drammatica lacerazione che strappa dolorosamente alla persona una sua dimensione essenziale, il corpo. Ci sarà infatti la resurrezione, che sarà resurrezione della carne, ovvero di tutta la persona, anima e corpo insieme, ricomposta nell’unità vivente voluta da Dio. Un corpo glorioso, come quello del Cristo trasfigurato e risorto; un corpo non più condizionato dai bisogni dello spazio e del tempo, ma un corpo vero e unico, il nostro.
Identità e relazione con gli altri nella pienezza
Altro errore che possiamo riscontrare è ritenere che con la morte chi godrà della visione beatifica non riconoscerà i suoi cari e non ne sarà riconosciuto, ma sarà assorbito solo in Dio. Leggiamo bene i dati biblici. Il fatto che Gesù risorto non venga riconosciuto immediatamente dai discepoli, ma solo dopo che lui ha stabilito un rapporto con loro, non dipende da una sua non riconoscibilità, ma dalla cecità spirituale dei discepoli che guardano ma non riconoscono perché non hanno fede, finché non si aprono gli occhi dello spirito. In lui, ritroveremo pienamente e senza più ombre la nostra umanità, in quel Corpo di Cristo in cui tutte le nostre differenze si porranno in comunione mantenendo le proprie identità, in un rapporto di puro amore con Colui che è Carità e con coloro che ci sono stati, nella vita, compagni di viaggio.
Il Dio dei viventi
Quanto alla vera sopravvivenza dell’uomo oltre l’esistenza terrena, Gesù la dimostra ai sadducei, che non credono ai Profeti e agli altri Scritti biblici, muovendosi esclusivamente sul loro terreno, ossia con un argomento ricavato dalla Torah: Dio si manifesta a Mosè come il Dio dei viventi, perché non «è stato» il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe, ma «è» il Dio di coloro che vivono in lui (cfr. Es 3,15).