Cancel Culture. I racconti dello zio Tom

I racconti dello zio Tom di Walt Disney Productions – IMDb, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=83066352

Tempi duri per i cartoni animati, a maggior ragione per un film come I racconti dello zio Tom.

Gli Aristogatti, Peter Pan e Dumbo sono stati cancellati dalla sezione Disney + dedicata ai bambini (vedere QUI). Queste pellicole per bambini sono state vietate ai minori di sette anni perché veicolerebbero messaggi dannosi, offensivi e luoghi comuni ormai superati. Restano visibili per gli adulti con una nota introduttiva che spiega, da parte della Disney, che i programmi «includono rappresentazioni negative e / o denigrano popolazione e culture». Quindi, «piuttosto che rimuovere questi contenuti, vogliamo riconoscerne l’impatto dannoso, imparare da esso e stimolare il dibattito per creare insieme un futuro più inclusivo».

Politicamente scorretto

Un altro esempio è rappresentato dal tema iniziale di Aladdin (1992). In esso, un personaggio descrive la sua terra, l’Arabia, come una terra «dove ti tagliano l’orecchio / se la tua faccia non gli piace / è barbaro, ma hey, è casa mia». La versione italiana, invece, diceva «e ti trovi in galera / anche senza un perché / che barbarie, ma è la mia tribù!».
Gli arabo-americani lo denunciarono come uno stereotipo e ne chiesero la rimozione. La Disney provò a difendere il film, definendolo come il primo ad avere protagonisti arabi. Tuttavia, alla fine acconsentì a cambiare il testo nella versione Home Video e nei CD della colonna sonora. Il nuovo testo recita: «Dove è tutto piatto e immenso / e il calore è intenso». La battuta sulla barbarie, invece, rimase, ma la versione italiana la sostituì con «non è facile / ma io ci vivo laggiù».
Va da sé che un film come I racconti dello zio Tom (in inglese Song of the South, 1946) ha causato ancor più problemi.

I racconti dello zio Tom (Song of the South, 1946)

Si pensi che questa è stata la seconda produzione cinematografica per la quale ebbe l’Oscar un attore afroamericano, in questo caso James Baskett. Lo aveva preceduto sette anni prima Hattie McDaniel per Via col vento. In questa seconda pellicola, la McDaniel nel film Disney affianca James Baskett nel ruolo di zia Tempy. Tutto ciò fa de I racconti dello zio Tom l’unica produzione cinematografica in cui recitarono insieme i due primi Premi Oscar afroamericani.

La storia, ambientata nel Sud dopo la Guerra di Secessione, è basata su un ex-schiavo di nome Uncle Remus (Zio Tom in italiano). Questo personaggio del tutto positivo fa la gioia dei bambini con delle storie divertenti, ed aiuta anche un bambino bianco nella sua crescita umana. La storia adesso vede una condanna in nome del Politicamente corretto, in quanto rappresenta un rapporto idilliaco tra schiavo (veramente non più schiavo) e padrone (non più padrone). La rappresentazione di schiavi felici è considerata «un insulto alle minoranze americane».

Contestano il film alcuni comitati civili antisegregazionisti, in quanto lo stato di vita degli schiavi e i loro rapporti con i padroni sembra rispecchiare le falsità che narrava la letteratura sudista, suprematista e razzista. Il film viene ritirato da Disney+. Non solo: in tempi di Politicamente corretto, Disneyland sta chiudendo, dopo 34 anni di attività, Splash Mountain, l’attrazione ispirata dal film. Splash Mountain sarà sostituita da Tianàs Bayou Adventure, ispirata al film del 2009 La principessa e il ranocchio. In tale film si introdusse il personaggio di Tiana, ovvero la prima principessa nera di Disney, sempre in rigoroso rispetto del politically correct.

In difesa del film

In realtà Walt Disney lottò contro le accuse di razzismo e si prodigò perché venisse consegnato il premio Oscar a Baskett. Si oppose anche alla legge di segregazione razziale che impedì a Baskett, Hattie McDaniel, e il resto del cast nero di intervenire alla première ad Atlanta, come già era accaduto per «Via col Vento». Baskett morì pochi mesi dopo aver ritirato l’Oscar onorario, ottenuto anche grazie a Disney, il quale ricevette i ringraziamenti dalla vedova, che gli era grata per l’amicizia e il supporto dimostrati sino alla fine.

Fra i più noti sostenitori della pellicola, che considerano invece il film progressista per il suo tempo (per quanto riguarda i rapporti interrazziali, come quando Uncle Remus e Johnny si tengono per mano), vi sono anche afroamericani come l’animatore Floyd Norman e la celebre attrice Whoopi Goldberg. James Baskett e Hattie McDaniel sostennero fortemente il film, accusando i detrattori di voler creare divisione.

Ma se Atene piange, Sparta non ride. Accuse simili sono rivolte oggi alla Capanna dello zio Tom.

Persino la «Capanna dello zio Tom»?

La Capanna dello zio Tom, una scena del romanzo. Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=66365583

Quando il romanzo autobiografico Le mie prigioni di Silvio Pellico si diffuse in tutta Europa a partire dal 1832, il primo ministro austriaco Metternich ammise che questo libro stava danneggiando l’Austria più di una guerra perduta. Altrettanto si potrebbe dire della Capanna dello zio Tom (1852). Infatti, pare che Abramo Lincoln, incontrando l’autrice nel 1862, le abbia detto: «Allora questa è la piccola signora che ha scatenato questa grande guerra». Stava parlando, ovviamente, della Guerra di Secessione americana. Quel libro, secondo lo statista, conteneva una carica esplosiva. Suscitò, tra l’altro, tutto un filone di «letteratura anti-Tom», ossia romanzi scritti dai narratori degli Stati del Sud per combattere la visione delle piantagioni del profondo Sud riportate ne La capanna dello zio Tom.

Ebbene, Harriet Beecher-Stowe, convinta abolizionista, che aveva scritto il romanzo far capire ai lettori che la schiavitù è sbagliata e che le persone di colore hanno uguali diritti  e per promuovere la causa dell’abolizione della schiavitù, non si sarebbe mai immaginata di poter essere accusata… di razzismo.

Il protagonista contestato

Si contesta il personaggio di zio Tom perché è troppo remissivo, accetta la sua condizione, non è un ribelle.  Oggi si preferirebbe uno zio Tom radicale, che predica veementemente, prende le armi, guida una rivolta, fugge. Ma ciò non sarebbe stato in sintonia con le convinzioni di quacchera di Harriet Beecher-Stowe e non avrebbe avuto un impatto positivo sui lettori dell’epoca, mentre così come è stato scritto è stato un romanzo che ha contribuito a porre fine alla schiavitù. I lettori ottocenteschi non sarebbero stati ben disposti verso un nero battagliero considerandolo tutt’altro che nobile, mentre rimasero colpiti e profondamente scossi da un martire silenzioso e coraggioso improntato ad una dignitosa sofferenza cristiana (inflittagli per opera della schiavitù), una figura cristologica.

Lo zio Tom incarna il tipo di non violenza di Gandhi e Martin Luther King, anche se non organizza manifestazioni o scioperi. È un personaggio coraggioso, che non si ribella direttamente per liberare gli schiavi ma li alleggerisce delle loro pene, dà loro i suoi raccolti e viene battuto al loro posto, li aiuta a fuggire. Torturato a morte perché riveli il luogo dove i fuggitivi sono nascosti, tace e muore per loro. Non si piega, non perde mai la sua dignità.

Ma questo ormai non è politicamente corretto. Questi testi di altri tempi sono oggetto di una sorta di «damnatio memoriae», quasi rappresentassero insulti alla sensibilità odierna. Tanto che…

Vietato chiamarsi zio Tom

A Berlino deve essere cancellato in quanto richiama al razzismo il nome di «Onkel Toms Hütte», la capanna (o baracca) dello zio Tom, stazione della metropolitana nel quartiere residenziale di Zehlendorf. Lo chiede il ventiduenne Moses Pölking, giocatore di basket del Brema, che ha lanciato una petizione già firmata da settemila berlinesi.

Forse questo nome rimanda al razzismo perché assegnato dagli americani al cui settore apparteneva il quartiere, quando Berlino era divisa in quattro, un settore per ogni potenza vincitrice? Macché. Nella zona si trovava una semplice osteria in cui l’oste si chiamava Thomas. È lui il Tom che diede il nome alla strada, nel 1880. L’osteria è sopravissuta fino al 1970, e il nome è rimasto. Werner Kautz, presidente dell’associazione degli abitanti del quartiere, si oppone al cambiamento: «Onkel Tom in Germania non è insulto, e il nome della stazione ricorda la storia della nostra Heimat». Ma già riceve minacce e lettere di insulti. Sembra che la ragione spetti a chi fa più chiasso.