60° del Vaticano II. I partecipanti

Luna su San Pietro.
Di Beatrice – foto personale, CC BY-SA 2.5 it, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=113304226

I partecipanti al Vaticano II furono 2.400 vescovi, e fra questi ricorderò il mio, mons. Emilio Guano vescovo di Livorno, che rivestì un ruolo importante nella elaborazione di documenti come la Gaudium et Spes.Ma si ebbero, oltre ai Padri conciliari, delle presenze particolarmente significative: periti ed esperti, osservatori, uditori (tra cui uditrici).

Periti ed esperti

Jean Daniélou, esperto al concilio, qui con Giorgio La Pira
Italian magazine Epoca, year IV, N. 14, p.83, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=45909693

Periti ed esperti ebbero un ruolo rilevante fra i partecipanti al Vaticano II. Vi erano due specie di esperti: innanzi tutto quelli ufficiali, o periti, che assistevano alle congregazioni generali senza diritto di voto, e partecipavano ai lavori delle commissioni conciliari. Celebri furono, tra questi, i gesuiti Kark Rahner, Jean Daniélou ed Henri de Lubac, e il mariologo René Laurentin.

Gli esperti privati, invece, erano i teologi invitati da alcuni vescovi come consiglieri e, almeno teoricamente, esterni al concilio. Tra questi ultimi si ricordano grandi nomi, come quelli dei domenicani Marie-Dominique Chenu e Yves Congar. Alcuni di loro furono progressivamente inseriti tra i periti ufficiali.

Il numero dei periti ufficiali nel corso dei lavori andò aumentando. Giovanni XXIII ne aveva nominati 201 (75 italiani e 126 stranieri; 96 appartenevano ad ordini religiosi, e di questi 24 erano gesuiti e 7 domenicani), per lo più teologi e canonisti; poi ci si rivolse anche ai biblisti, e in seguito a sociologi e ad uomini di esperienza pratica. Alla fine i periti erano 434 (fra i quali un numero sempre maggiore di laici) e, con gli esperti privati, si arrivò ad oltre 500 persone. Non pochi, anche rapportati agli oltre 2.500 vescovi.

Osservatori acattolici

Il teologo luterano George Lindbeck (1923 – 2018), osservatore al concilio.
By [1] via Yale University, Fair use, https://en.wikipedia.org/w/index.php?curid=61178249

Gli osservatori erano esponenti delle Chiese non cattoliche, invitati a presenziare al concilio. Accettarono con più facilità gli anglicani e i protestanti che non gli ortodossi, a causa dei delicati problemi che caratterizzavano quel mondo e i rapporti con Roma, benché il patriarca Atenagora fosse personalmente intenzionato ad accettare l’invito. Il patriarca di Mosca rimase a lungo diffidente, per chiare ragioni politiche. Solo all’ultimo momento, dopo l’assicurazione che al concilio non vi sarebbe stata alcuna condanna del comunismo, il patriarcato di Mosca decise di inviare due rappresentanti, che fra l’altro giunsero a Roma per tempo, proprio il giorno dopo l’apertura del concilio.

Tra gli altri osservatori, si ricordano due fratelli di Taizé, R. Schutz e M. Thurian, il professor Cullmann, il canonico anglicano Pawley e monsignor Cassien, rettore dell’Istituto Saint-Serge di teologia ortodossa di Parigi. Partecipò anche il teologo ortodosso Paul Evdokimov.

Mancava invece, ancora, l’ortodossia greca. Il patriarca Atenagora aveva speranza di poter giungere a una decisione comune circa la partecipazione di osservatori ortodossi, ma la Chiesa di Grecia si opponeva. Si notò tuttavia la presenza del teologo greco K. Nissiotis, condirettore dell’Istituto ecumenico di Bossey.

Grazie allo storico incontro e abbraccio di Gerusalemme tra Paolo VI e Atenagora, avvenuto il 5 gennaio 1964 (in uno straordinario video, QUI), alla fine anche il patriarcato di Costantinopoli fu presente con tre archimandriti cui si aggiunsero due delegati del patriarcato di Alessandria. In tutto gli acattolici furono 101.

Uditori laici… (e anche parroci)!

Il filosofo Jacques Maritain, uditore al concilio.
Di Eduardo Martín Schweitzer Benegas – Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=78943590

Uditori laici… anzi, uditori e uditrici: questa volta la specificazione del femminile è opportuna, contro l’abuso che se ne fa continuamente nell’insopportabile parlare «politicamente corretto».

La Curia romana non aveva neppure previsto la presenza di religiose  alle sedute della Commissione dei religiosi, che risultava particolarmente chiusa; ed esse non parteciparono. Neppure aveva previsto la presenza di laici nella commissione che doveva preparare lo schema sull’Apostolato dei laici! Ma il 19 novembre 1962 Giovanni XXIII invitò a titolo personale Jean Guitton, professore alla Sorbona, esperto di problemi ecumenici, e l’accademico sedette nella tribuna riservata agli osservatori. Paolo VI rimediò all’assurdità dell’assenza del laicato, e alla vigilia del II periodo decise di invitare ufficialmente alcuni laici. Ne vennero designati dieci (più altri 3 in ottobre), scelti fra i responsabili delle organizzazioni internazionali cattoliche.

Uditrici

Nella seconda sessione del Concilio (autunno del 1963), il 22 ottobre, il cardinale Leo Josef Suenens, arcivescovo di Malines – Bruxelles, nel suo intervento si riferì ai laici, rilevandone i doni di grazia e i carismi, e soffermandosi specialmente sui carismi propri delle donne. Fece un appello perché fosse accresciuto il numero degli uditori laici (in quel momento 13 uomini) includendo anche donne, che, ricordò, «costituiscono la metà dell’umanità».

Nel III periodo furono dunque invitati 8 nuovi laici, provenienti da Asia, Africa e Oceania. Ricevettero l’invito anche 15 uditrici: 7 laiche, responsabili di organizzazioni internazionali, e 8 religiose. Infine, il 9 ottobre, fu designata una nuova categoria di invitati, 38 parroci, in rappresentanza di 15 paesi.

Uditori e uditrici presero parte attiva alle discussioni della Commissione per l’apostolato dei laici, il cui presidente, il cardinal Cento, concesse loro anche il diritto di parola. Stessa cosa in una delle sottocommissioni incaricate della revisione dello schema sulla Chiesa e nelle varie sottocommissioni alle quali era stata affidata la rielaborazione dello Schema XIII (che diverrà la Gaudium et Spes).

Più volte alcuni uditori furono invitati a prendere la parola in aula davanti all’assemblea: Patrick Keegan, presidente del Movimento mondiale dei lavoratori cristiani; J. Norris, presidente della Commissione internazionale cattolica dell’emigrazione; J. Vazquez, presidente della Federazione internazionale della gioventù cattolica; infine, il parroco madrileno L. Marcos.

Nella quarta sessione il numero degli uditori salì a 29 e quello delle uditrici a 23 (tra le quali 10 religiose). Le laiche erano nubili e vedove, ma tra gli uditori vi furono due coniugi, i signori Alvarez y Casas, fondatori del Movimento delle famiglie cristiane in America latina, che poterono esercitare una notevole influenza nella elaborazione del capitolo sui problemi familiari.

Non vi furono restrizioni nella partecipazione delle uditrici; infatti presero parte sempre a tutte le congregazioni, non solo quando le discussioni vertevano su temi strettamente attinenti al femminile.Però non furono mai invitate a parlare pubblicamente, al contrario di quanto venne chiesto agli uditori maschi. Un fraintendimento del precetto paolino «Mulieres in ecclesiis sileant»? (1Cor 14,34). Parlo di malinteso, perché San Paolo stesso prevede che le donne possano profetizzare (1Cor 11,5), purché sia rispettato l’ordine nell’assemblea, mentre nel passo citato più sopra sta parlando di chiacchierone che intervengono a sproposito.

Rosemary Goldie

L’australiana Rosemary Goldie, uditrice al concilio.
Fonte: https://www.portale.fuci.net/2021/01/12/ritratto-di-rosemary-goldie/

Una uditrice del Vaticano II, che sentii di persona parlare a Livorno (al teatro La Gran Guardia mi pare) perché fu invitata dal nostro vescovo, fu l’australiana Rosemary Goldie.  Laureata all’università di Sidney e poi alla Sorbona (frequentò anche le lezioni di Jacques Maritain), si impegnò fin dal 1947 per l’apostolato dei laici e poi iniziò gli studi di teologia alla Pontificia università urbaniana. Nel 1964 Paolo VI la chiamò come uditrice del Concilio Vaticano II, nel 1966 la nominò segretaria del Consiglio per i laici e l’anno successivo vice-segretaria dello stesso dicastero. Fu la prima donna ad avere un incarico nella Curia romana.

Dal 1974 al 1975 fu segretaria della commissione di studio «Le donne nella Chiesa e nella società», istituita da papa Paolo VI. Dal 1977 al 1986 insegnò all’Istituto Pastorale della Pontificia Università Lateranense. Fu consultore del Pontificio consiglio per i laici e del Segretariato per la promozione dell’unità dei cristiani. Fece anche parte della delegazione della Santa Sede per le assemblee del Consiglio ecumenico delle Chiese.

Giovanni XXIII la chiamava la piccinina perché era molto piccola di statura, Paolo VI la definì «nostra collaboratrice». Rosemary Goldie fu protagonista per cinque decenni della promozione del laicato, fino alla nascita e allo sviluppo del Consiglio per i laici, nuovo organismo della Curia romana.

Nel luglio del 2008 ricevette la visita di papa Benedetto XVI, che si trovava in Australia per la Giornata mondiale della gioventù. Morì il 27 febbraio 2010 all’età di 94 anni.

Il Vaticano II e il vescovo Emilio

Mons. Emilio Guano. Fonte:
https://www.isacem.it/it/fondi-archivistici/emilio-guano-1906-1974

Ed allora io ripenso a quando ero studente universitaria, frequentavo la Fuci di Livorno, e vivevamo gli eventi del Concilio attraverso il nostro vescovo. Una persona molto dimessa ma di grande rilievo, mons. Emilio Guano. Sono grata di essere nata nella Chiesa preconciliare, una Chiesa granitica e disciplinata che offriva tanta sicurezza fra le sue braccia e che forniva anche un quadro dottrinale coerente e completo. Il mio bisogno di ordine e di logica era pienamente soddisfatto. Ma sono grata anche di aver vissuto il respiro conciliare proprio negli anni fondamentali della formazione universitaria. Il nostro assistente era don Giulio Tavallini, genovese, laureato in ingegneria, segretario del vescovo. Per questo i nostri rapporti col vescovo Emilio erano piuttosto ravvicinati, ed in vescovado noi studenti eravamo di casa. Gli voglio perciò dedicare questa pagina soprattutto in riferimento all’impegno conciliare.

L’impegno associativo

Mons. Guano era nato a Genova il 16 agosto 1900, era entrato in seminario a nove anni e nel 1922 aveva conseguito la licenza Sacra Scrittura presso l’Istituto biblico di Roma. Il 23 dicembre dello stesso anno, a Roma nella cattedrale di S. Giovanni in Laterano, fu ordinato sacerdote. Svolse il suo primo ministero sacerdotale a Genova nel quartiere popolare di S. Fruttuoso e nel 1926 divenne assistente ecclesiastico del circolo universitario della Federazione universitaria cattolica italiana (FUCI, di cui fu anche vice assistente nazionale) e di un gruppo dell’Associazione scoutistica cattolica italiana. In questo modo veniva profilandosi quello che sarà l’aspetto più caratterizzante del suo impegno, il contributo alla formazione della cultura religiosa di generazioni di professionisti, e la riflessione sul ruolo dei laici nella Chiesa, sull’importanza della liturgia e sul rapporto Chiesa – mondo.

Tra gli anni Trenta e Quaranta, con don Franco Costa e con mons. G.B. Montini, allora assistente centrale della FUCI, Emilio Guano contribuì alla formazione della futura classe dirigente cattolica destinata a guidare l’Italia nel dopoguerra; il suo pensiero fu di fondamentale importanza nell’elaborazione culturale e politica del movimento cattolico-democratico e nel passaggio di molti cattolici alla vita politica.

Dal 1936 fu vice assistente del movimento laureati di Azione cattolica; questo, senza trascurare l’attività di docente. Poi fu assistente centrale del Movimento laureati di Azione cattolica. Nel 1950 contribuì alla preparazione del I Congresso mondiale per l’apostolato dei laici ed allo sviluppo del movimento internazionale degli intellettuali cattolici Pax romana, il cui congresso di Amsterdam dell’agosto 1950 ha come tema la collaborazione dell’intellettuale all’opera della redenzione. Nel 1954 fu nominato assistente ecclesiastico del MIEC e nel 1955 del Movimento laureati di Azione cattolica, carica che conservò fino al 1970. Sempre nel 1955 approfondì la collaborazione con il Movimento ecumenico internazionale. Tra il 1959 e il 1962, insieme con don Franco Costa, creò la rivista «Spiritualità dell’uomo politico», come luogo di dialogo e collaborazione tra intellettuali cattolici e mondo politico.

Vescovo di Livorno

Nel 1962 Giovanni XXIII lo nominò vescovo di Livorno; il 31 maggio fu consacrato dal card. Siri nella cattedrale di Genova. Io c’ero. Livorno era un ambiente difficile di marchio operaio e comunista; ma questa difficoltà, anziché allontanare il vescovo dalla sua lunga esperienza di associazionismo cattolico e dal mondo della cultura, rappresentò per lui un forte stimolo a tradurre nella pastorale concreta i principi del Vaticano II. Tutto questo, usando gli strumenti del biblista e dell’intellettuale: ascolto, dialogo e confronto con il mondo civile. Non mancarono nei suoi confronti le accuse di essere un vescovo rosso…

Pur rimanendo sostanzialmente un intellettuale, mons. Guano si presentò in modo molto semplice, mostrando vicinanza alla gente, come un pastore che, come direbbe papa Francesco, «sa di pecora»; si rivelò una persona vera, senza infingimenti; e i livornesi, benché anticlericali, amano le persone autentiche, come avevano amato mons. Giovanni Piccioni, il vescovo della mia Cresima, un uomo che viveva uno stile povero, e si recava a piedi alle celebrazioni nelle parrocchie cittadine.

Padre conciliare

Al concilio Vaticano II mons. Guano partecipò in un ruolo di primo piano soprattutto nella realizzazione della costituzione pastorale Gaudium et spes (già Schema XIII), e della Lumen gentium.

Nella preparazione e nello svolgimento del Concilio, il suo lavoro fu assai rilevante. Da esperto, già nella fase preparatoria (ottobre 1960 – aprile 1962), contribuì alla impostazione del decreto sull’apostolato dei laici, insistendo sui problemi di ordine culturale.

Come padre conciliare, partecipò alla commissione incaricata di preparare il documento da cui sarebbe nata la costituzione pastorale Gaudium et spes. Alla fine della seconda sessione (novembre 1963) presiedé la sottocommissione che doveva redigere lo Schema XIII. Guidò i lavori del gruppo di padri fino al maggio 1965, quando lo schema fu accettato e poté essere trasmesso a tutti i padri; ma egli dovette lasciare l’incarico per una grave malattia.

Mons. Guano contribuì anche alla elaborazione della costituzione Dei Verbum sulla divina rivelazione e sui rapporti fra Scrittura e Magistero. Inoltre dette un contributo rilevante sui temi dell’ecumenismo, della riforma liturgica e del ruolo dei laici nella Chiesa. Fu senza dubbio uno dei più significativi referenti dell’episcopato italiano al concilio. Il suo non fu un grande nome come quelli di De Lubac, Congar, Daniélou od altri, anzi è rimasto sconosciuto ai più, ma il suo contributo non fu minore.

Del resto, il suo modo di rapportarsi con gli altri era improntato ad una semplicità estrema. Stava con noi a tavola senza formalità. Ci accompagnava nelle gite vestito da prete, senza la croce vescovile al collo. Ricordo che una volta, nella basilica di San Francesco ad Assisi, mentre ci faceva da guida, fu redarguito rozzamente da un frate conventuale che gli intimò di smettere (usano farlo ancora) perché non era autorizzato. Gli rispose per le rime, senza rivelare però che era un vescovo: sostenne seccamente che chiunque aveva il diritto di dare spiegazioni agli altri, e che non gli potevano vietare di farlo. Il conventuale batté in ritirata, senza sospettare minimamente che era stato ripreso da un vescovo. Era fatto così.

Purtroppo nel 1965 si ammalò gravemente e trascorse con difficoltà i suoi ultimi anni di ministero. Morì nel 1970, ma la sua opera fu continuata da mons. Alberto Ablondi che già lo aveva affiancato come vescovo ausiliare.

A quell’epoca, forse, non comprendevamo appieno di aver ricevuto da lui tanta ricchezza; ci pareva naturale. Esperienze successive mi hanno mostrato quanto invece si possa essere, oggi, lontani da quel modello… Dobbiamo essere veramente grati di averlo avuto come vescovo. Fu una bella figura di pastore, completa sotto tutti i punti di vista: spirituale, teologico, culturale, umano. Così si esprime a suo riguardo Luca Rolandi sul Dizionario biografico della Treccani:

«Il G. fu una delle personalità più originali e penetranti della Chiesa italiana del Novecento, portatore di una proposta creativa nell’auspicio di raggiungere un punto di equilibrio tra teologia e cultura moderna. Il suo pensiero religioso si ispirava alla filosofia neotomista, alla nuova teologia cattolica e protestante, francese e tedesca, e alla spiritualità del monachesimo benedettino; il suo pensiero politico-culturale subì un’evoluzione nel tempo: partendo dalla visione di una nuova cristianità in grado di segnare il cammino dell’uomo nel mondo moderno, nel secondo dopoguerra si avvicinò all’idea di una società ispirata al Vangelo in dialogo con il mondo. Tuttavia egli non fu un teorico della politica e la sua formazione e gli studi lo avvicinarono piuttosto al modello dell’intellettuale dedito alla riflessione culturale sulla politica».

Tra i suoi scritti:  La teologia nella vita sacerdotale, Brescia 1939; La rivelazione di Dio, I-IV, Roma 1940-45 (I, Introduzione alla rivelazione cristiana; II, Le origini e la preparazione a Cristo; III, Cristo, Verbo incarnato; IV, La continuazione di Cristo e la consumazione delle cose); Invito alla riflessione, Fossano 1961; Natale tra disperazione e speranza, Vicenza 1979 (con un profilo di G. Tavallini); Ti interessa Dio? Lettere del vescovo ai Livornesi. 1962-1970, Roma 1980; Lettere di amichevole intesa (1942-1955). Verso la pienezza dell’amore, ibid. 1980; Cultura e responsabilità. Lettere a docenti (1946-1963), ibid. 1981; La santità di Dio, ibid. 1996.

La stagione del concilio

Discorso inaugurale di Giovanni XXIII.
Di Lothar Wolleh – Dominio público, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=115485604

Fu una stagione straordinaria, quella del concilio. Ma non finì lì. Vi furono tanti laici, e soprattutto tanti sacerdoti, che la recepirono come un’opportunità, anzi un dovere di attualizzazione del Vangelo nel mondo contemporaneo.

Intendiamoci, per attualizzazione non intendo semplicemente il rinnovamento liturgico (che è, piuttosto, un ritorno alle origini smantellando le concrezioni plurisecolari che la gente scambiava per tradizioni delle origini cristiane). Tanto meno intendo l’uso della lingua del popolo che ha cancellato il ricordo del latino: ricordo prezioso, che dovrebbe essere ripreso almeno in qualche canto liturgico. Come disse qualcuno, per farsi capire dal popolo non si canta più «Tantum ergo», però si canta «Cum bay ya my Lord»…

Meno ancora intendo le tante sguerguenze pseudo liturgiche che hanno stravolto la serietà dell’azione sacra. Come scrisse C.S. Lewis, «Vorrei che si ricordasse che il mandato conferito a Pietro era: “Pascola il mio gregge”, non: “Compi esperimenti sulle mie cavie” o: “Insegna nuovi trucchi al mio cane ammaestrato”» (Lettere a Malcom, Neri Pozza,Vicenza 1997, p. 7).

No, la caratteristica fondante del Vaticano II mi sembra essere la rilettura della Chiesa come popolo di Dio e del laicato come parte attiva, non passiva, di questo popolo; la riscoperta della comune dignità battesimale (sacerdotale, profetica, regale) di ognuno. Allora non conta erigere muri, ma aprire un dialogo; non vale alcunché scimmiottare il sacerdote all’altare, ma bisogna sentirsi parte della Chiesa di Dio; non serve avere adepti, ma essere in comunione. Da qui nasce tutto il resto, l’importanza della formazione biblica, l’ascolto, il dialogo, l’ecumenismo, la ministerialità della Chiesa, la comunionalità.