
Nel gennaio di 50 anni fa andava in onda per la prima volta Happy Days, la famosa serie televisiva sulla famiglia americana degli anni Cinquanta. 11 stagioni, 255 episodi che hanno fatto un’epoca, con oltre 500 milioni di affezionati telespettatori sparsi nel mondo. Non ho mai avuto particolare simpatia per questa produzione che è arrivata in Italia col normale ritardo di tre anni, ma come pagina di costume ritengo abbastanza importante dedicarle un po’ di attenzione. Rai 1 la trasmetteva alle 19.20, giusto come raccordo fra la Tv dei ragazzi e l’Almanacco del giorno dopo cui faceva seguito il Tg, in una fascia oraria, quindi, che a quell’epoca raccoglieva un po’ tutti davanti al nuovo focolare, come lo chiamava Enzo Arbore.
La famiglia Cunningham

Lo scenario in cui si muovono i personaggi di Happy Days è quello di una tipica famiglia americana anni Cinquanta, la famiglia Cunningham che vive a Milwaukee, nel Wisconsin. L’immagine di questa famiglia appare del tutto stereotipata. Nessuno fuma, nessuno beve; non ci sono pregiudizi razziali, nemmeno nei confronti del proprietario giapponese del locale da Arnold’s in un immediato dopoguerra in cui il ricordo del conflitto con il Giappone era ben vivo. Non c’è sesso né droga – secondo lo slogan della controcultura giovanile – , rimane giusto il rock’n roll. Nessuna preoccupazione per la Guerra fredda, né per il comunismo, ma neppure per le violazioni dei diritti civili… Sono gli Anni Cinquanta idealizzati, come si sarebbe voluto che fossero, non come furono.
I personaggi
Howard, il capofamiglia, è un pacato signore di mezza età, 43enne nella prima stagione. Pensate a quanto sono cambiati i tempi: oggi una persona della sua età sarebbe considerato un ragazzo che deve ancora trovare il suo posto nella vita. Ha un negozio di ferramenta: più tranquillo di così… Nel telefilm (come allora si chiamavano le serie televisive), Howard è lo stereotipo del buon padre di famiglia americano: prudente e conservatore, ma sostanzialmente benevolo e tollerante. Howard ha per moglie Marion, casalinga frustrata dalla routine domestica e familiare: magari preferirebbe movimentare un po’ l’esistenza.
Dei figli, la più piccola è Joanie, una teenager gelosa del fratello. Più grande di lei è Richie, che frequenta la high school e poi l’università, educato, timido con le ragazze, imbrancato con i coetanei e fra tutti con gli amici d’infanzia Potsi e Ralph. Ci sarebbe anche un altro fratello, il maggiore, Chuck, che però rimane marginale e addirittura dalla terza stagione esce di scena senza che nessuno se ne accorga o, perlomeno, lo rimpianga. Richie avrebbe dovuto essere il protagonista della serie, ma in corso d’opera viene spodestato – senza gelosie – da un personaggio inizialmente di contorno, Arthur Fonzarelli, detto Fonzie, un amico più grande che ha già lasciato la scuola per fare il meccanico e che diviene man mano il vero protagonista, mentore e idolo dei suoi giovani amici.
Fonzie
Arthur Fonzarelli, detto universalmente Fonzie (solo Marion lo chiama Arthur), è una specie di macchietta. Ciuffo, brillantina, t-shirt bianca, giubbotto di pelle nera, rappresenta nel quieto vivere della provincia americana il giovanotto ribelle ma non troppo. Mezzo Marlon Brando e mezzo James Dean, non ha bisogno di ribellarsi davvero, perché è già arrivato e stabilizzato, bullo e latin-lover con tutte le femmine ai suoi piedi ma sempre nella correttezza. Il mondo è suo.
Non brilla per eloquenza, ma le sue movenze divengono un cult. Il molleggiato “Ehi!” con cui sottolinea ogni sua impresa, il “Sit on it!” con cui zittisce senza sforzo gli interlocutori, lo schiocco di dita con cui attira le ragazze, il colpo magico con cui fa partire il juke-box… tutto questo fa di lui, inizialmente figura di secondo piano, il vero centro di gravità della produzione televisiva.
La celebre sigla QUI.
Carriere che iniziano da Happy Days…
Richie è interpretato da Ron Howard (classe 1954) che non solo diventa popolarissimo come attore con Happy Days, ma diverrà acclamato regista e produttore cinematografico (Splash. Una sirena a Manhattan, 1984; Cocoon. L’energia dell’universo,1985; Apollo 13, 1995; A Beatiful Mind, film che ha vinto due Oscar nel 2001; trilogia de Il Codice da Vinci, 2006; Frost-Nixon. Il duello, 2008). L’avreste detto, a partire da quel ragazzetto imbranato che sta appena imparando a crescere?
Poi ci sono gli ospiti d’onore, le Guest Stars, come si dice. In due puntate compare un alieno, Mork, interpretato da un quasi sconosciuto Robin Williams. Non solo la sua apparizione piacque a tal punto da dare luogo alla serie televisiva derivata Mork & Mindy (1978-1982), ma fu solo l’inizio di una prestigiosa carriera di attore che gli varrà nel 1998 il premio Oscar ma che non lo salverà da una triste fine. L’altro ospite che diverrà famoso, fino ad aggiudicarsi ben due Oscar consecutivi come attore protagonista (record condiviso solo con Spencer Tracy), è Tom Hanks, che in una puntata del 1982 ha addirittura l’indubbio onore di vendicarsi di Fonzie che all’asilo lo aveva buttato giù dall’altalena, riuscendo – sebbene goffamente – a buttarlo a calci fuori dalla finestra.. Chi ha mai potuto vantare impresa più grande?
Il salto dello squalo
Happy Days è stato un tale fenomeno mediatico da dare luogo ad alcuni modi di dire relativi al mondo dello spettacolo. Qui mi interessa evidenziare il salto dello squalo. Spiego l’espressione: nel linguaggio televisivo, il salto dello squalo indica la situazione in cui qualcosa di importante e di popolare, dopo aver toccato l’apice, raggiunge un punto di crisi dopo il quale perde qualità, per cui si cerca di rivitalizzarlo con espedienti anche assurdi. Il modo di dire deriva proprio da un episodio di Happy Days (1977) in cui il mitico Fonzie, per strafare, vince la scommessa di saltare con gli sci d’acqua uno squalo tigre. Il salto dello squalo QUI:
L’episodio, che appartiene alla quinta stagione, rappresenta in teoria il declino di Happy Days, che in realtà continuò per altre sei stagioni e con la stessa popolarità, benché il salto dello squalo avesse rappresentato una impresa inverosimile che rendeva difficile al pubblico di identificarsi con le situazioni e i personaggi della serie.
Un’epopea americana

Se il paragone reggesse, mi sembrerebbe di poter paragonare le situazioni della famiglia Cunningham all’epopea americana del West. Al posto della mitizzazione della vita dei pionieri, qui troviamo l’epopea di una famiglia americana media a cavallo fra gli Anni Cinquanta e Sessanta: anni mitici, infatti, quelli del tipico sogno americano e dell’American Way of Life, in cui ci si prefigge e si sviluppa uno stile di vita basato e orientato sul benessere – una tv in ogni casa, elettrodomestici, weekend, festicciole… spensieratezza.
Ricordo, in una puntata, tutta la famiglia Cunningham, schierata sul divano, inforcare gli occhiali di carta colorata per vedere… la tv a colori! Ricordo quegli occhiali anche da noi, tempo dopo, però. Quel che si vede in Happy Days, infatti, nell’Italia degli anni Ottanta è ancora da venire: gli italiani non conoscono ancora i fast food, gli hamburger, il ketchup, e neppure Halloween! Persino le tradizionali risate di sottofondo della versione originale americana, registrate nelle prime due stagioni, autentiche a partire dalla terza, mancano nell’edizione italiana.
Perché negli Usa si sviluppa il mito della famiglia Cunningham, con contorno di Fonzie? C’era bisogno, nella crisi degli anni Settanta, di una nuova mitizzazione che richiamasse la società americana ai sogni e alle realizzazioni di venti anni prima; e funzionò. Il potere mediatico, del resto, è fortissimo: in una puntata Fonzie entra in biblioteca per prendere un libro in prestito, e da quel momento i giovani americani iniziano a leggere di più. Se legge Fonzie… Tutto è rasserenante in Happy Days, se ci sono piccoli problemi si sistemano, niente sesso o droga ma solo rock’n roll!
Politicamente scorretto
Mi meraviglio che ancora nessuna voce si sia levata contro Happy Days ad accusare la serie di non essere “politically correct”. Sarebbe impensabile produrla adesso, anche solamente per le scene in cui il semplice schiocco delle dita di Fonzie fa cadere tutte le ragazze ai suoi piedi. E la famiglia Cunningham, così impeccabilmente tradizionale… tutti etero, nessun disturbo psichico, nessuna coppia di fatto… tutti felici. Happy Days.