Ha senso una reliquia?

Dalla Verna a Piombino la Peregrinatio della reliquia del sangue delle Stigmate

Ha senso una reliquia? In una certa ottica, si direbbe di no. In senso materiale, la reliquia non è altro che un pezzetto di qualcosa, di un corpo, di un abito, di un oggetto qualunque. Che ha da dire a una fede che per definizione è basata proprio su ciò che non si vede? Se si vede, non è più fede: tutti sono buoni di giorno a dire che il sole c’è, perché lo vedono e ne sentono il calore. È più difficile dirlo la notte, quando non si vede più, e il gelo ci avvolge. Beh, quella del sole è solo una metafora che funziona fino ad un certo punto, perché di notte conserviamo il ricordo dell’esperienza del giorno, mentre la fede non si basa sull’esperienza sensibile, nemmeno sul suo ricordo. Fede è adesione a qualcosa che non vediamo e non abbiamo mai visto e non potremo mai vedere in questa vita. E allora, la reliquia non è proprio la negazione della fede?

Ha senso, allora, una reliquia?

Eppure, il Vangelo secondo Giovanni usa proprio il verbo vedere in relazione alla fede. Il Discepolo amato, che al tempo stesso è l’evangelista ed è simbolo di ogni discepolo, entrò nel sepolcro vuoto, vide e credette (Gv 20,8). Di solito la fede è legata all’udito (4,50), ma qui l‘evangelista la lega alla vista; e che cosa ha visto il Discepolo? Ha visto l’Assenza del Signore (il corpo non c’è più), ma ha visto anche un segno, un ricordo visibile: le bende e il sudario rimasti nel luogo dove era stato deposto.

La fede viene dall’ascolto, dice S. Paolo (Rom 10,17), e non c’è dubbio; ma in S. Giovanni si apre anche un’altra strada, dato che il Verbo incarnato ha assunto la concretezza e la visibilità della carne umana.

C’è vedere e vedere: contemplare l’Invisibile

Come si faccia a vedere l’Invisibile ce lo insegna l’evangelista Giovanni.

Giovanni, infatti, usa tre verbi diversi per esprimere l’azione di vedere. Li notiamo, usati in crescendo, nel racconto della Resurrezione.

Il primo, Blépō, è quello dello sguardo superficiale, l’aspetto fisico: lo sguardo della Maddalena che giunta per prima al sepolcro guarda il vuoto, e ne rimane spaventata (Gv 20,1). Non indaga, corre via.

Il secondo, Theōréō, che esprime lo sguardo di Pietro, significa piuttosto notare, osservare, scrutare, considerare mentalmente, cercare di dare un senso a ciò che si vede (Gv 20,6).

Il terzo, Horáō, quello del Discepolo amato (Gv 20,8), è la contemplazione, lo sguardo della fede, il riconoscimento. È, infatti, il verbo usato dalla Maddalena (Ho visto il Signore) quando ne dà l’annuncio ai discepoli: con l’Incontro, il suo sguardo è cambiato, adesso contempla la realtà divina del Risorto.

A questi tre, presenti nel racconto della Resurrezione, se ne deve aggiungere un quarto, che si trova nel Prologo (Gv 1,14), Theáomai, ad esprimere la visione mistica.

Come si “guarda” una reliquia?

Allora, la reliquia può acquistare un senso nella vita di fede. Do per scontato che il valore di una reliquia è solo quello di un ricordo che rimanda alle realtà che rammenta, e che non può mai avere un valore magico (sarebbe una grave colpa di superstizione: se tocco la reliquia… se compro la reliquia… se mi servo della reliquia per…). La sua liceità o meno dipende dallo sguardo che le rivolgiamo.

Se è lo sguardo fisico, superficiale, utilitaristico, o di curiosità, lasciatela stare: non fa bene alla fede, la intralcia.

Se è lo sguardo che cerca l’Amato nei segni fisici che Egli ha lasciato su questa terra, se è uno sguardo che scruta, interroga, ricerca, può essere una opportunità per la fede. Può essere una protesi che la aiuta a camminare quando ancora non è abbastanza robusta. Può essere un appello ad andare oltre.

Se è lo sguardo di amore contemplante, che da un piccolo segno, un piccolo frammento di storia risale subito a Colui che lo ha lasciato per donare un ricordo di sé, allora la reliquia assume il valore di un ponte sull’Invisibile…

Ha senso una reliquia del sangue delle Stigmate?

Devo precisare innanzi tutto che la reliquia del sangue di S. Francesco custodita alla Verna ha in favore della propria autenticità storica l’argomento di una tradizione ininterrotta. Ci rimanda all’Impressione delle Stigmate, ricordando che S. Francesco è stato il primo stigmatizzato della storia (metà settembre 1224). Ma che senso hanno le stigmate di San Francesco a cui la reliquia rimanda? Cosa sono, un atto di sadismo – masochismo, un crogiolarsi nella sofferenza per se stessa? L’obbedienza a un Dio che vuole che l’uomo soffra?

Non proprio, anzi per niente. Il loro senso fu ben espresso da una biografa del Santo, Maria Sticco, quando scrisse (cito a memoria): quando si ama qualcuno si può fare a meno di prendere parte alla sua gioia, ma non si può fare a meno di prendere parte al suo dolore. Le Stigmate sono lo specchio dell’amore di Francesco per il Cristo crocifisso. Tutto qui.

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