Gli zeloti ebbero un certo peso nel panorama politico e religioso della Palestina del tempo di Gesù. Nell’anno 6 d.C., dopo la deposizione di Archelao figlio di Erode il Grande, la Giudea era passata sotto la diretta amministrazione romana, facendo parte della provincia di Siria.
Il panorama religioso: il rapporto con i romani
I prefetti, in seguito chiamati procuratori, risiedevano a Cesarea Marittima ma controllavano saldamente Gerusalemme. Nominavano e deponevano i sommi sacerdoti e tenevano sotto chiave i loro paramenti, per cui solo con l’accordo di Roma il sommo sacerdote in carica poteva celebrare il giorno del Kippur o gran giorno dell’espiazione, il rito con cui Israele poteva ottenere il perdono dei suoi peccati. La classe sacerdotale aveva quindi interesse a difendere lo status quo contro i movimenti che volevano sovvertire l’equilibrio esistente per ridare a Israele l’indipendenza. Alcune componenti del mondo giudaico, tra cui il Sinedrio, preferivano il governo romano a quello, di dubbia legittimità, degli Erodi. Ottenevano in cambio da Roma un’ampia autonomia per quanto riguardava le questioni religiose, anche se al Sinedrio non venne riconosciuto il diritto di comminare la pena capitale, lo jus gladii. Ecco perché Gesù, per poter essere giustiziato, dovette essere deferito al tribunale romano.
Ma non tutte le componenti religiose della Palestina di quel tempo erano d’accordo su questa linea di acquiescenza al dominio romano. Vi fu chi si disinteressò dei problemi politici, chi si isolò dalla vita della maggioranza, chi preferì imbracciare le armi.
Le quattro vie
Al tempo di Gesù non esisteva un giudaismo normativo rispetto al quale le altre correnti risultassero eretiche: la tradizione religiosa, molto forte, era suscettibile di diverse interpretazioni. Veniva universalmente accettata la rivelazione mosaica, che tuttavia poteva ammettere diverse interpretazioni. Per questo la gente continuava a chiedere ai maestri: «Che cosa devo fare per entrare nel Regno dei cieli?». Le risposte erano diverse.
Giuseppe Flavio, un ebreo romanizzato, vissuto nel primo secolo d.C. (37-100), che scrisse la storia dell’ebraismo dalle origini fino ai suoi tempi (Antichità giudaiche; Guerra giudaica), denominò haíresis ovvero “scelte” queste correnti, e le paragonò alle correnti della filosofia ellenistica, mettendo in risalto le questioni speculative, dottrinali, che invece nella cultura semitica rimanevano marginali. Comparò i sadducei agli scettici, i farisei agli stoici, gli esseni ai pitagorici, gli zeloti ai cinici.
In effetti, si tratta di “scelte”, modi particolari di interpretare e vivere la Legge nella quale tutti si identificavano. Oggi potremmo forse chiamarli “movimenti”.
Gli zeloti
Il censimento ordinato da Roma verso l’anno 6 d.C. fu sentito come una dimostrazione particolarmente chiara della potenza del dominio straniero, e provocò sommosse. In quell’occasione si formò lo zelotismo, il cui fondatore Giuda Gaulanita seppe guadagnarsi anche l’appoggio di alcuni farisei: questa corrente propugnava la lotta armata contro i romani oltre al dovere di mettere in pratica la Torah.
Già al tempo di Erode il Grande erano comparsi gruppi di ribelli che furono perseguitati come banditi (lestai = ladroni). Quando nel 6 d.C. la Giudea passò sotto la diretta amministrazione di Roma, il galileo Giuda vi si contrappose con la richiesta di una teocrazia o governo divino. Nasceva così, secondo Giuseppe Flavio, la «quarta scuola filosofica», quella degli zeloti, in ebraico qanna’îm, o zelanti partigiani dell’indipendenza mediante la lotta armata.
I Vangeli non parlano direttamente di questa corrente religiosa, la cui esistenza però traspare nel soprannome di uno dei Dodici, Simone detto appunto lo Zelota o, con lo stesso significato, il Cananeo. Inoltre, i “ladroni” crocifissi con Gesù non erano certamente dei comuni ladri, ma partigiani o terroristi (secondo il punto di vista) che avevano attentato alla sicurezza dell’impero, come pure Barabba.
Verso la fine del periodo, lo zelotismo dette origine ad un gruppo ancora più radicale, quello dei sicari (il nome viene dalla sica, un pugnale lungo e appuntito), in ebraico Iskariot, forse lo stesso soprannome dato a Giuda. Essi furono i protagonisti dell’ultimo atto di resistenza di Massada.