Parola di Qoheleth: gli uomini non sono che bestie

Gli uomini non sono che bestie? La grande domanda

Gli uomini non sono che bestie, parola di Qoheleth. Cosa pensare di questo apparente scetticismo, che sembra ampiamente confermato dalle guerre che l’umanità continua a combattere?

Parola di Qoheleth: la sorte degli uomini è quella degli animali

Gli uomini non sono che bestie? Foto di PublicDomainPictures da Pixabay 
Foto di PublicDomainPictures da Pixabay 

L’articolo precedente QUI.

Per certi aspetti il Qoheleth è un libro del tutto particolare all’interno della letteratura biblica, per la sua visione filosofica del Tutto, per il suo senso della circolarità dell’esistenza e la sua negazione di una linearità della storia; ma la sua considerazione sulla sorte finale dell’uomo lo allinea con gli altri testi biblici coevi. Per molti secoli, per quasi un millennio e mezzo l’uomo della Bibbia non ha avuto la rivelazione dell’oltretomba come vita eterna.

18 Ho pensato fra me a proposito degli uomini:

Dio fa questo per provarli e per mostrare che essi, per sé, non sono che bestie.

 19 Infatti la sorte degli uomini è la stessa che quella degli animali:

come muoiono questi così muoiono quelli.

Gli uni e gli altri hanno uno stesso spirito, senza che l’uomo abbia nulla in più rispetto all’animale.

Gli uni e gli altri sono vanità.

 20 Gli uni e gli altri vanno verso lo stesso luogo:

gli uni e gli altri vengono dalla polvere, gli uni e gli altri tornano alla polvere.

 21 Chi lo sa se lo spirito dei figli dell’uomo sale in alto e se lo spirito dell’animale scende sotterra?

 22 Così ho visto che non c’è alcun bene per l’uomo se non che egli goda di quello che fa,

perché questa è la sua parte.

Perché chi lo porterà a vedere ciò che accadrà dopo di lui?

Queste considerazioni appaiono completamente negative, con una sfumatura di dubbio: ci sarà una differenza fra lo spirito dell’uomo e lo spirito dell’animale? Quale scopo si propone il Qoheleth con questo suo realismo scettico? Qoheleth sa che Dio non è assente dalla vita dell’uomo e che giudicherà ogni cosa, ma dove e quando?

È proprio su questo che non sa pronunciarsi. Quello che suggerisce è il rifiuto di soluzioni facili e consolatorie che spingano le persone verso un futuro gratificante ma illusorio. Qoheleth ha ben presente la visione dell’aldilà dei popoli a lui contemporanei, come l’Egitto. In Egitto si vive per morire e guadagnarsi un futuro soddisfacente nell’oltretomba, dove si riprodurranno le situazioni di piacere conosciute nella vita terrena: mangiare e bere, essere serviti sontuosamente, corredati di ogni lusso immaginabile… È chiaro che per lo scrittore questa è solo una parodia della vita terrena, una fantasia da sfatare; lo stesso vale per le pretese greche di immortalità dell’anima attraverso la metempsicosi; come pure da sfatare è la superbia creaturale dell’uomo.

Il ridimensionamento della superbia umana

Già l’intervento di Dio nel cuore del libro di Giobbe aveva abbassato la superbia dell’uomo, col mostrare la grandezza, potenza e maestà del cosmo rispetto alla piccolezza dell’essere umano.

Adesso, quasi a mo’ di contraltare rispetto ai racconti di creazione (Genesi 1-2), lo scetticismo del Qoheleth ridimensiona il valore dell’uomo nel creato: l’uomo, l’adam che è venuto dalla adamah cioè dalla terra (quindi ogni essere umano), fa la stessa fine delle bestie, in fondo. Viene dalla stessa polvere ed alla stessa povere ritorna. Ha lo stesso spirito (ruach) e al termine della vita, come loro, lo deve restituire a Dio.

Questo è anche coerente col racconto di Genesi 2,7 in cui l’adam viene plasmato con la polvere del suolo e diviene un essere (letteralmente, un’anima) vivente quando il Signore Iddio insuffla dentro di lui il respiro della vita – respiro che l’uomo condivide con tutti i viventi. Ma il Qoheleth lo spoglia di ogni trionfalismo: se l’origine delle creature viventi è comune, lo è anche la fine. Del resto il Qoheleth, che scrive a tavolino, non ha ancora a disposizione dati di rivelazione che parlino chiaramente di resurrezione e di vita eterna. Occorrerà arrivare al libro di Daniele, alla metà del II secolo a.C., per avere questo tipo di rivelazione. Per quel che Qoheleth vede nel grande spettacolo della vita, questa esistenza terrena per l’uomo è tutto. Nessuno può ancora sapere che cosa avvenga dopo. Qoheleth si limita ad osservare quello che accade sotto il sole.

Quello che importa per lui è l’atteggiamento pratico che ne deriva: godere momento per momento dei beni che Dio dissemina nella vita.

Gli interrogativi più profondi dell’uomo secondo il Concilio

Dalla Costituzione pastorale «Gaudium et spes» del Concilio ecumenico Vaticano II sulla Chiesa nel mondo contemporaneo (Nn. 9-10)

Vaticano II Di Lothar Wolleh - Opera propria, CC BY-SA 3.0, 
https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=19747444
Di Lothar Wolleh – Opera propria, CC BY-SA 3.0,
https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=19747444

Il mondo si presenta oggi potente a un tempo e debole, capace di operare il meglio e il peggio, mentre gli si apre dinanzi la strada della libertà o della schiavitù, del progresso o del regresso, della fraternità o dell’odio. Inoltre l’uomo si rende conto che dipende da lui orientare bene le forze da lui stesso suscitate e che possono schiacciarlo o servirgli. Per questo si pone degli interrogativi.

    In verità gli squilibri di cui soffre il mondo contemporaneo si collegano con quel più profondo squilibrio che è radicato nel cuore dell’uomo. È proprio all’interno dell’uomo che molti elementi si contrastano a vicenda. Da una parte, infatti, come creatura, esperimenta in mille modi i suoi limiti; dall’altra parte si accorge di essere senza confini nelle sue aspirazioni e chiamato a una vita superiore.

Sollecitato da molte attrattive, è costretto sempre a sceglierne qualcuna e a rinunziare alle altre. Inoltre, debole e peccatore, non di rado fa quello che non vorrebbe e non fa quello che vorrebbe (cfr. Rm 7, 14 segg.). Per cui soffre in se stesso una divisione, dalla quale provengono anche tante e così gravi discordie nella società.

Certamente moltissimi che vivono in un materialismo pratico, sono lungi dall’avere la chiara percezione di questo dramma, o per lo meno, se sono oppressi dalla miseria, non hanno modo di rifletterci. Molti credono di trovare pace in una interpretazione della realtà proposta in assai differenti maniere. Alcuni poi dai soli sforzi umani attendono una vera e piena liberazione della umanità, e sono persuasi che il futuro regno dell’uomo sulla terra appagherà tutti i desideri del loro cuore. Né manca chi, disperando di dare uno scopo alla vita, loda l’audacia di quanti, stimando vuota di ogni senso proprio l’esistenza umana, si sforzano di darne una spiegazione completa solo col proprio ingegno.

Con tutto ciò, di fronte all’evoluzione attuale del mondo, diventano sempre più numerosi quelli che si pongono o sentono con nuova acutezza gli interrogativi capitali: cos’è l’uomo? Qual è il significato del dolore, del male, della morte che malgrado ogni progresso continuano a sussistere? Cosa valgono queste conquiste a così caro prezzo raggiunte? Che reca l’uomo alla società, e cosa può attendersi da essa? Cosa ci sarà dopo questa vita?
    Ecco, la Chiesa crede che Cristo, per tutti morto e risorto, dà all’uomo, mediante il suo Spirito, luce e forza perché l’uomo possa rispondere alla suprema sua vocazione; né è dato in terra un altro nome agli uomini in cui possano salvarsi (cfr. At 4, 12). Crede ugualmente di trovare nel suo Signore e Maestro la chiave, il centro e il fine di tutta la storia umana. Inoltre la Chiesa afferma che al di sopra di tutti i mutamenti ci sono molte cose che non cambiano; esse trovano il loro ultimo fondamento in Cristo, che è sempre lo stesso: ieri, oggi e nei secoli (cfr. Eb 13, 8).