Berlicche e gli anni della prosperità

Gli anni della prosperità. PUbblico dominio

Berlicche e gli anni della prosperità. Di fronte all’ingenuità dell’imbranato nipote, che esulta per i pericoli di morte  che corre il suo paziente in tempo di guerra, Berlicche lo ammonisce. Finché il pericolo incombe, il paziente è più propenso a rivolgersi al Nemico. Sono gli anni lunghi e noiosi della prosperità, il grigiore dell’esistenza, a fornire «occasioni mirabili di spossare e di logorare un’anima fino alla sconfitta».

Gli anni lunghi e noiosi della prosperità

Gli anni della prosperità e il grigiore dell'esistenza

L’articolo precedente QUI.

Nelle Lettere di Berlicche il confronto fra uomo e demonio è molto sottile e sfumato, anzi è il più possibile evitato, perché, come scrive lo stesso Lewis nella Premessa, «Vi sono due errori, uguali e opposti, nei quali la nostra razza può cadere nei riguardi dei Diavoli. Uno è di non credere alla loro esistenza. L’altro, di credervi, e di sentire per essi un interesse eccessivo e non sano. I Diavoli sono contenti d’ambedue gli errori e salutano con la stessa gioia il materialista e il mago».

Sicuramente il primo errore è il più produttivo, perché permette che l’azione diabolica passi inosservata e sia quindi più efficace. Il «paziente» di Malacoda non deve sospettare che qualcuno lo sta subornando, altrimenti si ribellerebbe.

Perelandra: lo scontro

C’è un altro romanzo, scritto da Lewis poco dopo, nel 1943, ambientato anch’esso durante la guerra, in cui lo scontro uomo – demonio invece si fa diretto, addirittura «fisico». È Perelandra, in cui il protagonista, un mite filologo di mezza età (vi si può riconoscere lo stesso Tolkien, per il suo ambito di studio ed anche per il nome di battesimo, Elwin, che significa «amico degli elfi»: più chiaro di così…), si trova a dover impedire un evento catastrofico (non vi dico quale per non, come si dice oggi, spoilerarne i dettagli). Il suo antagonista è il Maligno, che si è impossessato – ospite accolto, anzi invocato – del corpo dello scienziato Weston.

Il terrore afferra l’uomo che lo deve combattere. «”È uno spirito, è uno spirito”, diceva la voce interna, “e tu sei soltanto un uomo. Dura attraverso i secoli. Tu sei solo un uomo”…».

Verso la visione

È un crescendo:

«”E tu, piccola creatura, pensi di poter combattere con me? […]. Molti l’hanno pensato. Lo conosco da più tempo di te, piccola creatura. Tutti pensano che Lui li aiuterà, finché urlando troppo tarde ritrattazioni ritornano in se stessi, nel mezzo delle fiamme, consumandosi in campi di concentramento, contorcendosi nelle torture, trascinandosi nei manicomi, o inchiodati sulle croci. Potrebbe Egli aiutare se stesso?”.

Poi, gettata all’improvviso la testa all’indietro, il Non-Uomo gridò a voce così alta da far temere che il tetto dorato del cielo dovesse rompersi: “Eloi, Eloi, lama sabachtani”. Mentre costui gridava questi suoni, Ransom fu sicuro che essi fossero di un perfetto aramaico del primo secolo. Il Non-Uomo non stava facendo una citazione, stava ricordando. Le sue erano le precise parole proferite dalla Croce che, custodite come un tesoro attraverso tutti quegli anni nella memoria ardente della creatura ripudiata che le aveva udite, adesso venivano ripetute in una disgustosa parodia. Per l’orrore Ransom si sentì male durante un attimo. Prima che si riprendesse, il Non-Uomo gli fu sopra…».

«Come c’è un Viso sopra tutti i mondi di cui già la sola vista è gioia irrevocabile, così, sotto tutti i mondi, c’è in attesa quel viso di cui già la sola vista provoca una sofferenza dalla quale non può riaversi chi l’abbia guardato. E sebbene paresse che ci fossero, e c’erano veramente, cento strade sulle quali un uomo poteva camminare attraverso il mondo, neanche una non conduceva presto o tardi alla Visione di Beatitudine o a quella di Tormento».

La Visione miserifica è esaltata anche dal nostro Berlicche, è il suo austero ideale. Ma dobbiamo riconoscere che, in confronto al Non Uomo di Ransom, Berlicche in fondo è quasi un buon diavolo. Se non altro per dovere di strategia.

Gli anni della prosperità. Lettera XXVIII

Il bivio. Foto di Gerd Altmann da Pixabay 
Foto di Gerd Altmann da Pixabay 

Mio caro Malacoda,

quando ti scrivevo di non riempire le tue lettere di scemenze sulla guerra intendevo dire, naturalmente, che non desideravo le tue piuttosto infantili rapsodie sulla morte di uomini e sulle distruzioni di città. In quanto la guerra incide veramente sullo stato spirituale del paziente, è chiaro che voglio dei rapporti completi. E da questo punto di vista pare che tu sia singolarmente ottuso.

Non lasciamoci contaminare dalla nostra stessa propaganda

Per esempio dici, sprizzante di gioia, che v’è motivo di attenderci pesanti incursioni aeree sulle città dove abita quella creatura. Ecco un esempio lampante di una cosa della quale ho già avuto occasione di lamentarmi – la tua prontezza a dimenticare il problema principale nel godimento immediato della sofferenza umana. Non sai che le bombe uccidono gli uomini? O non capisci che la morte del tuo paziente, in questo momento, è precisamente quanto noi vogliamo evitare?

È fuggito dagli amici mondani nei quali tentavi di impigliarlo; si è “innamorato” di una donna assai cristiana ed è temporaneamente immune dai tuoi attacchi contro la sua castità; e i diversi metodi di corrompere la sua vita spirituale che abbiamo tentato si sono dimostrati finora inutili. In questo momento, in cui l’urto supremo della guerra si avvicina sempre più e che le sue speranze mondane prendono un posto proporzionatamente più basso nella sua mente, circondato dalle opere di difesa, cotto della ragazza, costretto a badare al suo prossimo più che non abbia mai fatto prima, e godendone più che non s’aspettasse, «fuori di sé», come dicono gli esseri umani, e crescendo ogni giorno nella dipendenza consapevole del Nemico, lo perderemmo quasi certamente se dovesse morire questa notte.

È una cosa tanto evidente che mi vergogno di scriverla. Talvolta mi chiedo se non vi si tenga fuori per troppo tempo, voi giovani demoni, a tentare la gente – se non corriate il rischio di prendervi una infezione di quei sentimenti e di quei modi di valutare le cose che sono propri degli uomini fra i quali lavorate. Essi, si sa, tendono a considerare la morte come il male supremo e la sopravvivenza come il più gran bene. Ma è così, perché glielo abbiamo insegnato noi. Non lasciamoci contaminare dalla nostra stessa propaganda.

Gli anni lunghi e noiosi della prosperità

So che ti sembrerà strano che in questo momento il tuo scopo principale debba essere proprio quella cosa per la quale pregano la fidanzata e la madre del tuo paziente – vale a dire l’incolumità del suo corpo. Ma è così; dovresti custodirlo come la pupilla dell’occhio. Se muore ora, tu lo perdi. Se sopravvive alla guerra, c’è sempre speranza.

Il Nemico lo ha difeso da te nella prima grande ondata di tentazioni. Ma, se soltanto lo si può tenere in vita, avrai il tempo stesso come tuo alleato. Gli anni lunghi, noiosi, monotoni della prosperità o dell’avversità dell’età matura offrono un’atmosfera eccellente per una campagna. Vedi, è tanto difficile per queste creature perseverare. Il ricorrere dell’avversità, lo sfiorire graduale degli amori giovanili e delle giovanili speranze, la quieta disperazione (appena sentita come dolore) di mai poter superare quelle tentazioni croniche con le quali li abbiamo molto spesso sconfitti, il grigiore che riusciamo a creare nella loro vita e l’inespresso risentimento con il quale insegnano loro a rispondervi – tutto ciò offre occasioni mirabili di spossare e di logorare un’anima fino alla sconfitta.

Se, d’altra parte, gli anni dell’età matura si presenteranno prosperi, la nostra posizione sarà ancora più forte. La prosperità intreccia l’uomo col mondo. Sente che «vi trova un posto» per lui, mentre in realtà è il mondo che trova un posto nell’uomo. La reputazione che aumenta, il circolo delle sue conoscenze che si allarga, il senso dell’importanza, l’urgenza sempre crescente del lavoro piacevole e coinvolgente, gli infondono la sensazione di trovarsi proprio a casa sua sulla terra; il che è proprio ciò che noi desideriamo.

L’attaccamento alla terra

Avrai notato che i giovani generalmente sono più disposti a morire dei vecchi e degli uomini di mezz’età. La verità è che il Nemico, avendo stranamente destinato questi semplici animali a vivere nel suo stesso mondo eterno, li ha tenuti lontano con un successo abbastanza ben riuscito dal pericolo di sentirsi a casa propria altrove. Questa è la ragione per la quale dobbiamo spesso desiderare che i nostri pazienti vivano a lungo; settant’anni non sono troppo per il difficile compito di districare le loro anime dal cielo e di stabilire un tenace attaccamento alla terra.

Durante la giovinezza ci accorgiamo che sfuggono sempre a una tangente. Anche se riusciamo a mantenerli nell’ignoranza di una religione esplicita, i venti della fantasia, della musica sui quali non si può far assegnamento – magari solo il volto di una fanciulla, il canto di un uccello, o uno sguardo all’orizzonte – ci fanno saltare per aria tutta la nostra costruzione. Non si vogliono applicare con impegno a far carriera nel mondo, a stringere relazioni prudenti, e alla politica della “pelle innanzitutto”. È talmente inveterato il loro appetito per il cielo che, in questa fase, il miglior metodo a nostra disposizione per attaccarli alla terra è di farli credere che la terra può venir mutata in cielo a una data futura, per mezzo della politica, o dell’eugenetica, o della “scienza”, o della psicologia, o di che so io.

La vera mondanità è opera del tempo assistito, naturalmente, dall’orgoglio, poiché noi insegniamo loro a chiamare buon senso o maturità o esperienza, la morte che s’avvicina strisciando. Un grande filosofo umano arrivò quasi vicino a scoprire il nostro segreto quando affermò che, dove è questione di Virtù «l’esperienza è la madre dell’illusione»; ma, grazie al mutamento di moda, e anche, naturalmente, al “punto di vista storico”, abbiamo reso il suo libro in gran parte innocuo.

La preziosità del tempo

Quanto il tempo sia prezioso per noi si può giudicare dal fatto che il Nemico ne mette pochissimo a nostra disposizione. La più gran parte della razza umana muore nell’infanzia; e di coloro che sopravvivono moltissimi muoiono giovani. È evidente che per Lui la nascita umana è importante principalmente come qualifica per la morte umana, e la morte unicamente come porta all’altro genere di vita. A noi è permesso di lavorare soltanto su una minoranza selezionata della razza, poiché ciò che gli esseri umani chiamano “vita normale” è un’eccezione. Forse Egli desidera che alcuni – ma solo pochissimi – animali umani, con i quali sta popolando il cielo, facciano l’esperienza di resistere contro di noi durante una vita eterna di sessanta o settant’anni. Ecco, questa è la nostra opportunità. Più è piccola e meglio dobbiamo usarne. Qualunque cosa farai, tieni il tuo paziente più al sicuro che puoi.

Tuo affezionatissimo zio Berlicche