Viaggio nella Bibbia. Giuseppe: il riconoscimento

Giuseppe: il riconoscimento
Giuseppe si fa riconoscere dai fratelli. Di Charles-Antoine Coypel (1694-1752) – CC0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=60848873

La storia di Giuseppe volge al termine, ma ne aprirà un’altra lunga 400 anni: la permanenza di Israele in Egitto. Tutto parte dalla commozione con cui Giuseppe si fa riconoscere dai fratelli: il riconoscimento dà infatti luogo ad alcuni degli scenari psicologicamente più strazianti che si possano trovare nelle narrazioni bibliche.

Il testo

Genesi 45 1Allora Giuseppe non poté più trattenersi dinanzi a tutti i circostanti e gridò: «Fate uscire tutti dalla mia presenza!». Così non restò nessun altro presso di lui, mentre Giuseppe si faceva conoscere dai suoi fratelli. 2E proruppe in un grido di pianto. Gli Egiziani lo sentirono e la cosa fu risaputa nella casa del faraone. 

3Giuseppe disse ai fratelli: «Io sono Giuseppe! È ancora vivo mio padre?». Ma i suoi fratelli non potevano rispondergli, perché sconvolti dalla sua presenza. 4Allora Giuseppe disse ai fratelli: «Avvicinatevi a me!». Si avvicinarono e disse loro:

«Io sono Giuseppe, il vostro fratello, quello che voi avete venduto sulla via verso l’Egitto. 5Ma ora non vi rattristate e non vi crucciate per avermi venduto quaggiù, perché Dio mi ha mandato qui prima di voi per conservarvi in vita. 6Perché già da due anni vi è la carestia nella regione e ancora per cinque anni non vi sarà né aratura né mietitura. 7Dio mi ha mandato qui prima di voi, per assicurare a voi la sopravvivenza nella terra e per farvi vivere per una grande liberazione. 8Dunque non siete stati voi a mandarmi qui, ma Dio.

La lettura della storia

Integerrimo nel comportamento, Giuseppe è il prototipo del giusto ingiustamente perseguitato, per cui la sua storia suscita la domanda: perché tutte queste sventure proprio a lui? I dieci fratelli maggiori, giunti in Egitto quando Giuseppe ne è divenuto vice re, per scampare dalla carestia, e accusati di essere spie, interpreteranno le proprie sofferenze come castigo divino per aver tradito il fratello minore (42,21-22). Giuseppe, però, soffre a causa dei peccati degli altri. riesce tuttavia a leggere un senso nella propria storia di sofferenza: la sua è la sofferenza di un innocente che è servita a salvare tutta la propria gente.