La giustizia di Dio è salvezza dell’uomo, e questa salvezza, umanamente, è affidata ai Giudici: giudici che, come abbiamo detto, non sono magistrati, ma liberatori e salvatori della loro gente.
Giudici e salvatori
Come in tutte le lingue, anche nell’ebraico della Bibbia ci sono parole che in italiano non trovano una traduzione adeguata. Il verbo shafat non significa pronunciare una sentenza, ma piuttosto rendere diritto quello che è storto, rendere giustizia con un atto concreto e quindi salvare chi è a rischio, agire per il bene di qualcuno. E contiene anche l’idea di conoscenza, perché prima di intervenire per ripristinare la giustizia occorre conoscere.
Nella Bibbia si fa giustizia alle vedove e agli orfani, a quel tempo le persone più esposte alla prepotenza, le più indifese in quanto non avevano accanto a sé un uomo, un protettore. Il giudice diventava il loro ‘salvatore’, il moshia‘, termine la cui radice (ysh‘) in ebraico dà origine a tanti nomi propri come Osea, Giosuè, Isaia, Gesù che è il Salvatore in persona. Il Signore stesso è il vero Giudice tra Israele e i suoi nemici, Colui che difende il popolo contro gli avversari. Questa salvezza è caratteristica divina.
Quando Paolo nell’Areopago di Atene annuncia che Dio «ha stabilito un giorno nel quale dovrà giudicare il mondo con giustizia, per mezzo di un uomo che egli ha designato, dandone a tutti prova sicura col risuscitarlo dai morti» (Atti 17,30-31), non vuol dire che Gesù sottoporrà ad un esame tutti gli uomini distinguendo i buoni e i cattivi. Il Giudice è il liberatore del mondo, che ha in mano il destino di ogni uomo per la sua salvezza. Essere giudice e salvatore è la stessa cosa: naturalmente, starà poi nella coscienza di ciascuno accogliere o meno questa salvezza.
Salvatori e tuttavia uomini
Benché per il loro ruolo si pongano tra Dio e gli uomini, i Giudici non sono affatto esenti da difetti umani, debolezze, storture. E questo può colpire particolarmente, in quanto il loro compito li avvicina alla sfera divina, è un atto divino.