
Il libro di Giosuè pone dei problemi etici: descrive una violenta conquista della terra, incluso il totale massacro dei nativi, sulla base di un diritto divino. Ad esempio, dopo aver conquistato la città di Ai, gli Israeliti massacrano tutti i suoi 12.000 residenti, uomini e donne:
«Quando Israele ebbe ucciso tutti gli abitanti di Ai che li avevano inseguiti nel deserto aperto, e tutti, fino all’ultimo, furono caduti a fil di spada, tutti gli Israeliti tornarono ad Ai e la passarono a fil di spada. Il totale di quelli che caddero quel giorno, uomini e donne, tutta la popolazione di Ai, arrivò a dodicimila…
Poi Giosuè incendiò Ai e la ridusse a un cumulo di rovine per sempre, una desolazione fino a questo giorno. E il re di Ai fu appeso a un palo fino alla sera…» (Giosuè 8,24-29).
Data la delicatezza del problema, attingo ad un articolo della dr.a Gili Kugler sul sito swww.thetorah.com
Idee contrastanti
Si potrebbe anche pensare che il libro di Giosuè abbia costituito la base della conquista israeliana della Palestina. Sicuramente, fu esaltato da Ben Gurion nel 1948. Per molti pensatori israeliani come Natan Alterman, al contrario, tali descrizioni di esecuzioni brutali e massacri all’ingrosso della popolazione civile riflettevano l’opposto di ciò che, secondo loro, i valori di Israele avrebbero dovuto essere. E Yizhar Smilansky (1916–2006) scrisse nel 1993:
«L’Olocausto non ha annientato il fanatismo ebraico e la sua capacità di intrufolarsi nel villaggio di Silwan, e di buttare fuori dalle loro case gli occupanti arabi in strada… e di danzare lì con il rotolo della Torah… con il libro di Giosuè… e sopra le teste degli ebrei sventola il libro di Giosuè…
Le descrizioni orribili nel libro di Giosuè, dove uno eredita, espropria e annienta un popolo, e lo chiama un “insediamento”. Come può un popolo avere il diritto di espropriare un altro popolo ed ereditare la sua terra?… Questo è l’estremo del fanatismo radicale che è stato conosciuto nel corso della storia… Ecco perché, con tutte le mie forze, mi sollevo in rivolta contro Giosuè!».
Prese di distanza
Nel corso degli anni e settori della società israeliana hanno preso sempre più le distanze dal libro di Giosuè e dai suoi protagonisti militari per i problemi etici che comporta. Alcuni non sentivano più il bisogno di affidarsi a un antico documento come il libro di Giosuè per dimostrare il “diritto alla terra” di Israele, oppure prendevano in considerazione le difficili implicazioni dei conflitti militari in corso, nonché delle dure conseguenze del dominio su nuovi territori e su una popolazione straniera.
Altri ancora, come Yizhar, hanno trovato problematiche le “descrizioni orribili” del libro di Giosuè. Non solo glorificano scene di omicidio, lapidazione, genocidio e saccheggio, ma le presentano anche come eseguite nel nome di Dio e secondo la sua volontà, ricevendo così il crisma della legittimità morale.
Giosuè: problemi etici
Come intellettuale, S. Yizhar poteva semplicemente ribellarsi al libro di Giosuè e screditarlo. Il problema rimaneva nelle scuole israeliane, dove non ci si poteva permettere il lusso di ignorare il libro.
Un approccio possibile è stato quello di mettere da parte la questione morale, notando che le norme etiche erano diverse in passato. Ad esempio, sul fatto che la famiglia di Akan sia stata lapidata a morte con lui (Akan si era appropriato di parte del bottino della città di Gerico violando la legge dello cherem (Giosuè 7), gli autori di un libro scolastico semplicemente avvertono:
«Non si possono giudicare le pratiche e i costumi antichi secondo le convenzioni e gli standard moderni».
Questo è vero, ed anche i nostri esegeti lo condividono. Tuttavia, in questo modo rimane un vuoto etico: queste dure narrazioni restano senza mediazione. Sono presentate solo come fatti compiuti – “quel che è fatto è fatto, non prendiamone esempio e non giudichiamolo neanche” -, ma i lettori come devono rapportarsi col testo? Escludendone i significati sociali, religiosi ed etici che può avere? Privandosi di reazioni morali?
La mancanza di una discussione esplicita e critica sulla narrazione potrebbe portare a riempire il vuoto con messaggi sottotestuali. Quindi, un bambino potrebbe concludere che il genocidio è una conseguenza legittima di una guerra; che un comandamento divino è indiscutibile e costituisce una base vincolante per le decisioni morali; che l’esercito israeliano è una continuazione diretta dell’esercito di Giosuè e che la Terra Promessa appartiene agli ebrei per ragioni naturali e soprannaturali.
Giosuè e la critica biblica
Vi sono tre tipi di approccio insoddisfacenti nei confronti del libro di Giosuè:
- osannare Giosuè e prenderlo a modello (come ha fatto Ben Gurion),
- demonizzare Giosuè e respingerlo (come ha fatto Yizhar)
- o trattare Giosuè come una reliquia del passato non collegata all’attualità (come fanno alcuni libri di testo moderni).
Una quarta via è quella offerta dalla critica biblica.
Utilizzando strumenti archeologici, filologici e storici, gli studi biblici hanno dimostrato la natura fittizia del racconto della conquista in Giosuè. Mostrano che probabilmente, quando queste storie furono composte, il regno di Israele (il nord della nazione) era già stato distrutto dall’Impero assiro e Giuda era un vassallo dell’impero babilonese. La storia narrata in Giosuè è frutto di una ricostruzione ideale che guarda ad un passato glorioso di conquista come caparra di speranza per il futuro. Un approccio critico e gli strumenti accademici ci consentono di tracciare le circostanze storiche e i possibili fattori psicologici o ideologici che hanno spinto gli autori a rileggere la loro storia in questo modo, come reazione alla sottomissione in cui erano caduti ed agli eventi reali di sconfitta che avevano vissuto…
Lettura aperta
Allo stesso tempo, vi sono tradizioni bibliche (Giosuè 17; Giudici 1) che presentano una versione alternativa, di una conquista graduale e incompleta che non ha comportato genocidio e pulizia etnica. Una volta compreso che il libro di Giosuè non è un manuale di storia, ma uno scritto religioso, ci si presenta una gamma più ampia di opzioni.
Quando Ben Gurion, all’indomani della Guerra del ’48, ha osannato Giosuè, il paese era piccolo e fragile, circondato da nemici; la Shoah era un ricordo fresco. Nessuno sapeva se lo stato nascente avrebbe potuto sopravvivere. È naturale che i suoi leader si siano identificati con immagini di potere e vittoria.
Oggi, la posizione di Israele come potenza occidentale dovrebbe incoraggiare i suoi leader a guardare al testo con mente aperta, a riconoscere i problemi etici che solleva, a usarlo per affrontare dilemmi morali.
Speriamo…