Il Signore benedisse l’ultima condizione di Giobbe più della prima

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Giobbe: un lieto fine? Nella conclusione tradizionale, Dio rimprovera i tre amici di Giobbe di non aver detto cose rette di Lui, come invece ha fatto Giobbe nella sua sofferenza. Non sappiamo che cosa gli amici avessero detto nella versione originaria, in quanto l’elaborazione successiva amplifica al massimo la sezione dei dialoghi. A questo punto Giobbe completa, si può dire, il quadro della sua giustizia intercedendo per gli amici, poi il Signore lo ristabilisce in una condizione ancora migliore della prima, dove raddoppia la sua ricchezza e ritrova le gioie familiari. Ecco il premio tradizionale della giustizia: una vita lunga e prospera.
Giobbe: un lieto fine? Risposte parziali

Che cosa possiamo dire, oggi, delle soluzioni proposte dal libro di Giobbe?
Ricapitoliamo le varie possibilità che il libro suggerisce.
La moglie di Giobbe: il rifiuto
Viene naturalmente subito riprovata la reazione viscerale della moglie di Giobbe: il rifiuto e l’odio verso Dio. Questa non conduce a niente, non risolve la situazione e non fa bene neppure alla persona sofferente.
I tre amici: la sofferenza come castigo
Quella che viene poi scartata senza dubbio è l’equazione sofferenza = peccato; felicità = virtù (teoria dei tre amici). Giobbe si ribella completamente a questa teoria smentita dai fatti: spesso accade il contrario, che il giusto cioè subisca disgrazie di ogni genere e l’empio viva tranquillo.
La cornice narrativa: la sofferenza come prova transitoria
Un fondo di verità può essere riscontrato nella concezione della sofferenza come prova per il giusto (cornice narrativa), purché la prova venga intesa non come test ma come difficoltà transitoria che fa crescere, alla stregua della prova atletica. Ognuno nella propria vita può constatare come ciò avvenga. Talvolta però, anzi spesso, la condizione è devastante, insopportabile e duratura: a che cosa può servire? E quando si tratta di bambini?
Elihu: la sofferenza come educazione all’umiltà
Un fondo di verità esiste anche nella soluzione proposta da Elihu: la sofferenza educa abbattendo la superbia e insegnando ad affidarsi a Dio. Ma quando è eccessiva?
Giobbe: l’accoglienza dell’incontro con Dio
Infine, l’atteggiamento suggerito dall’intervento divino e accettato da Giobbe: accogliere la sofferenza semplicemente accettando l’incontro con Dio.
Sono i personaggi che si affollano intorno a Giobbe a suggerire l’atteggiamento da assumere o non assumere nei confronti del problema del male: dall’ottimismo ingenuo al realismo, dal moralismo all’empatia, dalla supponenza al rispetto, dal fiume di chiacchiere al silenzio.
Ecco, silenzio e ascolto: è questo l’atteggiamento giusto di partenza, il porsi accanto, dare attenzione, fornire aiuto spicciolo senza giudicare, senza pretendere.
Che cosa pensare in un’ottica di fede?
Prima di tutto, rifiutare le situazioni razionalistiche: il mistero della sofferenza non può essere scrutato con la logica dell’uomo. Dio non si può incapsulare negli schemi umani; dice il Libro di Isaia al cap. 55: «Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie – oracolo del Signore» (Is 55,8). Questo è vero nell’agire storico di Dio e anche nel suo agire provvidenziale nella natura.
È certamente una soluzione parziale: un semplice invito a fidarsi completamente di Dio e a non porsi altre domande, perché l’uomo non è in grado di capire le risposte. Il credente, seguendo l’itinerario doloroso di Giobbe, può cogliere nel proprio cuore la presenza di Dio e trovare così una via di salvezza.
L’umile silenzio di fronte a Dio, la fiducia che tutto è inserito in un provvidenziale piano salvifico, la convinzione che il bene più prezioso della vita è la comunione con Dio e… il resto lasciamolo fare a Lui: ecco, tutto questo è accessibile a chi vive in una dimensione di fede. Nella nostra vita, la sofferenza può entrare nella dinamica di un cammino di salvezza. Giobbe è un lottatore: è un nuovo Giacobbe che lotta con Dio nella notte oscura presso il torrente Jabbok, e alla fine, colpito, si arrende, accetta le vie del Signore, e chiede di essere benedetto.