Una statua per Gino Bartali. Un santo in bicicletta

Gino Bartali. Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=41811987

È stata inaugurata il 19 novembre 2022, a Firenze, una statua bronzea dedicata a Gino Bartali («l’Intramontabile», come fu chiamato). È raffigurato col braccio destro alzato, a sorreggere un mazzo di fiori, nel gesto vittorioso con cui, a fine corsa, dedicava il suo trionfo non al Duce, come gli veniva chiesto negli anni del Ventennio, ma alla Vergine Maria. Era un uomo devoto, il Ginettaccio nazionale, ma non professava la fede per ostentazione: la sua impresa di fede e di carità più incredibile, quella che mise a rischio davvero la sua vita, il traffico di documenti truccati nascosti nel telaio della bicicletta per salvare le vite di centinaia di ebrei, non la fece sapere a nessuno, se non, in vecchiaia, al figlio Andrea e a pochi amici. «Grande uomo generoso e campione sanguigno mai domo», lo ha definito il presidente della Toscana Giani in occasione dell’inaugurazione della statua.

Sport e fede

Bartali vincitore al Giro di Lombardia 1936.
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Gino Bartali, corridore sportivo e campione cristiano: una scorsa anche rapida alla sua vita ne mette in luce non solo la tempra atletica, ma anche e soprattutto la vita di fede, fede semplice ma granitica e operosa in un modo che all’epoca rimase sconosciuto ai più. «Il bene si fa ma non si dice», sosteneva. «Fra tutti i campioni del paradiso, ci sta bene anche Gino», disse il cardinal Piovanelli celebrandone le esequie.

Gino Bartali era nato a Ponte a Ema presso Firenze il 18 luglio 1914 in una famiglia umile. Corse da professionista dal 1934 al 1954, vincendo tre Giri d’Italia (1936, 1937 e 1946), due Tour de France (1938, 1948) e numerose altre corse, tra cui quattro Milano – Sanremo e tre Giri di Lombardia. Nel 1937 si fece terziario carmelitano con il nome di Fra’ Tarcisio di Santa Teresa di Gesù Bambino. Con il saio carmelitano vorrà essere sepolto alla morte avvenuta a Firenze il 5 maggio 2000.

Bartali e Coppi

Dal 1940 iniziò la leggendaria rivalità con Fausto Coppi, più giovane di lui di 5 anni, una rivalità che divise l’Italia in due: chi era per Bartali e chi era per Coppi. Gli italiani hanno bisogno di queste partigianerie: prima che di Bartali e Coppi c’erano stati i sostenitori di Binda e quelli di Guerra, per non parlare delle squadre di calcio, ma anche divisioni in campi non sportivi, come il mistero dello Smemorato di Collegno: Bruneri o Canella?

Nel Giro d’Italia del 1940, entrò in squadra con Bartali un giovane Fausto Coppi, che avrebbe dovuto fare il gregario. Però Bartali fu bloccato da un incidente: un cane gli tagliò la strada facendolo cadere (se lui lo chiamò «Figlio d’un cane!» non andò lontano dal vero) e rendendogli impossibile vincere la gara. Allora il direttore della squadra puntò su Coppi per la vittoria, ma il futuro campionissimo, di indole nervosa e facile allo scoraggiamento, su una salita delle Alpi accusò forti dolori alle gambe e volle scendere di bicicletta e arrendersi. Bartali tornò indietro e riuscì con le cattive a fargli riprendere la corsa, gridandogli: «Coppi, sei un acquaiolo! Ricordatelo! Solo un acquaiolo!». Coppi riprese, e vinse. Il giorno dopo la chiusura del Giro, l’Italia entrava in guerra. Le gare furono sospese per cinque anni.

Eroe silenzioso

Bartali con Pio XII. Fonte: https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2021-10/gino-bartali-ciclismo-uci-vaticano-gioia-santo.html

Bartali corse da professionista per venti anni e la bicicletta era la sua vita, ma non per questo tolse niente alla famiglia, né all’amore del prossimo: negli anni della guerra, con la scusa di allenarsi, portò tra Firenze ed Assisi 40 volte, nel telaio della bici, centinaia di documenti falsi che salvarono la vita ad altrettanti ebrei, a rischio della propria. Fu anche arrestato e interrogato a «Villa Triste», ma rilasciato grazie ai buoni uffici dei suoi tifosi che si trovavano ovunque.

Durante l’occupazione nazista Gino Bartali nascose anche, in uno scantinato di sua proprietà, una famiglia ebrea fino all’arrivo degli Alleati, quella di di Giorgio Goldenberg che testimoniò in tal senso allo Yad Vashem. Per questo lo Yad Vashem, il memoriale israeliano delle vittime della Shoah fondato nel 1953, che riconosce i non ebrei che hanno rischiato la vita per salvare anche la solo la vita di un ebreo durante le persecuzioni naziste, l’ha dichiarato nel 2013 «Giusto fra le nazioni» con la motivazione:

«Cattolico devoto, nel corso dell’occupazione tedesca in Italia ha fatto parte di una rete di salvataggio i cui leader sono stati il rabbino di Firenze Nathan Cassuto e l’arcivescovo della città cardinale Elia Angelo Dalla Costa».

Il suo nome è impresso sul muro d’onore del Mausoleo della memoria a Gerusalemme.

Pio XII, che lo conosceva personalmente e ne era tifoso, in un discorso del 1947 lo additò come esempio ai fedeli dell’Azione Cattolica:

«La dura gara di cui parla San Paolo è in corso; è l’ora dello sforzo intenso. Anche pochi istanti possono decidere la vittoria. Guardate il vostro Gino Bartali, membro dell’Azione Cattolica: egli ha più volte guadagnato l’ambita maglia. Correte anche voi in questo campionato ideale, in modo da conquistare una ben più nobile palma».

La metafora sportiva usata dal Papa sarebbe piaciuta allo stesso San Paolo.

Un prossimo «San» Gino Bartali?

Nel 2018 l’ordine dei Carmelitani Scalzi ha promosso la causa di beatificazione di Gino Bartali, e iniziato una raccolta di documentazioni su un campione che è stato motivo di ispirazione per tanti giovani. Tra la documentazione, oltre 200 lettere scritte da Gino alla moglie Adriana con grande amore, spesso firmate «Tuo nel Signore». Padre Joseph, alla cerimonia dell’inaugurazione della statua, ha voluto sottolineare come la forza fisica di Bartali non fosse solo il mezzo che il Signore gli aveva donato per vincere una gara, ma anche uno strumento per essere più vicino a Dio e per aiutare il prossimo.

Un amico di vecchia data, Bruno Carraro, che sarà sentito per la causa di beatificazione, ha testimoniato che in una stanza della propria casa Bartali aveva sistemato un altare dove ogni giorno si fermava a pregare. «Per curiosità gli chiesi perché l’avesse fatto. Mi rispose ridendo “per non distrarre i fedeli che andavano a messa perché con la mia presenza in chiesa non sarebbero stati attenti alla funzione”… Sono stato fortunato ad averlo conosciuto perché ha dedicato la propria vita a fare miracoli. È un insegnamento di vita, di fede e di carità e il mio grande desiderio è quello che i suoi insegnamenti possano essere trasmessi alle nuove generazioni» (l’intervista a Bruno Carraro QUI).

La nipote Gioia racconta che a volte il nonno, per non distrarre la gente dalla Messa, era costretto a nascondersi dietro l’organo.

Mons. Attilio Nostro, membro della Vatican Cycling, adesso vescovo di Mileto in Calabria, ha intitolato a Gino Bartali un oratorio nella zona di Montesacro, a Roma. Racconta anche di una «promessa» fattagli da papa Francesco: un pellegrinaggio che parta da quel luogo e passi per il Campidoglio, il Quirinale, la Sinagoga e San Pietro. Un articolo scritto sull’«Osservatore Romano» da mons. Nostro QUI.

La vittoria del 1948

Gino Bartali ed Orson Welles, Tour de France 1950.
Foto di autore sconosciuto (ANeFo) – GaHetNa (Nationaal Archief NL), CC0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=43409708

Sembrò quasi un miracolo che nel 1948, a distanza di ben dieci anni dalla prima vittoria (due vittorie dal Tour a distanza di 10 anni, record ancora imbattuto), Bartali riuscisse a riconquistare la maglia gialla al Tour de France.

Lo fece benché avesse già 34 anni (fosse quindi “vecchio” per essere un ciclista), benché l’ostilità dei francesi  verso gli italiani nemici di guerra fosse molto chiara, e benché la maglia gialla Louison Bobet lo avesse distanziato già di oltre 20 minuti.

Lo fece con una leggendaria fuga sulle Alpi dopo aver ricevuto una telefonata da Alcide De Gasperi che lo pregava di vincere almeno una tappa per pacificare gli animi degli italiani dopo l’attentato a Togliatti. Non si può dire che proprio scongiurò la guerra civile, ma certamente contribuì ad allentare il clima pesantissimo che in due giorni aveva già prodotto 16 morti (9 tra gli agenti di polizia e 7 tra i civili) e centinaia di feriti. Lo stesso Togliatti aveva raccomandato la calma, e Giuseppe Di Vittorio, il leader della Cgil, aveva già sedato la mobilitazione. Una sola notizia però riuscì a distrarre gli italiani dalle tensioni politiche: l’impresa di Gino Bartali, che univa tutti.

La spiritualità di Gino Bartali

Bartali con la famiglia
Bartali con la famiglia, 1963. Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=41812420

Ma Bartali non era tipo da gesti eroici. La sua era una santità quotidiana, quella di una «piccola via» che condivideva con la santa di cui più era devoto, Teresa di Lisieux: lei, una piccola carmelitana il cui mondo era stato racchiuso fra quattro mura, lui l’idolo delle folle, il campione mondiale di uno sport che attraeva all’epoca milioni e milioni di persone. Pregava tanto anche la Madonna, Bartali, ma non le chiedeva mai di farlo vincere: al massimo, poteva chiederle di non farsi male.

Aveva un caratteraccio, rispecchiato da un fisico duro e segnato di ferite, dalla voce rauca e da commenti mordaci (il suo è forse il primo tormentone mediatico della storia italiana, «Gl’è tutto sbagliato, gl’è tutto da rifare»), dal «naso triste come una salita», cantava Paolo Conte (e quando Bartali lo incontrò, gli disse: «Ma te ti sei visto, con quella nappa che ti ritrovi?»)…

Una persona ruvida, agli antipodi del suo amico – nemico Fausto Coppi: una rivalità leggendaria la loro, dissolta in quella bottiglia d’acqua passata dall’uno all’altro immortalata nella foto più famosa dello sport italiano; anche se era, forse, solo una foto pubblicitaria.

Dopo il ritiro

Dopo il ritiro di Bartali dalle corse, i due continuarono a collaborare nel mondo del ciclismo, e parteciparono insieme ad una puntata del Musichiere, cantando in coppia una canzonetta parodistica, Coppi un po’ stonato e imbarazzato, Bartali roco ma intonato e disinvolto. Il video QUI.

I due, Coppi delicato, nervoso, tormentato, Bartali rude, solido, «l’uomo di ferro», certo nella fede, hanno diviso gli italiani per anni e anni, come prima Binda e Guerra con l’aggiunta di Girardengo; Bartali e Coppi con l’aggiunta del pratese Fiorenzo Magni, «il terzo uomo» del ciclismo di quell’epoca…

Altri nomi di quegli anni vengono alla memoria, nomi di stranieri: Louison Bobet, Koblet, Kübler, Van Steenbergen, Miguel Poblet grande velocista, campione delle volate… Ho fatto in tempo a vederli passare da Livorno al Giro d’Italia del 1953. «Vederli» per modo di dire; delle schegge, una voce: «Ecco Bartali», «Ecco Coppi!». Comunque, c’ero anch’io. Quell’edizione del Giro fu vinta da Coppi, quinta e ultima vittoria per lui. Bartali arrivò quarto. Aveva 39 anni. L’anno dopo si sarebbe ritirato dalle corse, ma io non lo sapevo. Era un mito.

Una presentazione per i bambini e i ragazzi della vita di Gino Bartali QUI.

Due scene della bella miniserie televisiva Gino Bartali – L’Intramontabile del 2006 QUI e QUI.