Come vuole un importante chiché letterario dell’antichità, prima di morire Giacobbe benedice i suoi figli. Non tutti, però: o, per lo meno, non tutti nello stesso modo.
Giacobbe benedice i suoi figli
Giacobbe benedice i suoi figli con degli oracoli che seguono press’a poco l’ordine di nascita. Le immagini sono tratte di preferenza dal mondo degi animali: Giuda è un leone, Issacar un asino robusto, Dan un serpente, Neftali una cerva, Beniamino un lupo rapace.
Gli oracoli sui primi tre figli, che si sono macchiati di gravi colpe, sono di fatto delle maledizioni e giustificano il ruolo di preminenza assunto invece dal quartogenito Giuda, che sarà all’origine della tribù regale.
Ruben si è unito delittuosamente alla concubina di suo padre, e Simeone e Levi si sono vendicati smodatamente sugli uomini di Sichem, responsabili della violenza fatta alla loro sorella Dinah ma anche disposti alla doverosa riparazione a all’alleanza. Queste tre tribù, in effetti, si dispersero, ma Levi mantenne la sua identità in funzione dell’esercizio del sacerdozio mosaico.
Giacobbe benedice Giuda
Giacobbe benedice quindi Giuda in modo tale che godrà di una posizione privilegiata sui suoi fratelli, come un giovane possente leone a cui non sarà tolto lo scettro del comando, “finché non venga colui a cui spetta, cui è dovuta l’obbedienza dei popoli”, e che porterà abbondanza e pace (simboleggiate nel vino e nel latte). Questo oracolo è riconosciuto come oracolo messianico per la sua immagine di base chiaramente regale.
La benedizione inizia con la promessa che Giuda diventerà un regno potente, sconfiggerà i suoi nemici e guiderà le altre tribù di Israele (vv. 8-10). Poi passa a un’oscura metafora su un uomo che lega il suo asino a una vite:
«Egli lega il suo asino alla vite,
il rampollo della sua asina alla vite selvatica» (Gen 49,11).
La seconda riga, parallelamente, ripete la frase sull’asino e la vite usando termini diversi. Il verbo “lega” descrive l’azione in entrambe le righe. Il distico successivo descrive Giuda che lava i suoi vestiti nel vino:
«Egli lava la sua veste nel vino,
la sua tunica nel sangue dell’uva».
Questo passo è generalmente inteso come un’iperbole: Giuda avrà così tanto vino che le persone laveranno i loro vestiti nel vino invece che nell’acqua. Ma cosa significa legare un asino a una vite? L’immagine appare problematica perché un asino distruggerebbe subito la vite a cui è legato, mangiandone l’uva, le foglie e i tralci. L’idea è che la rigogliosità della vite sarà così grande che l’asino non potrebbe comunquen farle danno.
Giacobbe benedice Giuda: l’asino e la vite
C’è stato però anche chi ha fatto notare che il termine oscuro שׂרֵקָה / soreqah (e non Gefen / גֶּפֶן, che è il termine standard in ebraico biblico per “vite”), che appare solo qui, può indicare come nei Settanta o nella Peshitta un viticcio, ma i commentatori moderni lo intendono come una vite che produce una varietà di uva di alta qualità. L’interpretazione si basa su una forma correlata, שֹׂרֵק (soreq), che appare tre volte nella Bibbia.
Il trasporto del vino via terra nell’antichità era rischioso, data anche la pesantezza e la fragilità delle giare; preferibilmente si usava il trasporto via acqua, fluviale e marittimo. Ma Giuda, che non aveva sbocchi sul mare, non aveva nemmeno accesso diretto a corsi d’acqua per trasportare il vino fuori dal suo territorio. Come far arrivare il vino al porto marittimo di Gaza? È qui che entrano in gioco gli asini di Genesi 49,11: i cammelli erano animali da soma più efficienti per il trasporto a lunga distanza, ma le zampe dei cammelli erano meno adatte ai terreni collinari e rocciosi.
I Giudei probabilmente usavano proprio gli asini per trasportare i loro vini per il breve viaggio dalla regione collinare, dove si trovavano i vigneti, a un porto marittimo. Quindi, l’immagine dell’asino in relazione alla vigna nascerebbe dal suo utilizzo come animale di elezione per inviare lucrosi carichi di vino pregiato fino alla costa.
Il testo usa qui un altro termine oscuro, עַיִר (ʿayir), mentre la parola standard per “asino” nell’ebraico biblico è חֲמוֹר (ḥamor). Il significato esatto del termine è stato dibattuto. È stato inteso come “puledro”, cioè non un asino di dimensioni normali ma un piccolo, e quindi non un animale da soma, termine associato a “prole di un’asina” / בֶּן אָתוֹן, qui e altrove nella Bibbia. Tuttavia, “prole di un’asina” non intenderebbe comunicare l’età ma la purezza della specie, non un ibrido come il mulo figlio di un asino e di una cavalla. Il testo chiarirebbe che la bestia è di razza pura e non un mulo. In ogni caso, oltre al leone troviamo anche l’immagine dell’asino associata al Messia, e su questo torneremo a suo tempo.
Giacobbe benedice Giuda: vino e latte
Il terzo distico descrive i colori degli occhi e dei denti di Giuda.
«I suoi occhi sono più bianchi del vino,
i suoi denti sono più bianchi del latte» (Genesi 49,12).
Il significato della parola non comune חַכְלִילִי è incerto. La radice ח-כ-ל compare nella Bibbia come descrizione degli occhi di una persona nel contesto del bere vino e del gozzovigliare, come in Proverbi 23,29-30. L’interpretazione comune della frase in Genesi 49,12 tra i commentatori medievali è che gli occhi diventano rossi a causa del vino bevuto. Il rabbino Saadia Gaon (882-942) interpreta invece la preposizione mem come “più di” piuttosto che “a causa di”: «Rossore negli occhi più del vino; bianchezza nei denti più del latte». Secondo R. Joseph Bekhor Shor questo sarebbe un elogio della sua bellezza:
«La sua carnagione è più rossa del vino e i suoi denti più bianchi del latte. Ciò significa che è di bell’aspetto, con un bel fisico e adatto a essere un re, come è stato scritto di Davide (1Sam 16,12): “Era roseo, aveva gli occhi luminosi ed era bello”».
Tutti questi commentatori intendono חַכְלִילִי come il colore rosso del vino, e la parola è usata in modo simile nell’ebraico moderno. Questa spiegazione è rafforzata dai due versetti precedenti che menzionano il “sangue dell’uva” e la sorekah, cioè i migliori tipi di vite i cui grappoli producono vino rosso scuro. Nachmanide (1194-1270), invece, intende sorprendentemente questo termine come di colore nero, riferendosi al mascara necessario per nascondere gli occhi degli ubriachi, e dando a questa benedizione una connotazione negativa.
Considerando tutte le fonti insieme (bibliche, mishnaiche e semitiche in genere), possiamo spiegare così la benedizione positiva di Giacobbe a Giuda: «Occhi dal colore più intenso del vino scuro; denti più bianchi del latte».
Complessivamente, l’oracolo pronunciato da Giacobbe mentre benedice Giuda dà l’immagine della forza e della regalità, dell’abbondanza e della prosperità.