
Giacobbe al pozzo. Dopo l’avventurosa conquista della primogenitura, un’altra – più lunga – avventura per Giacobbe: quella di lasciare la casa del padre per tornare alle origini della famiglia materna, la casa dello zio Labano, dove guadagnerà una moglie (anzi, due), si troverà a lavorare per il suocero, ne sarà defraudato, se ne caverà con l’inganno… solo in seguito ci chiederemo cosa c’entri la fede in tutta questa sequenza di vicende.
Un colpo di fulmine
Intanto, Giacobbe trova l’amore: colpo di fulmine per lui al pozzo, il luogo dell’innamoramento. Colpo di fulmine non previsto dal copione delle nozze, perché l’amore preliminare non era visto come un componente del matrimonio, che consisteva nell’accordo fra due famiglie. Gli sposi dovevano solo essere consenzienti. Ma Giacobbe no, vuole proprio quella ragazza, e per lei è disposto a dare sette anni del suo lavoro. Ma l’ingannatore viene ingannato: la ragazza avuta in moglie non è l’amata Rachele (per avere la quale sette anni gli erano parsi pochi giorni, tanto era l’amore che le portava) ma l’indifferente Lia dagli occhi smorti. Anche qui notiamo come l’errore di persona, dovuto ancora una volta all’inganno, non comporti conseguenze: quel che è fatto è fatto… sembra quasi un contrappasso dantesco.
Conseguenza dell’inganno di cui è rimasto vittima l’ingannatore: servire altri sette anni per avere la sposa desiderata, quasi di una ironica serie Compri tre, paghi due… e poi una trafila di mogli e concubine, figli delle une e delle altre, dove naturalmente la sposa amata è sterile, e solo alla fine, per grazia di Dio, potrà avere figli. Una storia della salvezza, dunque, che si va ad incagliare negli intrighi donneschi e vicende di bassa lega.
Giacobbe al pozzo

L’importanza della scena di Giacobbe al pozzo, che prepara da lontano l’incontro di Gesù con la Samaritana (Giovanni 4), è sottolineata anche dal Midrash.
E Rashi spiegherà:
«Quando Giacobbe partì da Beer-Sheva per andare a Charran e fuggire da suo fratello, una Rugiada di Risurrezione discese dai cieli su di lui rendendolo coraggioso e forte. Grazie a questa potenza, lottò poi contro l’Angelo. Grazie a questa potenza, rotolò la pietra dalla bocca del pozzo e le acque salirono dalle profondità, traboccarono e inondarono. I pastori stavano in piedi, stupefatti, perché non era più necessario il secchio per attingere!».
In Rashi, addirittura, viene nominata la Resurrezione, la cui forza sostiene Giacobbe nella lotta e nel rotolamento della pietra.
IL ROTOLAMENTO DELLA PIETRA
Il rotolamento della pietra è ciò che permette all’uomo di attingere; anzi, le acque zampillano spontaneamente, dissetando tutti quelli che si avvicinano.
Il Targum di Gn 29,2-10 presenta un Giacobbe che per abbeverare il gregge di Rachele toglie la pietra che chiude la bocca del pozzo, facendone scaturire le acque (28,10; 29,10-22; 31,22 cfr. Jub. 16,11-15.19; 36,12 etc.; M.R. 70,8 s. Gen. 29,2 s.). Tranne che in Pr 26,26 s., nell’Antico Testamento solo in Gn 29,3.8.10, e per ben tre volte, si parla di rotolare la pietra (galal eth ha – ‘even). Ai bordi del pozzo, Giacobbe da solo rotola la pietra che i pastori neppure in quaranta riuscivano a rotolare.
In questo modo, Giacobbe prefigura da lontano quell’Unico che, solo, potrà dissuggellare la porta della Vita e rotolare lontano la pietra, facendo sgorgare le acque che disseteranno la terra riarsa dell’umanità esausta.