
Gethsemani. Ancora una volta Gesù sceglie fra gli altri Pietro, Giacomo e Giovanni per tenerli più vicini a sé. È il momento dell’angoscia, il momento, per i discepoli, di mantenere la loro parola condividendo il calice amaro del Maestro; ma essi lo abbandonano cadendo nel sonno.
Gesù al Gethsemani: il testo
14 32Giunsero a un podere chiamato Getsémani ed egli disse ai suoi discepoli: «Sedetevi qui, mentre io prego». 33Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e cominciò a sentire paura e angoscia. 34Disse loro: «La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate». 35Poi, andato un po’ innanzi, cadde a terra e pregava che, se fosse possibile, passasse via da lui quell’ora. 36E diceva: «Abbà! Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu». 37Poi venne, li trovò addormentati e disse a Pietro: «Simone, dormi? Non sei riuscito a vegliare una sola ora? 38Vegliate e pregate per non entrare in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole». 39Si allontanò di nuovo e pregò dicendo le stesse parole. 40Poi venne di nuovo e li trovò addormentati, perché i loro occhi si erano fatti pesanti, e non sapevano che cosa rispondergli. 41Venne per la terza volta e disse loro: «Dormite pure e riposatevi! Basta! È venuta l’ora: ecco, il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani dei peccatori. 42Alzatevi, andiamo! Ecco, colui che mi tradisce è vicino».
Il silenzio del Gethsemani
Sette volte Gesù parla in questo episodio, quattro volte per rivolgersi ai tre discepoli, tre volte per rivolgersi al Padre, ma tutti tacciono.
I discepoli prediletti, prima di tutti Pietro, tacciono col loro sonno. Il Padre, che Gesù chiama con l’appellativo affettuoso «Abbà», «Babbo», non risponde. Nella notte di Pasqua, nella tradizione ebraica, non si può dormire, perché notte di veglia è stata per il Signore mentre liberava Israele dall’Egitto; e il sonno interrompe i rapporti, equivale già ad un abbandono. La solitudine sarà forse il peso più forte della passione.
Gesù è da solo a parlare. L’annuncio della passione risuona qui nella sua forma più antica: «il Figlio dell’uomo è consegnato». Nel precipitarsi degli eventi, Gesù legge l’adempimento delle Scritture, in particolare la donazione che il Servo sofferente dà della sua vita in riscatto dei molti (Is 53).
Nel Gethsemani: l’arresto
14 43E subito, mentre ancora egli parlava, arrivò Giuda, uno dei Dodici, e con lui una folla con spade e bastoni, mandata dai capi dei sacerdoti, dagli scribi e dagli anziani. 44Il traditore aveva dato loro un segno convenuto, dicendo: «Quello che bacerò, è lui; arrestatelo e conducetelo via sotto buona scorta». 45Appena giunto, gli si avvicinò e disse: «Rabbì» e lo baciò. 46Quelli gli misero le mani addosso e lo arrestarono. 47Uno dei presenti estrasse la spada, percosse il servo del sommo sacerdote e gli staccò l’orecchio. 48Allora Gesù disse loro: «Come se fossi un ladro siete venuti a prendermi con spade e bastoni. 49Ogni giorno ero in mezzo a voi nel tempio a insegnare, e non mi avete arrestato. Si compiano dunque le Scritture!».
La solitudine, il sonno, il silenzio sono rotti dalla turba guidata da Giuda con i sommi sacerdoti, gli scribi e gli anziani, ovvero il Sinedrio nelle sue tre componenti. Un bacio è il segnale dell’identificazione: segretezza non necessaria, perché Gesù in pubblico, nel tempio, aveva dato i suoi insegnamenti.
L’arresto secondo Marco
Marco si limita a segnalare il gesto inconsulto con cui uno dei discepoli estrae la spada e stacca un orecchio al servo del sommo sacerdote; sarà Giovanni a ricordare il nome dell’apostolo, Pietro (Gv 18,10), e del servo, Malco, ed avremo anche il particolare tipicamente lucano della guarigione miracolosa del servo (Lc 22,51). In questa scena di violenza (le guardie con spade e bastoni, i discepoli con la spada, Giuda con l’ipocrisia) solo Gesù è mite e spezza la spirale della violenza con la pace. Né il denaro (di Giuda) né la spada (della turba) potranno imprigionare nella morte colui che si offre per la moltitudine.
Un giovinetto lo seguiva…
14 50 Allora tutti lo abbandonarono e fuggirono. 51 Lo seguiva però un ragazzo, che aveva addosso soltanto un lenzuolo, e lo afferrarono. 52 Ma egli, lasciato cadere il lenzuolo, fuggì via nudo.
Solo Marco riporta il curioso episodio di un giovinetto che, avvolto in una sindone (questa è la parola usata, e non si riferisce ad un lenzuolo, funebre o no che sia, ma ad un tipo di stoffa pregiata), segue Gesù che va verso la passione e che, afferrato, lascia la sindone in mano agli aggressori e fugge via libero. Potrebbe essere un ricordo autobiografico dello stesso Marco, un suo marchio d’autore, ma al tempo stesso rimanda ad altro. Vediamone i particolari.
La sindone
Prima di tutto, la traduzione di quel «sindòna», «sindone», nome che designa la stoffa in cui è avvolto il corpo del giovinetto al momento in cui egli, seguendo Gesù nella sua passione, rischia di essere afferrato dalle guardie. Tradurlo con «lenzuolo» è fuorviante ed improprio, perché non si tratta di un capo di biancheria da casa usato per dormire. «Sindone» non indica l’uso che si fa del tessuto, ma il tipo stesso di tessuto, un tipo pregiato, di lino. Può essere un telo, un lenzuolo, una veste. Se è strano uscire di casa avvolti in un lenzuolo, non è strano uscire di casa vestiti di una tunica.
Questo hanno cercato di rendere le traduzioni che recitano «panno di lino»; peggio «camicia di lino», che è riduttiva, e «panno lino», che è ridicolo. Perché non usare la parola «sindone», che poi ritroviamo tale e quale nel racconto sinottico della sepoltura? Sindone infatti non è di per sé il lenzuolo funebre, ma una qualunque stoffa composta di lino di buona qualità.
Quindi, il giovinetto che segue Gesù nella sua passione si presenta avvolto da una sindone, come poi sarà il corpo di Gesù per la sepoltura.
Oltre a vedervi, quindi, un ricordo autobiografico dell’evangelista Marco, si può ravvisare nel giovinetto la figura del discepolo fedele che segue il Maestro nella passione e che come lui, avvolto nella sindone della morte, la abbandonerà per sfuggirle risorto.
La salvezza
Il giovinetto infatti non viene catturato, ma abbandona la sindone e fugge via libero, «nudo», cioè non più avviluppato nei panni di cui il corpo di Gesù sarà involto.
Giovanni attesta chiaramente che gli indumenti funebri giacevano nel sepolcro quando questo viene trovato vuoto; e qui notiamo una differenza sostanziale rispetto al racconto della resurrezione di Lazzaro.
Lazzaro grazie alla parola di Gesù esce dal sepolcro ma è ancora avvinghiato, imprigionato mani e piedi dalle bende, la testa cinta dal sudario di morte. Lazzaro è risorto, ma alla vita terrena, per poi morire di nuovo: la morte lo tiene ancora stretto.
Gesù invece abbandona nel sepolcro gli indumenti funebri: è risorto per la vita che più non muore. Allo stesso modo il giovinetto.
Il giovinetto che annunzia il Risorto
Il giovinetto, discepolo che segue Gesù nella sua passione come «alter Christus», non cade nelle grinfie della morte, ma fugge via libero. Lo ritroviamo perciò testimone della resurrezione, avvolto (stesso verbo che indicava l’essere avviluppato nella sindone) in veste bianca, simbolo di eternità, e per di più seduto «alla destra». L’espressione nel Nuovo Testamento non lascia dubbi: alla destra del Padre. Il discepolo che ha seguito Gesù nella passione diviene testimone della sua resurrezione e risorgerà con lui. Così, l’episodio autobiografico dell’evangelista viene trasfigurato in qualcosa di molto più grande: la sequela nella morte, la vita eterna, la testimonianza della resurrezione.