Dopo il primo gruppo di miracoli, viene un intermezzo sulla sequela del Signore, dopo di che il Vangelo secondo Matteo ci mostra come Gesù faccia uso di un’autorità straordinaria attraverso tre gesti di vittoria: sul mare, sul demonio, sul peccato.
Intermezzo: Detti sulla sequela (8,18-22)
Dopo l’azione, una parentesi sulla sequela: l’ambientazione ci conduce già sul mare di Galilea, dove Gesù darà di nuovo prova della sua autorità divina col miracolo della tempesta sedata. In un certo senso, anche quello che viene detto qui è un miracolo: che Gesù abbia tale autorità da poter chiedere una sequela radicale e incondizionata.
Gesù, che nel discorso della montagna ha tratteggiato i lineamenti del discepolo, traccia adesso con fermezza le linee della sequela.
Le situazioni sono concrete: uno scriba vuole diventare discepolo; uno che è già discepolo pone una condizione. Le risposte di Gesù mostrano come la vocazione alla sequela dipenda in realtà non dalla volontà umana (come facevano i discepoli dei rabbini che sceglievano loro il maestro da seguire) ma da una precisa chiamata di Gesù.
L’itineranza
Al primo Gesù risponde che persino gli animali hanno un luogo di rifugio, ma l’esistenza di Gesù è più precaria della loro. Chi non accetta questo non può farsi suo discepolo. Il primo requisito della sequela è la disponibilità ad accettare un distacco drastico dai beni terreni, perché, a differenza degli altri rabbi per i quali la povertà non è desiderabile in quanto causa una impossibilità a dedicarsi allo studio della Legge, Gesù si presenta come un maestro itinerante che rinuncia alle sicurezze della stabilità per abbracciare i disagi della precarietà.
Secondo la lettura di A. Mello, che fa un parallelo con il libro del Siracide (Sir 34,25 s.: “Ove non c’è moglie, l’uomo geme randagio. Così dell’uomo, che non ha un nido e che si corica là dove lo coglie la notte”), il detto potrebbe riferirsi al celibato che fa parte della vita itinerante del Maestro ma che non è una vocazione rivolta a tutti (cfr. Mt 19,12).
L’appartenenza alla vita
Al secondo Gesù risponde con una metafora che indica l’assenza di condizioni: chi non appartiene al Regno appartiene alla sfera della morte. Le esigenze della sequela sono anteposte iperbolicamente persino agli affetti più naturali e doverosi: andare dietro a lui significa seguirlo nel mondo nuovo che nasce, lasciandosi alle spalle un vecchio mondo che non può più dare la vita, fatto di precetti senz’anima e adempimenti senza carità.
Troviamo qui per la prima volta l’espressione tipicamente semitica Figlio dell’uomo (ebraico ben adam, aramaico bar enasha’) che originariamente indica un uomo qualunque o l’essere umano, ma in senso apocalittico designa una misteriosa figura celeste che, come in Dan 7, riceverà il Regno, e nel libro apocrifo delle Parabole di Enoch (1En 37-71) è un appellativo del Messia. Ne riparleremo.
Tre gesti di autorità (8,23-9,8)
Si apre adesso una seconda serie di miracoli (sulla natura, sul demonio, sul peccato) che manifestano la vittoria del Regno sulle forze del male e affermano l’identità divina di Gesù.
La vittoria sul mare
Sembra essere un desiderio di intimità quello al quale risponde Gesù quando, lasciato il bagno di folla al quale si era lungamente sottoposto, si apparta con i suoi discepoli sulla barca. In questa intimità, cullato dalle onde, Gesù si addormenta. Sembra che Dio dorma nelle braccia della natura: il vento e i marosi non sono capaci di disturbarlo, sono sue creature, le ha create lui, gli obbediscono. Solo il terrore dei discepoli lo riscuote: non la furia degli elementi, ma la paura dell’uomo richiede il suo intervento.
Al di là del valore letterale della sedazione della tempesta, Matteo le conferisce anche un valore ecclesiale. La piccola barca è la Chiesa in cui i discepoli seguono Gesù, e la tempesta di Mc 4,37 diviene in Matteo un seismos, un moto o meglio un sisma, un terremoto, termine di carattere apocalittico che indica la grande tribolazione attraverso cui i discepoli dovranno passare.
Essi invocano: “Kyrie, soson! / Signore, salva!” mentre in Mc 4,38 Gesù viene appellato Maestro: il titolo è liturgico.
Eppure, mentre Gesù in Marco e Luca non perde tempo e seda subito la tempesta per rimproverare solo in seguito i discepoli, in Matteo viene prima il rimprovero. Non vi è dunque più la situazione immediata di emergenza, ma siamo nel tempo della Chiesa, quando i discepoli devono ancora crescere nella fede. Non ne sono privi, ma hanno una fede piccola, scarsa, puerile. Lo hanno seguito materialmente sulla barca ma non hanno saputo seguirlo altrettanto fedelmente nel loro cammino spirituale. Messi in crisi, posti di fronte alla morte, sono costretti a pensare: Dov’è Dio? Ma è lì, addormentato come un pescatore qualunque, e tuttavia è colui che si erge vittorioso sulla furia del mare senza fatica alcuna: è lui che domina le acque e gioca con il Leviatan… (cfr. Sal 104,26).
La vittoria sul demonio
Meno rilevante, rispetto a Marco, è invece l’episodio degli indemoniati di Gadara (in Matteo sono due, e il luogo non è la marciana Gerasa), che Matteo spoglia, al solito, di tutti i particolari più vivaci e anche significativi, riducendolo a soli 7 versetti i 20 di Marco.
Quello che rimane nel racconto di Matteo è la potenza del segno di autorità divina, racchiuso in un semplice comando: Andate! (8,32). Proprio nel territorio pagano, dove imperano l’impurità rappresentata dai porci e i demoni (terra impura, spiriti impuri, animali impuri), e la via della salvezza sembra sbarrata, Gesù esercita il suo potere divino cacciando gli spiriti maligni nel mare, prima ancora che venga il tempo della fine.
La protesta dei demoni per l’anticipazione della loro cacciata con la venuta di Gesù scaturisce dalla mentalità del tempo secondo cui essi avrebbero avuto potere sull’umanità fino all’ultimo giorno. La venuta di Gesù mostra invece che la salvezza è già presente e che il dominio diabolico è già esautorato, non ostante le apparenze. In ogni situazione, anche la più desolata, c’è sempre la speranza dell’incontro con colui che ha potere sulla vita e sulla morte.
La vittoria sul peccato
Potere sul mare, potere sui demoni, potere sul peccato; anche qui Matteo evita il particolare colorito dello scoperchiamento del tetto per farvi passare il paralitico, ma va diritto al dato della fede e di conseguenza del perdono. La guarigione fisica non è altro che il segno esterno della guarigione integrale dell’uomo mediante il perdono che solo Dio può dare. Se Gesù dimostra l’autorità di guarire nel fisico, a fortiori avrà l’autorità di rimettere i peccati guarendo il cuore. Egheire, Alzati, è il verbo della risurrezione, effetto estremo della guarigione totale operata da Cristo.