
In questa sezione del Vangelo secondo Marco vediamo Gesù muoversi tra uomini e demoni, tra la folla, i discepoli e i suoi fratelli. Lo troviamo accompagnato e pressato dalla folla venuta da ogni parte della Palestina e delle regioni confinanti. Si può pensare che siano tutti ebrei, anche quelli provenienti da terre pagane; ma il loro movimento è già preludio dell’accorrere dei popoli a Cristo. Inoltre, i nomi dei paesi che vengono citati sono sette, a simboleggiare la totalità delle nazioni dove il Vangelo sarà annunciato (7 nella tradizione rabbinica sono i precetti che Dio ha dato a tutta l’umanità, 70 sono i popoli e le lingue del mondo). Non vengono per ascoltarlo; cercano la guarigione dai loro mali. Non hanno ancora compreso, le folle, Chi lui sia; sono gli spiriti maligni a riconoscere e proclamare la sua qualità divina: Tu sei il Figlio di Dio (3,11).
Gesù tra uomini e demoni: Il Figlio di Dio
Per la terza volta nel libro di Marco risuona la proclamazione che Gesù è il Figlio di Dio, ma non viene da voce umana:
- in 1,1 è la fede pasquale della Chiesa a dichiararlo tale, come prologo dello scritto;
- in 1,11 è la voce del Padre al momento del Battesimo;
- adesso sono i demoni, per conoscenza diretta, soprannaturale, ancorché non salvifica.
Una delle cose che ci possono meravigliare è che i demoni riconoscano Gesù come Figlio di Dio e tuttavia non lo amino e non lo accettino. Una parola illuminatrice sul rapporto dei demoni con Dio ci viene dal grande scrittore cristiano, C.S. Lewis, nelle sue celeberrime Lettere di Berlicche. In una delle sue lettere al nipote apprendista diavolo Malacoda, l’arcidiavolo Berlicche confronta il proprio rapporto con Dio con l’esperienza che ne fa l’uomo redento:
«Ciò che per noi è fuoco accecante, soffocante, è per lui luce rinfrescante, è la stessa chiarità, e porta le forme d’un Uomo… mettendo tutto ciò in confronto con le sensazioni soffocanti e paralizzanti che provi tu quando t’incontri con l’aria mortale che spira dal cuore del cielo» (Mondadori, 2009, pp. 129-130).
Poi c’è un altro dato da comprendere: perché i demoni parlano di Gesù? Non è controproducente per loro?
No. L’indiscrezione degli spiriti diabolici nel rivelare l’identità divina di Gesù non vuol essere un vantaggio per il cammino del Regno, ma un intralcio, facendo precipitare i tempi col dire una verità che non può ancora essere compresa. Il cammino del Regno è graduale e soprattutto non deve essere frainteso: non sarà quello del Figlio di Dio nella gloria, ma quello umile, immerso nella sofferenza dell’umanità.
Gesù tra uomini e demoni: i Dodici
Per questo Gesù chiama i Dodici, per condividere con lui questa umiltà: perché fossero con lui, suoi familiari, andassero a proclamare la buona notizia e sanassero l’umanità (3,14-15). Se gli apostoli possono predicare il vangelo e persino cacciare i demoni è perché sono con Gesù, prima ancora di essere inviati da lui: prima di fare bisogna essere, pena la piaga dell’attivismo e della semplice autorealizzazione.
All’interno della grande e confusa folla, Gesù forma la famiglia dei discepoli, superando il significato della semplice famiglia naturale costituita da legami di sangue. Non sono i parenti, infatti, a comprenderlo, anzi sono quelli che lo considerano «fuori di sé» (3,21) e lo vogliono sottrarre ai discepoli e alla folla. Ma chi sono questi fratelli?
I fratelli del Signore
«Fratello», in ebraico ed in aramaico, designa genericamente un parente, che può essere anche un cugino o biscugino, ad esempio. In queste due lingue, parlate da Gesù, il termine «cugino» non esiste neppure: si parla solo di «fratelli». Del resto riscontriamo indeterminazioni del genere anche in italiano, lingua così precisa e ricca di vocaboli: ad esempio, l’italiano non distingue fra «nipote» di nonno e «nipote» di zio, tanto che dobbiamo precisarlo; neppure distingue tra «cognato» marito della sorella e «cognato» fratello del marito o della moglie; e nemmeno tra «nonno materno» e «nonno paterno», che in latino ha la sua importanza. La parola fratello, in questo contesto, designa anche una parentela non specificata.
L’incomprensione
Comunque, da parte dei suoi fratelli, l’incomprensione è totale: Gesù è uscito dal quieto vivere, sta seguendo un cammino contro corrente, si mette a rischio. È fonte di imbarazzo. Non sembra possibile che quel bambino cresciuto obbediente in un villaggio senza storia, quel tranquillo artigiano venuto da una famiglia modesta, sia divenuto operatore di segni straordinari, predicatore autorevole, personaggio di spicco cercato da folle immense come ultima speranza della loro misera vita.
In questo modo i parenti di Gesù chiudono gli occhi sulla realtà, e non sono più capaci di cogliere la novità di Dio nelle cose di tutti i giorni, non riescono a riconoscere il Messia in colui che è stato loro compagno di normalissimi giochi, loro vicino nelle comunissime occupazioni della vita di paese. La loro colpa, come spesso la nostra, è quella di cercare e riconoscere il divino solo negli effetti speciali, nelle vite spettacolari, non nel normale, nel consueto. Quante volte disprezziamo persone banali, scialbe, cui non diamo attenzione… Eppure, dice C.S. Lewis,
«Non ci sono persone ordinarie, persone comuni. Sono immortali le persone con le quali scherziamo, con le quali lavoriamo, che noi sposiamo, che noi anche sfruttiamo a volte, orrori immortali o splendori che durano per sempre. A fianco del Sacro Sacramento stesso il vostro vicino è la cosa più sacra che viene presentata ai vostri sensi» (Il peso della gloria).
Siamo sposi, fratelli e madri
Non faccia meraviglia, perciò, che Gesù sembri prendere le distanze non solo da parenti più o meno lontani, ma persino da sua madre: in realtà, egli non rinnega ma ridefinisce il vincolo di sangue smitizzandone il valore e risignificandolo in relazione al rapporto con Dio. Come ciò sia possibile ce lo spiega San Francesco:
«Siamo sposi, quando per lo Spirito Santo l’anima fedele si unisce a Gesù Cristo. Siamo fratelli suoi, quando facciamo la volontà del Padre suo che è in cielo. E siamo madri sue, quando lo portiamo nel cuore e nel nostro corpo con l’amore e con pura e sincera coscienza, e lo generiamo attraverso sante opere che devono risplendere agli altri in esempio» (Lettera a tutti i fedeli IX,51-53, FF 200).
Prendiamo così coscienza che nella nostra vita di credenti non abbiamo solo gli obblighi dati dai legami biologici o naturali, pur doverosi, ma siamo investiti anche di una fecondità cristologica perché siamo chiamati a generare Cristo negli altri, come portatori di quella parola e di quella carità che, seminata nell’anima, vi possa germogliare e fruttificare.
La bestemmia contro lo Spirito Santo
Da parte loro, gli scribi accrescono l’incomprensione nei confronti di Gesù, giungendo ad accusarlo di cacciare i demoni per mezzo di Beelzebul (3,22). Ma come può Satana cacciare Satana? Può essere cacciato solo da uno Più Forte.
Negando l’evidenza, cioè che l’autorità di Gesù è divina, gli scribi bestemmiano lo Spirito Santo. Rifiutando di riconoscere il proprio peccato si rifiuta anche il perdono che Dio offre a tutti, cui però Egli non può forzare chi non lo vuole. Dio rispetta anche la libertà dell’ostinazione finale: il suo perdono si arrende davanti alla libera scelta del rifiuto di esso. L’unico peccato che non può essere perdonato è l’ostinazione nel non voler essere perdonati… è il non lasciare alcuna chance a Dio di donare il suo perdono. C.S. Lewis ha scritto: «Le porte dell’inferno sono chiuse dall’interno».